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Imprenditrici e felici, alla faccia della disparità
Il fattore D (dove D sta per donna) è la nuova locomotiva che traina l’economia. Già nei primi anni Dieci di questo secolo il 37% dell’imprenditoria mondiale era donna. Allora, il Global Entrepreneurship Monitor segnalò 126 milioni di donne neo-imprenditrici o in procinto di diventarlo, in aggiunta ai 98 milioni che lo erano da più […]
Il fattore D (dove D sta per donna) è la nuova locomotiva che traina l’economia. Già nei primi anni Dieci di questo secolo il 37% dell’imprenditoria mondiale era donna. Allora, il Global Entrepreneurship Monitor segnalò 126 milioni di donne neo-imprenditrici o in procinto di diventarlo, in aggiunta ai 98 milioni che lo erano da più di tre anni e mezzo. L’onda delle capitane d’impresa non è moda passeggera, ma una forza che rimodella l’economia con investimenti immateriali e innovazione. Nei Paesi emergenti, le donne imprenditrici investono nello sviluppo delle risorse umane il 90% di ogni euro guadagnato in più. In Europa e negli Usa le donne salgono più rapidamente dei colleghi uomini la scala dell’innovazione.
È dunque maturo il tempo per coniugare l’impresa al femminile.
L’ascesa delle imprenditrici
Non più solo imprenditori, ma anche e soprattutto imprenditrici quando bisogna salire sull’ascensore dell’innovazione per portare crescita economica e occupazione ai piani alti. Lo riscontro anche grazie al polso che riesco a misurare con la pluriennale esperienza di giudice del Premio annuale che l’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) assegna, da Ginevra, alle donne che creano imprese soprattutto nei paesi africani, in America Latina e in Asia. Registro lo stesso polso frequentando come relatore TWIIN, The Italian Association of Women Inventors and Innovators.
Il contagio imprenditoriale, “voglio anch’io fondare un’impresa”, molto dipende dalla familiarità con gli imprenditori: più donne imprenditrici, più alto il numero di quelle che dicono “anch’io”. Con il miracolo economico degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento si diffuse capillarmente l’imprenditorialità di tanti artigiani, operai e tecnici. Oggi il veicolo dell’imprenditorialità targato innovazione vede al volante proprio molte donne nei Paesi che tagliano per primi il traguardo della corsa alla creazione di startup innovative. Sempre più donne vedono l’imprenditorialità come una valida alternativa al lavoro dipendente.
L’attività imprenditoriale è segno di crescita e prosperità, e risolve annosi problemi sociali. Le imprese in rosa dimostrano che le donne saranno negli anni a venire una forza trainante dello sviluppo. La posta in gioco è alta per almeno tre ragioni. Anzitutto, le donne imprenditrici danno prova di essere più innovatrici rispetto ai loro colleghi maschi e di produrre migliori risultati economici. In secondo luogo, il potere delle imprese donna di innovare è rafforzato dalla maggiore fiducia che esse godono nelle loro comunità. Infine, le grandi imprese mondiali puntano decisamente sulle imprenditrici per valorizzare le loro catene di fornitura.
Imprenditrice vuol dire innovazione
Più donne che uomini si laureano in biologia, pedagogia, scienze della salute, studi sociali e comportamentali, lettere e filosofia. E le ragazze più dei ragazzi fanno bene in matematica. Al crocevia tra discipline scientifiche e umanistiche, il nuovo rinascimento imprenditoriale ha dunque le donne quali indiscusse protagoniste.
Un protagonismo che per esprimersi al meglio esige un campo di gioco dove le donne non siano discriminate. Nelle famiglie, siano i genitori a ispirare le loro figlie a farsi imprenditrici per coprire il loro legittimo ruolo nell’economia trainata dell’innovazione. La società ha il compito di offrire alle donne opportunità d’espressione e d’ascolto pari agli uomini. Spetta al mondo della finanza non emarginare le neo-imprenditrici nella concessione di credito e capitali di rischio. Il tutoraggio riveste un ruolo importante per il successo imprenditoriale, eppure sono tante le imprenditrici che lamentano l’assenza di mentori. La formazione all’imprenditorialità è tanto più efficace quanto più riesce a colmarne la lacuna.
La curiosità femminile nel vissuto dei mercati è un muscolo che rafforza motivazioni e attitudini per compiere con esito positivo il salto imprenditoriale. Inoltre, per vincere nello sport dell’innovazione è imprescindibile il contatto fisico tra persone e idee adiacenti le une alle altre; uno sport che esige lavoro di squadra, e vede le donne più equipaggiate. La diversità di genere offre una prospettiva più ampia sul paesaggio dell’innovazione. Le donne appaiono più propense degli uomini a cogliere i vantaggi dei team imprenditoriali misti. La vittoria, quindi, è frutto di un eccellente lavoro di squadra – proprio quello in cui le donne eccellono rispetto agli uomini, il cui tasso d’egocentrismo è alto.
Lo sviluppo dell’imprenditorialità innovativa al femminile apre anche un inedito scenario sulla qualità della ricerca. Con la traduzione imprenditoriale dei risultati della ricerca, le startup innovative fondate sulla scienza avviano un processo di crescita sostenuta e sostenibile, restringendo così un preoccupante divario tra input e output della ricerca e rnnovazione nel Paese. Se, come sembra, il modello della startup innovativa si adatta meglio alle donne, metterlo in produzione su larga scala porterebbe in alta quota l’economia della conoscenza, sul cui sviluppo poggia il futuro della manifattura, locomotiva dei successi accumulati nel passato e che domani potrebbero essere replicati dalle imprenditrici, se messe nelle condizioni di agire da forze catalizzatrici di startup innovative.
Un’economia con una quota elevata di settori ad alta intensità di conoscenza, imprese innovative in crescita, alti livelli di brevettazione ed esportazioni competitive: questi sono i risultati che la Ue si attende dalle risorse riversate nel bacino della ricerca e innovazione. Nel segno dell’innovazione, la nostra imprenditorialità femminile può dare un forte contributo alla competitività e al lavoro ad elevato contenuto cognitivo.
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