Si legge nel rapporto che sono più di sei milioni i beneficiari delle integrazioni salariali decise durante la fase pandemica nel nostro Paese; parliamo di una spesa di 18 miliardi di euro. A costoro si sono aggiunti quattro milioni di beneficiari di indennità assistenziali non coperti dal sistema assicurativo, con una spesa complessiva di 6 miliardi di euro.
Ma che cosa significa questo dato?
In sintesi, finita la fase di emergenza sanitaria nel nostro Paese, questo sistema – definito universalismo differenziato – è stato abbandonato. Non significa applicare uno strumento assicurativo uguale ad aziende con caratteristiche diversificate, ma strutturare un nuovo modello di protezione sociale dei lavoratori su interventi di diversa natura, per rispondere a mercati del lavoro, sostengono gli studiosi di INAPP, sempre più frammentati e digitalizzati. Se ciò non dovesse avvenire, ecco il possibile scenario futuro.
“In Italia rimangono scoperti, in caso di crisi, più di quattro milioni di lavoratori non standard, quelli anziani sopra i 52 anni, i contingenti, gli autonomi individuali, gli inoccupati in cerca di lavoro, i lavoratori delle piattaforme e i working poor”, ha dichiarato il professor Sebastiano Fadda, presidente INAPP. “In sostanza nella fase emergenziale sanitaria il sistema sembrava estendersi verso il principio di un universalismo differenziato: oltre a un aumento delle integrazioni salariali, erano stati introdotti dei sussidi assistenziali per particolari soggetti lavorativi (lavoratori autonomi, contingenti, stagionali, occasionali). Dopo la fase pandemica, mentre si è consolidata l’estensione assicurativa, si è persa completamente l’esperienza delle indennità assistenziali. Così la fase emergenziale ha inciso solo in parte sull’estensione del sistema ordinario, aumentando la copertura dei tradizionali schemi assicurativi ma perdendo del tutto i programmi assistenziali in caso di perdita del lavoro per tutti quei soggetti esclusi dalle misure assicurative-contributive”.