L’ “Avvocato” di Lucio Dalla

Nel 1972 un inquieto Lucio Dalla, insoddisfatto dell’esito sanremese di «Piazza grande», in un primo momento del tutto rinnegata dallo stesso autore come tentativo “di bassa lega” di replicare la formula di «4 marzo 1943», interrompe il sodalizio artistico con i parolieri Sergio Bardotti e Gian Franco Baldazzi ed entra in contatto con Roberto Roversi, […]

Nel 1972 un inquieto Lucio Dalla, insoddisfatto dell’esito sanremese di «Piazza grande», in un primo momento del tutto rinnegata dallo stesso autore come tentativo “di bassa lega” di replicare la formula di «4 marzo 1943», interrompe il sodalizio artistico con i parolieri Sergio Bardotti e Gian Franco Baldazzi ed entra in contatto con Roberto Roversi, editore e poeta bolognese, insieme il quale darà vita, in appena tre anni, ad altrettanti album.

Roberto Roversi affida a Lucio Dalla una serie di testi intensi, dove i momenti di critica sociale e politica sono centrali. Non si tratta di canzoni “militanti”: la qualità poetica di Roversi gli preclude il registro diretto e didascalico delle canzoni di lotta, la stagione sperimentale di Dalla impedisce alle canzoni di diventare inni. La volontà di trattare di lavoro e di lavoratori è dichiarata fin dal motivo d’esordio di «Il giorno aveva cinque teste», il primo dei tre Long Playing di Dalla e Roversi. «Un’auto targata TO» racconta una famiglia di lavoratori del Sud che risale in automobile la penisola al termine delle vacanze al paese.

“Un’ auto vecchia torna
da Scilla a Torino,
dentro ci sono dieci occhi
ed uno stesso destino”

I commentatori dell’epoca definiscono quella di Dalla come “nuova prospettiva sociale” o “svolta neorealista”: il motivo viene presentato alla selezione per il Festival di Sanremo 1973, senza venire però ammesso. Nello stesso album trova spazio «L’operaio Gerolamo», storia di un lavoratore meridionale in cerca d’occupazione attraverso l’Europa, dalla Germania alla periferia di Parigi fino all’operosa e alacre Milano, dove però trova la morte in un incidente sul lavoro.

Se nel secondo album scritto da Dalla insieme a Roversi, «Anidride solforosa», il mondo del lavoro resta sullo sfondo, è in «Automobili» che il tema della produzione industriale diventa centrale. La genesi del disco è diversa da quella dei precedenti: Dalla e Roversi, tentando una propria via verso il “teatro-canzone” alla Gaber, mettono infatti in scena uno spettacolo, «Il futuro dell’automobile e altre storie», il cui successo lo porta a essere filo conduttore di una serie di speciali in otto puntate trasmessi dalla Rai nel 1976.

D’accordo con la RCA, Lucio Dalla decide di incidere un terzo album inserendovi solo alcune canzoni tratte dallo spettacolo, trovando l’opposizione di Roversi, che avrebbe preferito la trasposizione integrale dello stesso: il poeta ritira la firma, celandosi dietro lo pseudonimo di Norisso. L’episodio segnerà comunque la fine della collaborazione tra l’artista e l’intellettuale.

«Automobili», questo il titolo dell’opera, è un concept album che presenta un elevato grado di eterogeneità musicale. Oggetto della disamina roversiana non è tanto il lavoro, quanto il prodotto del medesimo. Si parte con le gare automobilistiche («Mille Miglia») e con il mito dei piloti («Nuvolari») funzionale a supportare il mito dell’industria nazionale automobilistica del dopoguerra. Tra le canzoni non incise c’è «I muri del ‘21», storia di uno sciopero alla Fiat e lotte operaie del primo dopoguerra: inserita in una raccolta postuma, raccontava dell’adesione graduale delle maestranze alla lotta del movimento dei lavoratori, simboleggiato da un moltiplicarsi delle tradizionali bandiere rosse. Si arriva poi a «Il motore del 2000», che pronostica un radioso ed ecologico progresso tecnologico incapace però di vaticinare un analogo progresso sociale.

“Buon giorno, grazie avvocato,
sono del Manchester Guardian,
non le farò perdere tempo.
Questa è la prima domanda”

Il lavoro è invece l’oggetto di una «Intervista con l’Avvocato» condotta da un giornalista del Manchester Guardian nell’ufficio torinese dell’avvocato per antonomasia, il presidente della Fiat, Gianni Agnelli. Alle domande circostanziate dell’inviato britannico su immigrazione interna, taylorismo, delocalizzazione della produzione, crisi del mercato dell’auto, l’industriale torinese immaginato da Roversi non risponde: nello spettacolo da cui il disco è tratto era ancora lo stesso Lucio Dalla a dargli voce, improvvisando gorgheggi jazzati a ritmo di scat. Due versi eseguiti nel corso dello spettacolo, i più cupi della canzone, sulle ingiustizie sociali e sul disastro ambientale, vengono omessi da Dalla nella versione che consegna alle stampe. La visione del lavoro messa in scena da Roversi e Dalla è del tutto critica e disillusa, segno delle tendenze dell’epoca e delle circostanze che vedevano la cronicizzazione, nelle fabbriche, dello scontro sindacale acutizzatosi nel cosiddetto “autunno caldo”.

«Il motore del 2000» godrà di nuova, inaspettata fama nel 1992, quando la stessa Fiat utilizzerà i primi versi del brano per reclamizzare il suo nuovo motore “Uno Fire”.

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