Intervistiamo Simone Cerlini, dirigente di AFOL Metropolitana, un’azienda che colloca persone con disabilità nel mondo del lavoro e avvicina le aziende alla cultura dell’inclusione.
La prima mappa che aggrega i migranti
Di temi che definiscono la società odierna ce ne sono tanti. Ma ne esiste uno che, più di altri, attira l’attenzione di tutti: la questione migranti, spinoso e delicato, ormai complicatissimo da gestire per le dimensioni incontrollabili che ha assunto. Non solo: nel corso degli anni i mass media ci hanno abituato al racconto di […]
Di temi che definiscono la società odierna ce ne sono tanti. Ma ne esiste uno che, più di altri, attira l’attenzione di tutti: la questione migranti, spinoso e delicato, ormai complicatissimo da gestire per le dimensioni incontrollabili che ha assunto. Non solo: nel corso degli anni i mass media ci hanno abituato al racconto di aggressioni, furti, violenze e altri episodi negativi in cui i migranti sono stati considerati colpevoli (o presunti tali). A volte lo erano. Altre volte no.
Modelli da cambiare
In entrambi i casi si è trattato di notizie che hanno fatto riflettere. Il più delle volte hanno provocato paura, che insieme a quanto è stato detto e scritto ha generato un timore crescente: quello di poter assistere, da un momento all’altro, a vicende analoghe. O magari più efferate.
Sono notizie che hanno colpito l’opinione pubblica, e che a furia di essere riproposte in tv e replicate sul Web si sono sedimentate nella nostra cultura, insieme a pregiudizi atavici forse mai del tutto sradicati. Tutto questo ci ha portati a costruire modelli culturali sbagliati. Niente di nuovo, certo, ma è proprio quello il punto: lo straniero/immigrato viene percepito come qualcosa di sgradito, da tenere lontano; qualcuno da emarginare e da evitare a ogni costo. Figuriamoci poi quando, parlando di migranti, ci si sposta su terreni insidiosi come la religione, l’orientamento sessuale o l’etica: apriti cielo.
L’idea
Ecco. Partendo da tutte queste considerazioni Paolo Marenco (senior advisor in un’azienda IT e founder del Silicon Valley Study Tour) un giorno si è interrogato sul tema e ha lanciato una piccola provocazione tecnologica: “Può il mondo degli incubatori contribuire a introdurre i migranti nel mondo dell’IT e delle startup? Qualcuno in Italia sta facendo qualcosa? Qualche modello da seguire?”.
Ha deciso di postare questi interrogativi su Italian Startup Scene, community Facebook che raggruppa oltre 27 mila appassionati di innovazione. A quel post hanno risposto in tanti. Tra tutti, tre ragazzi (Jacopo, Giuseppe e il sottoscritto) hanno espresso il desiderio di fare qualcosa per dare forma, sostanza e prospettiva all’appello. Così, dopo un primo confronto online, hanno deciso di incontrarsi al Bistrot, pub ristorante della stazione centrale di Milano, e si sono posti un obiettivo ambizioso: cambiare la percezione del fenomeno migratorio che si è diffusa in Italia.
Coinvolgimento e condivisione
Come? Dando vita a Welcomaps, contrazione dei termini Welcome (“Benvenuto”) e Maps (“Mappe”), un progetto che geolocalizza storie di integrazione che non hanno (o non hanno ancora avuto) la considerazione che meritano. E, soprattutto, che punta sul coinvolgimento degli utenti, per farli diventare protagonisti attivi di questo piccolo grande cambiamento. In questo modo chiunque può segnalare nuove storie, scoprirne di insolite – magari anche vicino a dove abita – e ispirarne altre.
Cuore e visione
Sono storie che lasciano qualcosa di bello nel tempo e danno insegnamenti. Uno su tutti: quello che la solidarietà nei confronti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo poi tanto male non è. Anzi, è un valore da custodire.
Ce lo insegnano i migranti che si sono messi a lavorare per il bene di una città o di un territorio. L’azienda Maramao, in Piemonte, è un esempio. Nata come piccola startup, è diventata una cooperativa agricola sociale affermata, con gli stranieri che non solo si impegnano come contadini nei campi delle Langhe, ma che portano anche progetti educativi nelle scuole e partecipano al mercato equo e solidale.
Ce lo insegna anche la bella storia di Lamin, ragazzo gambiano che grazie alla forza dello sport, e del calcio in particolare, ha superato diversi ostacoli: da quelli sociali legati all’apprendimento della lingua italiana e all’inserimento nella nuova squadra, fino a quelli burocratici per il rilascio del permesso di soggiorno.
Ce lo ricordano anche tanti altri gesti, semplici, ma di una bellezza infinita. Quello di John, ad esempio, migrante nigeriano passato da mendicante a eroe per aver bloccato un rapinatore all’uscita di un supermercato di Centocelle. O il gesto di Abu, ragazzo ventiduenne del Mali che sta svolgendo il Servizio Civile con la Cri di Imperia, e che ha salvato un paziente in arresto cardiaco.
Sono pagine di vita che toccano nel profondo, fanno vedere l’integrazione con occhi diversi, restituiscono valori e significati importanti. E alcune di queste pagine spiegano anche come una tecnologia, snobbata da tutti o magari sconosciuta, può aiutare i migranti a risolvere problemi più o meno grandi. Pensiamo a Tykn, database online per rendere più sicuri e fruibili i certificati di nascita. Spesso infatti questo tipo di documento rischia di non essere più reperibile, perché gli archivi in cui è conservato vengono distrutti delle guerre. Un altro esempio è Restoring Family Links, servizio per il ricongiungimento familiare che, a Sesto San Giovanni, ha permesso a due fratelli di riabbracciarsi dopo quasi dieci anni.
In ultimo, ma non certo per ordine di importanza, è da ricordare un’iniziativa della BBC. La celeberrima tv inglese ha ideato Your phone now is a refugee’s phone, cortometraggio rivolto principalmente alle organizzazioni umanitarie e realizzato per essere guardato sullo smartphone. L’obiettivo della clip? Quello di sensibilizzare il maggior numero di persone possibile, e far capire le condizioni in cui si trova un rifugiato quando affronta un lungo viaggio in barca.
Photo by DFID – UK Department for International Development [CC BY 2.0], via Wikimedia Commons
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