La relazione col capo, in Italia e nei Paesi Anglosassoni

Vent’anni fa lavoravo in Pirelli in Inghilterra, unico italiano tra 1200 dipendenti autoctoni nel nord del paese, al confine con la Scozia. Dal momento dell’ingresso in azienda sono sempre stato trattato, ed imparato a trattare il prossimo, come un giocatore della squadra. Sicuramente inesperto all’inizio, mi sono comunque stati affidati incarichi di sempre maggior rischio […]

Vent’anni fa lavoravo in Pirelli in Inghilterra, unico italiano tra 1200 dipendenti autoctoni nel nord del paese, al confine con la Scozia. Dal momento dell’ingresso in azienda sono sempre stato trattato, ed imparato a trattare il prossimo, come un giocatore della squadra. Sicuramente inesperto all’inizio, mi sono comunque stati affidati incarichi di sempre maggior rischio e responsabilità che venivano condivisi dal mio capo e dal responsabile della fabbrica. Vestivo una tuta da lavoro durante il giorno come gli operai, ed insieme a loro come a impiegati, ingegneri e dirigenti andavamo al pub la sera. Il fatto che alcuni fossero più in alto nella scala gerarchica e nell’importo dello stipendio, non era assolutamente tenuto in conto nelle riunioni in azienda come nei momenti di svago.

Fondamentalmente una forte dose di rispetto per il prossimo, e una notevole fiducia sulla parola data, regolavano i rapporti interni tra dipendenti come pure con clienti e fornitori. Molti acquisti venivano decisi con una stretta di mano, seguita da ordini di acquisto, fatture e pagamenti per “soddisfare” i nostri amministrativi (chiamati scherzosamente “bean counter”) e gli “Italians”, ovvero i padroni a Milano.

Quando dall’Italia arrivavano colleghi di acquisti, amministrazione o anche tecnici, era sempre bello vedere la totale mancanza di fiducia nel prossimo. Il fornitore, a sentir loro, non aspettava altro che fregarci, l’offerta non poteva essere così buona. Una di queste visite mi vide protagonista. Con un fornitore di trasporti avevo organizzato un sistema kan-ban per la consegna delle materie prime appena in tempo per la produzione. Il sistema era basato su targhette di plastica colorata, che i nostri magazzinieri ed i camionisti del fornitore si scambiavano per capire cosa e quanto dovesse essere trasportato per il giorno dopo. In produzione erano contenti, ed anche il guru giapponese di turno che ci insegnava questi metodi, il Professor Yamashina, aveva sorriso per due secondi scarsi a testimonianza del suo verdetto illuminato. Il collega italiano fece complimenti e corrette osservazioni durante la visita, poi pensò bene di raccontare peste e corna una volta tornato a Milano. A suo dire a Carlisle sprecavamo i soldi dell’azienda e ci facevamo prendere in giro dal fornitore.

Karma vuole che il prof. Yamashina lavorasse a diretto riporto del vertice di Pirelli, e nel riportare le sue visite in giro per le filiali, per somma fortuna parlò bene del nostro progetto. Per tutta risposta il collega italiano fu promosso in altra area aziendale e mai più tornò a trovarci, in questo allungandosi la vita di parecchio.

A fine 2005, quando la nostra fabbrica vinse il premio World Class Manufacturing (secondi dopo una fabbrica Volvo in Belgio), il nostro capo fabbrica inglese venne promosso a responsabile Operations a Milano. Dopo 20 anni di carriera Pirelli in UK si trovò proiettato a dirigere un buon numero di milanesi, a casa loro. Quello che per tutti era sempre stato “Pete” si sentì chiamare “Doctor Redfern”, quello che era sempre aperto al confronto con tutti si trovò collaboratori sempre chiusi nei loro uffici, che mai si chiamavano per nome, ma sempre per titolo e cognome. Il suo sforzo per costruire un clima di fiducia e di squadra fu enorme.

Gli anni sono passati ma ho avuto modo di riscontrare più e più volte la differenza nella distanza che si percepisce rispetto al capo in azienda, e la differenza che proprio questo porta ad avere nel dare fiducia al prossimo. Se il rapporto col capo è sano, quindi allo stesso complice e rispettoso dei ruoli, si ha fiducia nel proprio operato e si è pronti a dare fiducia al prossimo. Se posso fidarmi di avere le spalle coperte, posso dare fiducia al collaboratore come al fornitore o cliente.

Tutto al contrario, se già col mio capo devo difendere ogni scelta ed ogni azione, e se ogni iniziativa è sempre guardata con sospetto, allo stesso modo non potrò collaborare efficacemente con colleghi e terzi.

Un mio amico e collega andando a gestire la filiale in Finlandia si sorprese di non dover mai firmare richieste o ordini di acquisto. “Perché?” gli chiesero i collaboratori, “pensi che il fornitore non ci dia quanto pattuito secondo le intese?”. Inutile dire che nella filiale locale non sono mai stati riportati casi di truffa o furto. L’amico, originario del Sud America e con molti anni di esperienza nelle filiali italiane, spagnole e brasiliane ebbe difficoltà ad accettare e specialmente convincere la casa madre che in effetti un modo diverso di fare le cose è possibile.

CONDIVIDI

Leggi anche

Pagati poco o troppo?

C’era una volta un giovane manager che, considerando l’età, gli anni di esperienza e il valore professionale, risultava sempre troppo caro rispetto ai livelli retributivi del suo mercato. Cercava di cambiare azienda ma nessun recruiter riusciva mai a piazzarlo da nessuna parte. Finché decise di avvicinarsi al mondo politico e finalmente trovò la strada che […]

Dovrebbe dirlo al mio capo

Alla fine degli anni Ottanta, un’azienda mi chiese di formare alcuni formatori interni. Precisamente si trattava di cinque uomini dell’IT che avevano iniziato da tempo un percorso di diffusione dell’utilizzo dei principali pacchetti informatici. L’azienda aveva un problema: pochissimi sapevano utilizzare il computer e, nonostante gli informatici tenessero corsi con costanza, la situazione non accennava […]

Fa comodo che meritocrazia rimi con antipatia

Diciamolo: La grande bellezza non è poi ‘sto capolavoro… » «Hai proprio ragione. Non capisco tutto il suo successo…» «E diciamo anche questo: Paolo Sorrentino è decisamente antipatico». Dialoghi simili è capitato di sentirne, dopo la vittoria dell’Oscar, nel 2014, del film di Sorrentino con protagonista Toni Servillo. Discorsi analoghi si sentono anche in altri contesti. «Quello […]