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Contro i computer la partita è persa sulla scacchiera
È soltanto un gioco. Ma è forse la rappresentazione più plastica del conflitto tra uomo e macchina, del conflitto moderno tra servo e padrone, della prova di forza tra intelligenza umana pura, nuda e intelligenza artificiale. Il gioco degli scacchi è una specie di test dei rapporti di forza tra uomo e macchina. È una […]
È soltanto un gioco. Ma è forse la rappresentazione più plastica del conflitto tra uomo e macchina, del conflitto moderno tra servo e padrone, della prova di forza tra intelligenza umana pura, nuda e intelligenza artificiale. Il gioco degli scacchi è una specie di test dei rapporti di forza tra uomo e macchina. È una lotta iniziata tanti anni fa.
All’inizio i computer furono programmati all’arte di questo antichissimo gioco allo scopo di allenare i grandi maestri di scacchi per mettere alla prova le loro capacità combinatorie e predittive ma, inevitabilmente, arrivò il momento in cui l’uomo provò a sfidare la macchina che aveva creato, riportandoci al dialogo assai visionario di 2001 Odissea nello spazio.
Ai grandi maestri sembrava una strada semplice all’inizio, le eccellenze scacchistiche vincevano sempre la competizione con le “creature” inventate dall’uomo ma, ben presto, arrivò una prima resa dei conti: il 10 febbraio del 1996 Garry Kimovic Kasparov, classe 1963, considerato da molti uno dei più grandi scacchisti di tutti i tempi, perse una partita con Deep Blue, il cervello di silicio creato da Ibm. Sembrò un’incidente di percorso ma oggi viene considerato l’inizio di un’era nella quale difficilmente l’uomo potrà competere con le sue macchine. “Oggi il più grande campione del mondo di scacchi non ha nessuna speranza di vincere contro le reti neurali dei più potenti computer del mondo”. A parlare è Mauro Casadei, 49 anni, maestro di scacchi, istruttore internazionale della Federazione Scacchistica Italiana, insegnante all’Accademia degli scacchi italiana.
In questa lotta titanica l’uomo ha dunque perso.
“Credo di sì. All’inizio non era così. Ma, se mi consente, vorrei fare una considerazione, forse ovvia ma per me importante, per capire che cosa sia successo nel rapporto uomo macchina nel gioco degli scacchi.
Il computer, lo sappiamo, non è dipendente dagli aspetti psico-fisici, non soffre la stanchezza, non si emoziona, non viene colto di sorpresa, non ha complessi di superiorità o inferiorità nei confronti dell’avversario. La macchina si basa su dati oggettivi, su informazioni. Questa è la sua forza“.
E allora perché per un lungo periodo i grandi campioni hanno battuto i computer più potenti del mondo?
“Giusta osservazione. Io direi che per un certo periodo ha prevalso, sembra paradossale, la potenza di calcolo degli umani o meglio quella che viene definita intelligenza intuitiva, la cosiddetta pattern recognition, (riconoscimento di schema), con la quale i giocatori riuscivano a selezionare, tra le migliaia di possibilità, soltanto le mosse e le posizioni più importanti nell’ambito di una partita a scacchi. I primi computer, invece, prima di muovere dovevano vagliare miliardi di possibilità e la loro potenza di calcolo non era sufficiente a individuare la mossa più giusta sulla base delle informazioni passate”.
Poi che cosa è successo?
“È successo che molti schemi sono stati messi in sofisticati data base e forniti ai computer. In particolare sono stati forniti alle macchine gli schemi delle aperture e dei finali, che sono considerate le parti più decodificabili della partita di scacchi, e questo ha consentito alle macchine di diventare molto più forti. Un altro passo importante è stata l’introduzione del mediogioco, la parte meno decodificabile della partita. Ma mi risulta che il vero salto di qualità sia avvenuto con l’introduzione delle reti neurali e dunque con la capacità del computer di basarsi sull’esperienza oltre che sulla pattern recognition.
Deep Blue, il computer dell’Ibm, è stato il primo negli anni ‘90 a celebrare la vittoria dei computer sui grandi campioni di scacchi grazie alla potenza di calcolo e l’introduzione di algoritmi sui pattern recognition. Nel caso di Deep Blue, ci fu un grande maestro di scacchi americano, Joel Benjamin, che affiancò il computer Ibm. Tanto che Kasparov si lamentò di quella consulenza umana fornita al computer”.
Mi pare che oggi siamo a un punto di non ritorno.
“Direi proprio di sì. Ci sono casi rari, come ad esempio le fortezze, posizioni inedite nelle quali il computer fa ancora fatica ad arrivarci ma prima o poi le reti neurali delle macchine impareranno dalla loro esperienza e ingloberanno anche quelle informazioni. La superiorità della macchina ci viene spiegata anche dai numeri. Nel gioco degli scacchi il punteggio viene quantificato in Elo. I primi dieci giocatori del mondo hanno dai 2850 elo ai 2770 elo. Il punteggio assegnato ai più potenti computer del mondo va da 3360 elo a 3160 elo. Come si vede il sorpasso è avvenuto da tempo.
È per questo che i grandi maestri degli scacchi hanno preferito usare i computer come allenamento piuttosto che sfidarli. Ormai sul terreno del conflitto la partita è persa”.
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