“Solo in Italia e in Francia esiste questa tipologia di Green pass. Che tra l’altro è un aspetto ben diverso dalla campagna vaccinale. Serve una Costituente del pensiero critico”. Carlo Cuppini, promotore della petizione “Green pass: le ragioni del no”, intervistato da SenzaFiltro.
La Saga dei Presidenti che non trovano lavoratori
Quest’estate il tema dell’occupazione / disoccupazione in Italia ha fatto un passo in avanti. Sarà per il fatto che il Governo ha annunciato di aver eliminato la povertà grazie all’introduzione del Reddito di Cittadinanza, sarà che 2980 luminari della ricollocazione hanno già trovato una sistemazione a tempo determinato grazie alla quale troveranno a loro volta […]
Quest’estate il tema dell’occupazione / disoccupazione in Italia ha fatto un passo in avanti.
Sarà per il fatto che il Governo ha annunciato di aver eliminato la povertà grazie all’introduzione del Reddito di Cittadinanza, sarà che 2980 luminari della ricollocazione hanno già trovato una sistemazione a tempo determinato grazie alla quale troveranno a loro volta lavoro a tempo indeterminato ad altre migliaia di candidati, di conseguenza sembra che la disoccupazione in Italia stia diventando un problema insormontabile per i Presidenti delle Associazioni di Categoria.
A fine giugno, il sindaco di Gabicce annuncia la scomparsa di qualsiasi forma di operatore stagionale, con il rischio di affrontare una stagione senza precedenti. La notizia rimbalza su tutte le testate. A differenza dei proclami letti negli ultimi anni, questa volta c’è un approfondimento che non sfugge ai giornali: “i ragazzi del Sud preferiscono restare a casa a godersi il reddito di cittadinanza“.
La “shit storm” che per giorni ha travolto il Municipio di Gabicce è ormai storia nota. Se il Sindaco pensava di far atterrare sulla sua scrivania centinaia di curriculum da offrire alle attività ricettive della sua città, ha evidentemente sbagliato strategia andando a caccia di quaglie con il bazooka. Una zuppa comunicativa degna di un pescatore a strascico se pensiamo che con una sola frase è riuscito a fare incazzare prima di tutto i suoi concittadini per la pessima immagine restituita alla città dalle migliaia di commenti sul web, poi ha scatenato l’ira dei giovani del Sud i quali, com’è ovvio, si sono stancati di sentirsi sempre chiamare in causa sempre e solo in analogia al fancazzismo. Come se non bastasse, sono emerse decine di testimonianze di ex camerieri e operatori alberghieri in merito alle condizioni non solo economiche ma anche umane con cui si viene ingaggiati in Riviera e, in ultimo, ha fatto un bell’autogol politico – se il suo obbiettivo da sostenitore renziano era colpire il Governo sulla misura del reddito di cittadinanza – dimostrando di non conoscere le regole del gioco, dal momento che non è possibile che tutti i ragazzi del Sud possano essere idonei a percepire il reddito di cittadinanza.
E poi perchè proprio i ragazzi del Sud? Forse che i ragazzi del Nord d’estate arrotondano occupandosi di controllo di gestione in Deloitte?
Le acque sembrano calmarsi quando l’11 luglio il Sole 24 Ore, leader di mercato nella categoria “pubbliredazionali travestiti da articoli”, pubblica a tutta pagina la dichiarazione dell’AD di Fincantieri Giuseppe Bono (il Benigni – Pinocchio sembra inserito a regola d’arte da un impaginatore pentito):
Della Saga delle Aziende che non trovano candidati ne ho parlato diverse volte; la ripetitività con cui il Sole24Ore in testa (le altre testate si sono poi limitate a ribattere le notizie quando ormai erano già virali, sperando in un finale di coda che portasse qualche lettore in più) è cominciata a diventare sospetta per poi assumere le sembianze di una vera e propria strategia comunicativa nei confronti di aziende del comparto confindustriale, sostenitori e inserzionisti.
La sua dichiarazione è la definitiva conferma a un sistema di visibilità dove l’approfondimento è superfluo (“lo ha detto il Presidente…“) ma, quel che è peggio, si ignora totalmente il risvolto social e sociale che questo genere di articoli comporta. Perché se da una parte è evidente che sia impossibile che con il livello reale di disoccupazione che c’è in Italia tu non riesca a trovare personale adeguato considerando un brand di questa rilevanza (Fincantieri) e di conseguenza tutte le attività strutturate che un ufficio del personale della tua portata potrebbe attivare – attraverso scuole, career day, presentazioni pubbliche, tournée in giro per l’Italia – dall’altra stai evidentemente insultando centinaia di candidati che sarebbero disponibili a lavorare e che nulla sanno delle tue ricerche.
Perchè basterebbe che il giornalista facesse quattro click sulla pagina Corporate di Fincantieri su Linkedin e sulla pagina “Lavora con Noi” del sito istituzionale per scoprire che non solo non c’è ombra di ricerca di tutti questi carpentieri e tecnici specializzati, ma che le figure ricercate sono tutte di alto livello, residenti prevalentemente in America e fra queste spicca niente popò di meno che un Personal Fitness Trainer.
Altro che carpentieri!
Sulla pagina istituzionale www.fincantieri.it stessa solfa, anzi peggio: 14 posizioni per stagisti e poco più di 20 per profili IT e progettazione.
Delle 6000 figure strillate dall’AD Bono non ce n’è l’ombra.
Viene dunque da chiedersi in che modo i candidati avrebbero dovuto sapere di queste incredibili opportunità, ma soprattutto sulla base di cosa l’Amministratore Delegato dichiara che i giovani preferiscano fare i rider a 500 euro al mese anziché lavorare per lui.
La risposta ce la dà un dipendente anonimo di Fincantieri in risposta all’articolo ribattuto da Repubblica:
Rilevante anche un comunicato della CISL Veneto sulle attività poco trasparenti (per usare un eufemismo) di Fincantieri a Porto Marghera.
Non voglio inerpicarmi sui territori della comunicazione che non mi appartengono e per i quali ci sono di sicuro professionisti più preparati di me ma su quelli dell’employer branding e sull’innovazione delle Risorse Umane, sì.
Un caso del genere infrange almeno una decina di regole – o meglio – di azioni di buon senso manageriale, prima che comunicativo.
Intanto l’arroganza con cui un AD bypassa completamente l’ufficio comunicazione (presumo. Sarebbe gravissimo se un comunicato del genere venisse avvallato da un ufficio comunicazione che abbia nel suo organico più di uno stagista) il quale, all’interno di un’azienda di questo calibro dovrebbe quanto meno avere delle linee guida e mettere in guardia dai rischi di una dichiarazione del genere, a misura di social network.
L’Ufficio del personale fa la figura del passacarte. Prima di una dichiarazione del genere, quantomeno ci si coordina con l’ufficio selezione per accertarsi che ciò che si sta per dichiarare sia supportato da un’azione di recruiting pregressa che giustifichi con dati e fatti quanto sto dicendo.
La superficialità che le aziende di grosso calibro stanno dimostrando nei confronti dei temi legati alla reputazione, al ritorno di immagine e all’employer branding stesso, la dice lunga non solo sulle dinamiche manageriali interne, ma sono un vero e proprio scrigno aperto per capire anche la qualità della gestione delle Risorse Umane. A questo punto viene spontanea una considerazione in merito all’attitudine a spostare la comunicazione aziendale dai cari vecchi comunicati stampa degli Amministratori Delegati old style ai nuovi sistemi e canali di comunicazione dove non sei più da solo a comunicare ma oggi, che tu lo voglia o meno, ci sono centinaia Signor Nessuno che possono sbugiardare in un attimo le tue dichiarazioni.
Il tutto ricoperto da una bella infarinata di Great Place to Work e Digital Transformation a fare da Mr. Wolf ai continui incespichi di aziende che confondono la grandezza con l’arroganza.
Adesso attendiamo gli sviluppi a quest’altra straordinaria trovata del Corriere della Sera. Se fossero veri i numeri strillati solo da questi due ultimi articoli, avremmo già risolto la disoccupazione di due intere regioni.
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