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Quando la città è uno stato mentale
A Stoccolma vanno a braccetto cultura, produttività e crescita economica. Nell’aeroporto della capitale svedese, il manifesto qui riprodotto recita che quella città è uno stato mentale, un’ampia disposizione d’animo. Quel manifesto è un’immagine vivida della massa critica in campo culturale e del gioco di squadra con protagonisti partecipanti al circuito internazionale dei talenti. Insomma, cultura […]
A Stoccolma vanno a braccetto cultura, produttività e crescita economica. Nell’aeroporto della capitale svedese, il manifesto qui riprodotto recita che quella città è uno stato mentale, un’ampia disposizione d’animo. Quel manifesto è un’immagine vivida della massa critica in campo culturale e del gioco di squadra con protagonisti partecipanti al circuito internazionale dei talenti. Insomma, cultura diffusa.
Il legame tra cultura, produttività e crescita economica della Svezia è visibile nei due grafici di seguito.
Come osserva Leif Edvinssson, pionere degli studi sul capitale intellettuale, in un libro di prossima pubblicazione a cura di chi scrive (Piero Formica, Entrepreneurial Renaissance: Cities Striving Towards an Era of Renaissance and Revival, Springer, New York), la città della cultura è volutamente progettata per coltivare la conoscenza. Essa è uno spazio dove scorrono flussi di scambio e di ottimismo, in cui ciascuno di noi può nutrire aspirazioni e dedicarsi a progetti personali e collettivi in un clima di dinamismo, armonia e creatività. Da questa prospettiva, la città potrebbe essere paragonata a un super cervello, com’è emerso dalle ricerche condotte da Debra Amidon e Bryan Davis sulle “Knowledge Innovation Zones”.
Non sono state proprio un super cervello le città rinascimentali italiane? Quali barriere oggi la cultura deve abbattere per riannodare il suo rapporto con produttività e crescita che da tanti anni ormai sono anime vaganti intorno allo zero, in una situazione di assoluta incertezza?
Sono barriere gli alti e incomunicabili silos culturali entro cui vivono gli specialisti di discipline separate tra loro da cortine di ferro. Far cadere quei muri permetterebbe al paese di cogliere le opportunità dischiuse dal nostro tempo in cui le idee, le più culturalmente diverse le une dalle altre, appaiono come dei fili che intrecciano storie e progetti con forti ricadute sui tessuti sociali ed economici. Incontrarsi, connettersi, combinarsi e anche cozzare tra loro: l’intersecarsi delle idee artistiche, scientifiche, imprenditoriali e politiche è il frutto di quel processo creativo che prende il nome di “ideazione”. Un processo innescato dal fenomeno sociale che Frans Johansson ha chiamato “effetto Medici”, risalendo al ruolo propulsivo dell’innovazione a tutto campo attribuito alla celebre casata di banchieri e signori di Firenze.
La frammentazione della società italiana è un’altra barriera tanto alta quanto solida. Sono una folla le tante fazioni portatrici di interessi particolari che premono sul legislatore, il quale annualmente emana, a loro vantaggio, più leggi di quelle approvate in Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. L’eccesso di frammentazione legislativa impedisce alla cultura di far lievitare produttività e crescita sfruttando la sua capacità di produrre e diffondere conoscenza attraverso reti transculturali formate da persone e imprese delle più svariate estrazioni. L’interazione culturale tra industriali e scienziati è il punto di forza di Bangalore. A Tel Aviv, programmi di ricerca transdisciplinare fanno fiorire startup globali. Da noi, per contro, è andata perduta la lezione esemplare che a questo proposito ci è stata impartita dai club e dalle società informali d’apprendimento come la Lunar Society di Birmingham e gli Honest Whigs a Londra – i rivoluzionari industriali del 18mo secolo che in Inghilterra aprirono quel sentiero che poi prese il nome di “rivoluzione industriale”. Quel corpo variamente articolato di rivoluzionari – ne facevano parte scienziati, inventori, imprenditori, artigiani, artisti, politici – condivideva le idee in modo assolutamente libero anche perché svincolato da incentivi monetari. Il fluire delle idee in movimento e la conseguente influenza che costoro esercitarono sulla società del loro tempo agì da moltiplicatore della produttività e della crescita.
Rinascita dell’istruzione, fiducia reciproca ed economia del rispetto sono le tre condizioni necessarie, anche se non sufficienti, per abbattere le barriere che separano la cultura dalla produttività. Nel Paese, il tasso di fiducia verso il prossimo è molto basso: si aggira intorno al 20%. Tanto più alta è la fiducia e quindi la propensione all’altruismo e alla reciprocità (l’altruismo ricambiato), tanto più il rispetto verso chi è diverso da noi moltiplica le occasioni di scoperte, invenzioni e innovazioni che poi genereranno l’imprenditorialità trasformativa originata dalla cultura e a sua volta fonte di produttività.
La cultura è un albero che dà frutti di produttività e crescita nel terreno dell’economia del rispetto. Come scriveva Adam Smith nella sua “Teoria dei sentimenti morali”, lo scopo dell’attività economica dovrebbe essere il rispetto verso se stessi e gli altri. Il rispetto è più che donare a fini caritatevoli; è, scriveva Smith, rendersi “partecipe delle fortune altrui” essendo per l’uomo “necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. Basti qui ricordare che, abbinata al rispetto, la cultura del grande chimico e inventore inglese Humphry Davy (1778-1829) aprì all’apprendista Michael Faraday (1791-1867) le porte della scienza. Le scoperte di Faraday nei campi dell’elettromagnetismo e dell’elettrochimica ebbero formidabili ricadute sulla produttività e sull’imprenditorialità al tempo della prima rivoluzione industriale.
Essere sociali e affermativi verso gli altri è quindi ciò che serve all’Italia per stringere strette relazioni tra crescita culturale e crescita economica.
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