Intervistiamo Monica Buonanno, economista ed ex assessore alle Politiche sociali del Comune di Napoli: “L’arroganza di una multinazionale contro la coesione di lavoratori e istituzioni: la politica può ancora tenere fede al suo mandato”
Le lavoratrici di SaGa Coffee si salvano da sole
200 lavoratrici di SaGa Coffee sono in presidio davanti all’azienda dal 4 novembre per salvare il loro posto di lavoro. E il loro territorio. Le loro voci e le immagini della loro vita quotidiana nel fotoreportage di SenzaFiltro.
Alla SaGa Coffee di Gaggio Montano, Comune appoggiato sull’Appennino bolognese, dal 4 novembre 200 persone (quasi tutte donne) attendono di sapere quale sarà il loro destino lavorativo. Disoccupate? Riassunte da un nuovo acquirente? A quali condizioni?
Proprio dal 4 di novembre hanno realizzato un presidio all’ingresso dell’azienda dove si sono organizzate per trascorrere tutta la giornata. Davanti alla SaGa campeggiano una tenda bianca con una cucina attrezzata, una botte di ferro dove bruciano grossi ceppi di legna e una tenda blu allestita per la notte. Ci hanno dormito fino a Natale; poi il clima rigido e gli impegni familiari (quasi tutte hanno figli) gli hanno impedito di fare “il turno di notte”. Ma ancora oggi questo gruppo di donne trascorre tutta la giornata davanti all’azienda che le ha sfrattate: non mollano. Non vogliono mollare. Noi le abbiamo raggiunte il 15 Febbraio, dopo quasi 100 giorni di presidio e alla vigilia della decisione finale.
Sono anche abituate a parlare con la stampa perché i giornali le hanno sempre seguite, anche se l’unica che continua a garantire una certa continuità è “Linea Notte”, che tutte le sere racconta la vertenza. Loro si sentono di ringraziare i media che gli hanno dato molta visibilità e gli hanno permesso di toccare corde sensibili. Noi gli garantiamo che continueremo a seguire e a raccontare le loro storie. Molte lavoravano in Saeco e hanno già subito questa esperienza di incertezza. Sono agguerrite, ma non incattivite. Sono preoccupate, ma non disperate. Chiedono solo di lavorare.
Elisa abita a Vergato. È una mamma single con due figli.
“Lavoro a Gaggio Montano da più di 20 anni e c’ero anche quando è successo il patatrac in Saeco. Sei anni fa c’erano 275 esuberi e ci mandarono tutti fuori, poi c’è stata una cessione di ramo d’azienda. Sono una mamma single, e se quest’azienda chiude io non so più dove andare. Abito a Vergato (un paese sull’Appennino bolognese a 25 km dall’azienda) e avendo due figli non posso permettermi di cercare lavoro a Bologna, ad esempio. Sarebbe troppo lontano. Per questo sono qui fuori con il presidio dal 4 novembre. Siamo praticamente tutte donne, io ho quasi sempre lavorato nelle linee di produzione, poi sono stata trasferita in magazzino e ho preso anche la patente per il muletto. Oggi vado avanti con la cassa integrazione, venerdì (18 febbraio) c’è l’incontro decisivo per capire come andrà a finire la questione. Ad oggi non sappiamo chi saranno i nuovi acquirenti e quante persone conserveranno il loro posto di lavoro. Abbiamo bisogno di certezze.”
Carmela lavora a Gaggio Montano dal 2003. Anche lei era in Saeco.
“Dal 2003 nonostante i cambiamenti sono riuscita a mantenere il lavoro e il mio ruolo. Ho lavorato come operatrice di linea e il mio lavoro non è mai stato particolarmente stravolto, ma il 4 novembre mi è cascato il mondo addosso. Io però sono ottimista. Sono qui quasi tutti i giorni, abito a 200 metri e ho dei bimbi che vanno a scuola nei dintorni. Hanno 8 e 11 anni e loro hanno tutto qui, casa, scuola, amici; per me non è pensabile spostarmi. Se fossi stata da sola non ci avrei pensato due volte, ma con due bimbi piccoli non ho molte soluzioni.”
Laura, delegata sindacale per la FIOM dal 2011.
“Dal ‘96 ho avuto un percorso sempre stabile, con uno stipendio e una dignità. Facevo macchine da caffè professionali e anche nei vari passaggi da Saeco e Philips a SaGa Coffee ho sempre mantenuto il mio posto. Abito qui vicino, a Marano, una frazione di Gaggio Montano, e spero di poter rientrare a lavorare. Siamo in cassa integrazione da mesi, per fortuna l’azienda ha anticipato la cassa integrazione e non siamo rimaste scoperte. Ma questa è l’unica cosa positiva che ha fatto dal 4 novembre, giorno in cui ho pianto come una bambina. Questa è una fabbrica prevalentemente femminile, le donne sono l’80% e abbiamo tante realtà difficili. Ci sono mamme sole, mamme separate che non ricevono gli alimenti dall’ex marito, ma anche casi di moglie e marito che lavorano entrambi qui, e quindi famiglie intere che vivono con stipendi dimezzati e nella completa incertezza. Non è il mio caso, perché ho due figlie ormai grandi e sono part time da tempo, e sono fortunata perché mio marito lavora altrove. Anche lui era in Saeco anni fa, ma quando c’è stata la cessione, avendo in mano una patente da camionista, è riuscito a trovare lavoro altrove. Questo ci ha salvato.”
Franca, 59 anni. Le mancherebbe poco alla pensione.
“Da 21 anni lavoro in questa azienda, mentre prima lavoravo presso un artigiano. Mi mancano 7 anni per andare in pensione, con 41 anni di lavoro. La mia alternativa è quella di aspettare la pensione di vecchiaia, anche se spero di lavorare qui fino alla fine, perché non ho alcuna intenzione di spostarmi (abito sul versante toscano della montagna). Qui alla SaGa ho svolto diverse mansioni. Sono entrata come operaia, ma avendo un diploma da ragioniera mi sono trovata a fare da jolly. Mi sono occupata di amministrazione, sia nel settore delle vendite che in quello degli acquisti. Ho due figli che sono andati via da questa valle, perché non c’è lavoro. Uno di loro vive a Bologna, paga oltre 700 euro di affitto. Io dopo tanti anni ho voglia di un po’ di riposo, perché dopo un periodo così difficile sono molto affaticata.”
Lasciamo il loro presidio e scendiamo lungo l’Appennino Bolognese con la loro stessa speranza nel cuore, del resto mancano pochi giorni all’incontro decisivo che deciderà il destino dell’azienda.
Chiusi gli accordi, ma ancora incertezza
Gli accordi si sono chiusi e la nuova società partecipata dalle aziende Tecnostamp e Minifaber, che si costituisce il primo giugno, si impegna all’assunzione di almeno 137 lavoratori (il numero potrebbe salire a 150 se Invitalia dovesse confermare il proprio ingresso). Nel frattempo chi verrà richiamato in azienda potrà lavorare: ad esempio, il 28 febbraio sono rientrate al lavoro 25 persone. Gli altri restano in cassa integrazione straordinaria.
I quasi cento giorni di presidio hanno prodotto risultati: la maggior parte dei posti di lavoro, 137 ma forse anche 150, saranno salvati, ma l’incertezza resta. Elisa, Carmela, Laura e Franca sapranno soltanto a fine luglio se riusciranno a mantenere il posto di lavoro.
Leggi gli altri articoli del reportage 109, “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.
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Foto di Lara Mariani.
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