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Libri e distribuzione, monopoli e dannazione
Se le librerie continuano a chiudere più di un motivo c’è. La questione è talmente dibattuta che quasi annoia, ma i dati di fatto restano: in Italia i libri muoiono, muoiono in fretta e si rubano posto sugli scaffali a ritmi sostenuti e preoccupanti, quasi quanto i letti d’ospedale che non bastano mai. I dati […]
Se le librerie continuano a chiudere più di un motivo c’è.
La questione è talmente dibattuta che quasi annoia, ma i dati di fatto restano: in Italia i libri muoiono, muoiono in fretta e si rubano posto sugli scaffali a ritmi sostenuti e preoccupanti, quasi quanto i letti d’ospedale che non bastano mai.
I dati AIE rilasciati pochi giorni fa mettono un +11,5% davanti alla parola “Novità” che fa tremare le librerie, gli agenti di vendita, la filiera e il sistema intero; tranne i distributori. Nel 1980 i nuovi titoli si stimavano intorno ai 13.000, di cui solo 100 di narrativa, ma erano 72.000 nel 2017 e 76.000 lo scorso anno: dopo quasi quarant’anni, rimasto all’incirca invariato il numero dei lettori incrociando i dati ISTAT, l’aumento delle novità supera il 500%. Pubblichiamo e distribuiamo troppo, leggiamo poco. Attenzione a dare le colpe al digitale perché il dato di assestamento degli e-book in Italia parla di appena un 10% del mercato dei lettori.
“Prendersela con le grosse catene sarebbe come arrestare il primo indiziato, troppo facile”, chiosava a giugno scorso lo scrittore Claudio Morici dalle pagine di Internazionale entrando nel vivo dei numeri, poggiando il dito sui nervi scoperti e firmando un pezzo dal titolo Il delitto perfetto, indagine sulla chiusura delle librerie di Roma. L’articolo merita la lettura non solo perché non cerca con vano accanimento il nome del colpevole, ma soprattutto perché non cede alla tentazione tutta italiana di additare qualcuno – e tirar fuori il sangue dalle risposte – piuttosto che capire il perché di certi fenomeni.
Morici mette in fila la logica, i numeri, l’ignoranza dei lettori italiani e la paradossale pretesa che un corriere consegni a casa loro, con sfrenata urgenza e solo domani, l’unico libro che leggono in un anno.
“Tra i primi sospettati ci sono le grandi catene tipo Mondadori e Feltrinelli, che negli anni Novanta sono entrate nel mercato a gamba tesa. Grandi editori che tutt’oggi, unico caso in Europa, i libri li pubblicano, li distribuiscono, li vendono, e a volte se li leggono pure da soli. I numeri parlano chiaro: le librerie a conduzione familiare in Italia erano 1.115 nel 2010. Nel 2016 erano 811. Intanto, quelle che fanno parte di grandi gruppi sono aumentate: da 786 a 1.052”.
Morici non le manda a dire e la riflessione parte da lì anche per me, che ho avuto la fortuna di farmi un’idea dello stato di salute della distribuzione libraria a The Publishing Fair. Seduti allo stesso panel, hanno detto la loro Angela Paola Di Biaso (Direttore Commerciale di Messaggerie Libri), José Manuel Anta (Direttore della International Publishing Distribution Association) e Giacomo D’Angelo (Direttore di Streetlib).
Librerie che chiudono: nell’Italia in crisi culturale la distribuzione è un monopolio
Si sono confrontati sulla distribuzione, la promozione, i grossisti, i problemi legati ai pagamenti e alle riscossioni del venduto, il tema dell’esclusiva e, neanche a dirlo, le rese altissime.
A capo di una verità di certo non si è arrivati, ma il confronto ha dato da bere a tanti luoghi comuni inariditi e a prospettive originali. Ciò che mi è sembrato chiaro tocca solo due aspetti: il primo è che dentro la filiera distributiva ci siano pochissimi strumenti per decifrare modelli totalmente disomogenei; il secondo è che siamo davanti a un monopolio con le unghie ben laccate ma affilatissime e che farsi distribuzione da soli in Italia è troppo costoso, è doloroso, è impari.
Poche settimane fa non sarà passata inosservata agli addetti del settore un’intervista spinosa pubblicata su cronacheletterarie.com a firma di Tiziana Zita. Le risposte sono di Paolo Nicoletti Altimari, fondatore e direttore della nota Koob di Roma, libreria a pochi passi da un ingresso del Maxxi. Nicoletti non ha solo libri da vendere, ma anche decenni di esperienze vissute sia come storico referente alla Hoepli di Milano che come lettore e traduttore per numerose case editrici. Fa parte anche di una rete di circa 40 librerie indipendenti su Roma, Milano e Torino che spingono verso una forza contrattuale maggiore: non riescono a reggere i ritmi dei distributori che inoculano costantemente novità con una vita media inferiore ai due mesi, mentre loro hanno impegni finanziari a cui rispondere senza sconti di tempo.
“Ai nostri numeri già piccoli si è aggiunta una crisi economica e culturale fortissima, oltre alla questione della distribuzione. Nel 2015 abbiamo fatto un gran parlare di Mondadori che si comprava Rizzoli e di antitrust, ma nessuno si è preoccupato della distribuzione Messaggerie che gestisce una fetta di mercato enorme.”
“Mondadori, Einaudi e Rizzoli hanno la loro distribuzione, tutto il resto è distribuito da Feltrinelli-Messaggerie. Messaggerie è il gruppo Gems, quindi Longanesi, Guanda, Neri Pozza, Garzanti e molti altri. È la famiglia Mauri Spagnol che gestisce tutto quanto, unita a Feltrinelli. Poi c’è la distribuzione della Mondadori e una piccolissima parte di distribuzioni indipendenti, tra cui ALI (Agenzia Libraria International) e poche altre piccolissime. Solo in Italia la distribuzione è proprietà di editori. In tutto il resto del mondo la distribuzione è indipendente.”
“Chi ha voluto sottrarsi al monopolio di Messaggerie, come la casa editrice E/O, è passato ad ALI, ma ha dovuto scontare una differenza di capillarità di distribuzione enorme. E/O ha la forza per farlo perché è l’editore de L’amica geniale. Per quale ragione un editore deve sottrarsi a un monopolio di questo tipo? Perché Messaggerie, con la sua posizione dominante, impone i contratti che vuole agli editori.”
Lo strapotere dei distributori
Ogni volta che prendiamo in mano un libro, circa un 60% di quel libro risponde a costi di distribuzione; in Germania siamo tra il 40 e il 50%. L’editore in media prende meno del 10% dal prezzo di copertina, e i librai tra un 25 e un 30% a seconda dei contratti.
“Così viene messa in questione la libertà editoriale”, proseguiva il titolare di Koob. “Fino a quattro, cinque anni fa, gli editori – soprattutto piccoli e medi – venivano da noi librai e ci portavano le loro proposte, che noi sceglievamo. Di fatto facevano un’indagine di mercato e poi decidevano quante copie stampare. Adesso vanno dagli unici quattro buyer sul mercato, ovvero dal responsabile degli acquisti di Amazon, di Messaggerie, della catena Feltrinelli e della catena Mondadori. Quelli gli dicono: ‘No, secondo me questo libro non vende niente, quindi io non te lo prendo’. L’editore a quel punto può rischiare lo stesso, ma quanto può permettersi di rischiare? Quindi non è più l’editore che decide cosa pubblicare, ma sono loro, i buyer della distribuzione. Praticamente l’editore è sotto ricatto”.
Il tema scotta da lungo tempo e le prese di posizione si spaccano. Messaggerie Libri si è fusa nel 2014 con PDE del Gruppo Feltrinelli, e ciò che ne è uscito è il polo distributivo italiano più potente (e scrivo potente per sottintendere un potere, che raramente è neutro).
Con Angela Paola di Biaso metto a fuoco il mestiere del distributore, di cui si conosce davvero molto poco, se non che viene considerato il lupo della filiera. “Il distributore è una vera e propria azienda che ha all’interno numerose figure professionali, certamente figure amministrative che si occupano di tutto il rapporto economico-finanziario tra distributore-libreria e tra distributore-editore. Non si pensa mai agli ingegneri che si occupano sia di logistica che di informatica oltre che di programmazione dei sistemi. Ovviamente un ruolo centrale è in capo alle figure commerciali che gestiscono tutto il rapporto con gli editori, i nostri principali clienti. Non mancano neanche esperti di economia: io ad esempio sono una matematica, che potrebbe sembrare anomala come formazione, ma di fatto funziona”.
I libri tra promozione e resa: l’unica merce che va venduta due volte
Promozione e distribuzione sono i cardini intorno a cui si dipanano le pagine dei libri prima di finire in mano ai clienti. Ma, tecnicamente, di quale promozione si parla?
“È la promozione del libro presso il libraio, cioè la vendita. Viene chiamata così perché nel nostro settore esiste la resa: in realtà l’abilità dell’agente non è piazzare la vendita ma posizionare il libro nel posto giusto, dato che una vendita piazzata si può trasformare in resa e quindi rivelarsi inutile. Anche per questo, in gergo le figure commerciali sono chiamati ‘agenti di promozione del libro’, ed è un mestiere completamente diverso da quello che facciamo noi distributori: noi forniamo tutto quello che serve per la vendita, che non è ovviamente solo far arrivare i libri nei negozi, ma offrire strumenti di informazione e conoscenza alle reti commerciali. In sostanza ci occupiamo di distribuzione, incasso e conseguente pagamento agli editori. I nostri costi ricadono su di loro ripartiti in base al business che generano”. Il rapporto tra agenti di vendita e distributori è l’ulteriore anello della catena e la Di Biaso lo spiega così, rispondendo alla video intervista.
I panni del moderatore sono andati a Walter Martiny, direttore editoriale di Edizioni del Capricorno e di Espress edizioni, pienamente a suo agio nel muoversi tra le criticità e le prospettive della distribuzione italiana ed estera. “La resa incondizionata del prodotto libro è un’anomalia di settore rispetto a tutti gli altri prodotti merceologici”, esordisce. E chiede a José Manuel Anta se anche in Spagna i grossisti siano clienti esclusivi dei distributori.
“I grossisti sono il ruolo chiave di supporto ai librai. Il loro peso è cresciuto moltissimo negli ultimi anni perché il ruolo delle librerie è cambiato, è cambiato il modello di vendita. Lo stesso Amazon, anche in Italia, di fatto rappresenta per i negozi un eccellente grossista. In Spagna abbiamo due grossisti che stanno lavorando insieme per rendere autonoma la distribuzione. Le librerie sono in crisi in tutto il mondo e la settima edizione dell’appuntamento che si tiene ogni anno a Madrid, simile a The Publishing Fair, nel 2020 sarà dedicata proprio alle librerie come nuovi spazi fisici. Sempre nel 2020 verrà presentato negli Stati Uniti un progetto molto interessante da parte di librerie indipendenti in collaborazione con imprese tecnologiche per dare vita a un competitor per Amazon; anche in Spagna, comunque, l’Associazione dei librai sta sviluppando un progetto simile in modo da offrire non solo ai lettori la possibilità di scegliere ma anche alle librerie un canale diverso di espressione”.
Audiolibri ma non solo: i nuovi mercati del libro
L’aria fresca è arrivata con Giacomo D’Angelo, come avesse spalancato di colpo cento porte su un modo vecchio di parlare dei libri che intanto hanno fatto la muta con le forme e non solo con le sostanze. Streetlib nasce a prima vita nel 2006 intuendo con intelligenza le voragini del settore e le potenzialità della tecnologia: operano nell’editoria elettronica, conoscono gli strumenti, osservano il mondo. “Il 40% dei lettori di audiolibri non ha mai letto un libro cartaceo, ce lo ha rivelato Audible poco fa nell’altra stanza. Quello è un mercato che l’Italia in media sta gestendo troppo poco e invece è pieno di risorse. Anche Audible e Storytel forse stanno lavorando nel nostro Paese in modo poco lungimirante per gli editori; il nostro sforzo è al contrario quello di integrare tutti i retailer, che sono circa dieci in tutto il mondo”.
Su tutto, forse, Streetlib sta rivoluzionando le vecchie bussole geografiche in tema di internazionalizzazione. “Normalmente quando si parla di mercato internazionale si parla di mercato western, cioè anglosassone – che vuol dire Nord America e Inghilterra – e certamente anche Nord Europa: di fatto però nessuno dice che in totale pesano solo per un 25-30% delle opportunità che ci sono nel mondo. Il mondo è molto più grande, basti pensare al lavoro in corso con Asia, Africa e America Latina. In troppi si dimenticano che siamo nel 2020”.
Giacomo d’Angelo non risparmia analisi e consigli per gli editori italiani, invitandoli nella videointervista a tenere fermo l’asse sui contenuti, a non svenderli mai e a non rinnegare la lingua italiana.
“L’Italia è molto in ritardo sul piano digitale e tecnologico quando si parla di libri. Noi, da italiani, cerchiamo di sostenere gli editori ad avere un approccio olistico e multiformato: audio, digitale e print on demand, quest’ultimo anche per restare sul tema delle rese che vengono azzerate. Un metodo simile apre gli editori a tre mercati diversi e anche a tre pubblici di lettori diversi, tutto questo affacciandosi a prospettive nuove senza dover fare investimenti chissà quanto rischiosi. Sappiamo tutti quanto il mercato del libro sia costoso e farraginoso. Quindi nuovi formati e nuovi mercati: il concetto di mercato non è solo geografico, è anche un concetto di business, per non parlare del mercato delle figure professionali in continua trasformazione tra chi scrive e chi legge come unici due punti fissi. Viviamo gli anni delle subscription sotto varie forme, e anche quello è un mercato per gli editori in termini di revenue: chi si chiude non immagina nemmeno quanto sia vasto il mercato editoriale”.
Dietro i libri siamo pieni di primati italiani. Il primo è che siamo una popolazione culturalmente pigra. Nel 2018 è rimasto stabile rispetto all’anno precedente il numero di lettori di libri, dice l’Istat pubblicando pochi giorni fa i dati. “A partire dall’anno 2000, quando la quota di lettori era al 38,6%, l’andamento è stato crescente fino a toccare il massimo nel 2010 con il 46,8% per poi diminuire di nuovo fino a tornare, nel 2016, al livello del 2001 (40,6%), ora stabile.
Il secondo è che i grandi editori sono proprietari della distribuzione e delle catene, unico Paese al mondo con una filiera diretta. Non credo dovremmo andarne troppo fieri: proviamo a voltare pagina?
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