Scarica il podcast della puntata. Andrea Bucci è trasteverino di nascita ma cittadino del mondo per i tanti anni passati in Australia, UK e Francia, nel corso di una carriera che lo ha visto iniziare in Iveco per poi approdare in Nissan e diventare nel 2015 CEO di Knauf Italia. Al suo lavoro affianca tre splendide figlie […]
L’impresa familiare è un figlio disabile
Una metafora forte descrive l’impresa familiare e i rischi a cui va incontro al momento di effettuare un passaggio di generazione.
Famiglia e impresa sono due
istituzioni fondamentali del nostro vivere sociale.
Nella famiglia nasciamo e ci
formiamo, troviamo riparo e sostegno per crescere e sviluppare le nostre
potenzialità. I genitori, ma anche fratelli, nonni, zii e cugini vari, sono la
nostra prima esperienza di vita sociale, e ci insegnano i valori su cui
fondiamo il nostro stare con gli altri. La famiglia ci definisce nella
relazione che ci unisce; dalla famiglia riceviamo educazione, esperienze,
cultura.
L’impresa è l’ambiente di lavoro per antonomasia. Nell’impresa mettiamo in gioco i nostri talenti, forgiamo le nostre abilità, formiamo la nostra professione. Creiamo una comunità di saperi per produrre valore sociale prima ancora che economico. Il ruolo che abbiamo al lavoro definisce gran parte della nostra identità, facciamo quello che siamo e siamo quello che facciamo.
L’impresa familiare e il problema dei cambi al vertice
Quando famiglia e impresa si intersecano diventano famiglia imprenditoriale e impresa
familiare. A questo punto accade qualcosa di speciale: due sistemi che
spesso hanno obiettivi in contrasto creano un ambiente unico, speciale, capace
di valorizzare sia famiglia che impresa. Lo dimostrano studi italiani e
internazionali: a parità di dimensione e di settore, l’impresa familiare
produce risultati migliori dell’impresa manageriale. I principali motivi sono
il coinvolgimento e la passione di chi la guida e una visione di lungo periodo
che tiene conto in modo quasi naturale della responsabilità nei confronti della
comunità in cui è inserita.
Si dice che un’impresa è familiare quando almeno due persone della stessa
famiglia occupano posizioni di responsabilità al suo interno. C’è da dire però
che, anche quando l’imprenditore o imprenditrice tiene l’azienda separata dalla
famiglia, quest’ultima è capace di influenzarne la gestione con le sue
aspettative e con il suo sostegno, con la sua propensione al rischio e le sue
necessità di consumo.
Quando chi è alla guida dell’impresa non è più in grado di assicurare
continuità e sviluppo si apre la stagione della transizione, del passaggio generazionale. La successione
di un leader al vertice dell’azienda è delicata in qualunque realtà, anche in
quelle manageriali, ma nelle imprese di famiglia diventa particolarmente
cruciale, soprattutto se il terreno non è stato preparato per tempo.
Durante le interviste agli imprenditori
di prima generazione (i fondatori) chiediamo spesso quanti figli hanno. La
domanda introduce un piccolo gioco per dimostrare che per loro anche l’impresa è un figlio, una creatura a cui hanno dato
vita, energie e cure per farla crescere. Quando abbiamo condiviso questa
lettura abbiamo fatto notare che l’impresa, però, è un figlio disabile, provocando reazioni perplesse e allo stesso
tempo incuriosite.
È disabile, diciamo loro, perché mentre i figli reali possono rendersi
indipendenti dai genitori, l’impresa rimane profondamente vincolata alla figura di chi la guida. Se chi è al
vertice non la fa crescere, l’impresa rimane completamente dipendente. Ciò
accade soprattutto quando l’imprenditore è il fondatore di prima generazione:
il rischio è che veda l’azienda come qualcosa di cui disporre a piacimento. “Io
sono il creatore!”, ci disse una volta il fondatore di un’azienda, marcando
così forte la parola creatore da domandarsi se la “c” la intendesse maiuscola.
Anche nel caso in cui siano presenti persone desiderose di mettersi in gioco e prendersi responsabilità, se l’imprenditore non lo permette non troveranno mai spazio per esprimersi, a meno che non lascino l’impresa. Se le persone più intraprendenti decidono di andarsene e l’imprenditore non prepara il terreno alla stagione che lo seguirà, l’azienda si troverà nella “trappola del fondatore” (Adizes), e sarà destinata a declinare velocemente quando non ci sarà più l’imprenditore alla sua guida.
Il lungo lavoro di preparazione al cambiamento
Il passaggio di testimone diventa,
quindi, la dimostrazione di un lavoro che dura tutta una vita. Si tratta di
preparare e di prepararsi alla successione, lavorando sulla maturazione delle
competenze di chi è coinvolto in azienda o inserendole dall’esterno per trovare
un equilibrio dinamico tra spinta imprenditoriale e struttura manageriale.
La guida dell’impresa può essere
affidata a un membro della nuova generazione, a un manager cresciuto
internamente o inserito dall’esterno, oppure ceduta a terzi. Lasciare il
testimone alle nuove generazioni ha senso quando i figli sono in grado di
gestire efficacemente l’azienda e quando l’azienda è nel progetto di
realizzazione personale dei figli. Non
rovinare l’azienda per i figli né i figli per l’azienda, è il nostro motto.
Se non ci sono le condizioni per una serena continuità dell’impresa di famiglia,
con le nuove generazioni, si può laicamente pensare a percorsi alternativi,
come la delega della gestione a manager esterni alla famiglia e la cessione
dell’azienda a terzi.
Ma se si vogliono preparare le condizioni perché ci sia la possibilità di
una continuità d’impresa attraverso le nuove generazioni, bisogna cominciare
per tempo un lavoro di avvicinamento
alla responsabilità di vertice. I figli si preparano all’esperienza
imprenditoriale ancora prima di entrare in azienda, quando in famiglia
assorbono i valori e le esperienze che i genitori riportano a casa dal lavoro.
Questa spinta imprenditoriale verrà poi maturata nelle scelte di studio e nelle
prime esperienze lavorative fuori e dentro l’impresa, ma soprattutto verrà
coltivata anno dopo anno, crescendo in competenze, responsabilità e maturità.
La stagione delle due generazioni
(genitori e figli) presenti
contemporaneamente in azienda può durare più lustri, e la differenza,
nell’ottica della successione, viene fatta dall’evoluzione dei ruoli e delle
responsabilità. Se questa evoluzione non c’è, ci si ritrova a distanza di anni
con i senior sempre pienamente al comando e i junior incapaci di crescere, e
che si ritrovano impreparati quando il tempo è maturo. Questo è il rischio
della cristallizzazione.
Per evitare che succeda è fondamentale che ci siano occasioni periodiche di confronto tra generazioni rispetto alle reciproche aspettative su tempi, ruoli, impresa e famiglia. È un dialogo spesso difficile, ma che se iniziato per tempo può permettere quella continuità fondamentale per l’armonia in famiglia e i risultati in azienda.
Photo by www.greenplanner.it
Leggi anche
Le catene di abbigliamento per giovani hanno aperto la crisi (e la corsa allo sfruttamento) del ruolo di store manager, bistrattato dai superiori e in conflitto con i colleghi. Ne parliamo con Alessandro Martignetti di FISASCAT CISL e Chiara Ferrari di FILCAMS CGIL.
Non manca giorno in cui da qualche parte, in occasione di qualche dibattito o su qualche media, qualcuno faccia riferimento più o meno diretto alla “fuga dei cervelli” che colpisce sempre più spesso il nostro Bel Paese. Da troppo tempo. E da qui, per qualche tempo, si attiva il classico meccanismo di rimbalzo, con analisi […]