LinkedIn non è Facebook

Su LinkedIn non mi connetto con chi non conosco. Questa è una regola aurea che mi porto avanti da sempre. Questo articolo è proprio rivolto alle mie connessioni in prima battuta, perché tra voi ragazzi – amici, colleghi, parenti e affini – c’è qualcuno che “lo sta facendo male”, nonostante sia connesso a “Lady LinkedIn”, come mi […]

Su LinkedIn non mi connetto con chi non conosco. Questa è una regola aurea che mi porto avanti da sempre.

Questo articolo è proprio rivolto alle mie connessioni in prima battuta, perché tra voi ragazzi – amici, colleghi, parenti e affini – c’è qualcuno che “lo sta facendo male”, nonostante sia connesso a “Lady LinkedIn”, come mi ha ironicamente definito pochi giorni fa un mio contatto (su Facebook). LinkedIn non è Facebook, ma non è nemmeno Tinder o altro ancora. Lo spirito con cui lo si dovrebbe approcciare questa piattaforma è ben diverso sia per gli obiettivi aziendali che incarniamo che per quelli individuali, posto che ognuno di noi avrà degli obiettivi professionali unici e diversi dagli altri.

Il pullulare di illuminanti citazioni (mai verificate), le foto imbarazzanti dei party di Natale con decolleté al limite del pornografico o pose goliardiche (che nemmeno a 15 anni), e i raccapriccianti thread dei geni della matematica che si cimentano nel loro calcolino da bar, mi fanno perdere fiducia nell’umanità e io, puntualmente, clicco sul tasto unfollow (quando la confidenza non è tale per cui vi invio direttamente delle considerazioni in merito, via messaggio diretto LinkedIn). Gente che ti dice che non ha tempo di curare le relazioni della propria rete, di aggiungere qualche parola per migliorare il proprio cv, di leggersi un post al giorno su Pulse o farsi un corso online su Lynda.com, che però non manca di spammarmi la timeline con queste chicche imperdibili di saggezza popolare.

Se proprio dobbiamo dirla tutta io non faccio molta distinzione fra Facebook e LinkedIn e gli spammer seriali o “bulimici da status” li mal sopporto sia di qua che di là. Ho una regola guida, che è: non spammare, fai in modo che gli altri non debbano subire delle notifiche di scarso valore, mantieni viva l’attenzione diffondendo – con misura – contenuti di qualità. Il tuo personal brand non è quello che dici di te, ma il valore percepito negli occhi degli altri che ti ascoltano, ti osservano, ti seguono. Certo però bisogna essere se stessi. Accidenti.

LinkedInisnotFacebookPost

Sul tema “LinkedIn non è Facebook” sono certa di avere una nutrita base di utenti dalla mia parte, e di non essere la prima che si esprime in tal senso. Se operate una semplice ricerca nel campo di ricerca di LinkedIn, fra la categorie “post”, troverete che per “LinkedIn  non Facebook” ci sono 15.329 risultati: sono i post degli utenti che hanno già scritto in merito e, se pensiamo alla loro rete di primo livello, scopriremo che questi post hanno raggiunto un potenziale di centinaia di migliaia di persone.

Qualche giorno fa ho intercettato la discussione che ha generato un mio contatto, condividendo uno status personale su LinkedIn in cui dichiarava che avrebbe eliminato un paio di connessioni moleste, di quelle che usano in modo inappropriato il network. È partito un thread di 307 commenti di detrattori e sostenitori. Alcuni inneggiavano alla bontà del contenuto (sostenuto da circa 900 like, che su LinkedIn equivalgono a 900 condivisioni!), altri sono partiti a filosofeggiare su questo e quel tema correlato, a far intendere che ci sia sempre un’interpretazione diversa. Gente con molto tempo da spendere, evidentemente.

Tra me e me son partiti un paio di epiteti annoiati nei confronti dei signori oggetto dell’accusa dell’utente in questione, perché è questo il sentimento che ingenerano oramai in me: noia. Riguardo ad alcuni commenti invece mi son tornati in mente taluni personaggi incontrati – almeno uno per ciclo di studi – sui banchi di scuola: avete presente il brillante di turno che alzava la mano per dire la sua, ma non avendo capito bene il contesto o la questione, andava totalmente fuori tema, causando la prima volta l’ilarità degli altri, e dalla seconda volta in poi un senso di inappropriatezza e fastidio da perdita di tempo? Più o meno quello.

Solo oggi, scorrendo la mia timeline LinkedIn, ho trovato queste chicche per voi: stralci da libro cuore, sgranati collage ispirazionali a sfondo politico, foto improbabili di cartelli appesi chissà dove, proposte di anelli “per tutte le mani”, screenshot di rassegna stampa imperdibili.

OggisuLinkedIn

Il tema non è che questi contenuti siano inadeguati in assoluto (ben vengano i contenuti ispirazionali confezionati per bene). Il messaggio è un altro: questo è un media con delle regole specifiche di comportamento, di linguaggio, di stile ed è bene sapersi comportare di conseguenza.

Accettando solo connessioni reali devo ammettere che non mi è capitato di dover sopportare troppo questi scambi o condivisioni, ma spesso è solo perché se non alla prima, sicuramente alla seconda avvisaglia nascondo gli aggiornamenti del personaggio in questione e “ciao bello, a mai più”.

I social network sono reti sociali e riflettono la vita reale: si sceglie e si seleziona chi merita di avere la nostra attenzione, chi ci rispetta e chi merita il nostro rispetto, e in questa piazza virtuale (virtuale solo perché intangibile, ma molto reale nelle sue dinamiche) ognuno si pone nella sua totale essenza, dimostrando attraverso i suoi comportamenti ciò che vale, quando vale qualcosa.

Osservando certe dinamiche mi chiedo sempre se le persone prima di aver condiviso un contenuto si siano poste qualche domanda, e alcune volte temo che non lo facciano: è evidente che scrivano per sé, pensando forse così di potersi disegnare addosso il personaggio che sognavano di essere sin da bambini, ma che non hanno ancora capito che sono gli altri a doverti riconoscere.

Ora metto il cappello di chi lavora in azienda e che magari a questo mondo di conversazioni digitali è poco avvezzo, o semplicemente ha un’attenzione selettiva a ciò che accade su LinkedIn, non avendolo aperto tutto il giorno (e tutti i giorni come alcuni di noi). Sia che si parli di un profilo HR che deve cercare dei collaboratori, che di un professionista in un ruolo marketing o acquisti, mi piace fare il gioco del “chissà cosa pensa nel leggere ciò che condivide questa gente?”. Io credo che il digitale sia una grande opportunità ma che allo stesso tempo questa possibilità di entrare in connessione – e di garantirsi una visibilità con interlocutori interessanti per il proprio business – non vada banalizzata.

La percezione di noi, che ingeneriamo negli altri, deriva dal nostro comportamento online ed è la summa di una serie di elementi: come curiamo il nostro profilo, a chi siamo connessi, come partecipiamo alle discussioni online, a quali gruppi siamo iscritti, quanto siamo attenti alle novità del nostro settore – quanto le condividiamo corredandole con delle riflessioni personali – come padroneggiamo la lingua con cui commentiamo, con quale immagine ci rappresentiamo (cover incluse). Si tratta di un’esperienza completa in grado di comunicare davvero molto di noi: siamo esposti in una pubblica piazza e possiamo decidere il grado di esposizione di avere, ma dobbiamo essere consapevoli che al di là dello schermo molti ci guardano e si faranno un’opinione di noi. Siamo noi gli unici responsabili di questo processo, al centro di una rete a cui possiamo decidere di dare il meglio, oppure no. 

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