L’Italia è la giostra più verde del mondo

Senza politiche industriali non si va lontano, tanto più nel seguire una via della sostenibilità che in Italia non è stata ancora tracciata con convinzione. ll sesto rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il  Conai, restituisce però un’immagine che si discosta da questa percezione di arretratezza culturale italiana. Davanti a passaggi […]

Senza politiche industriali non si va lontano, tanto più nel seguire una via della sostenibilità che in Italia non è stata ancora tracciata con convinzione.
ll sesto rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il  Conai, restituisce però un’immagine che si discosta da questa percezione di arretratezza culturale italiana.
Davanti a passaggi epocali per le aziende italiane, come appunto quello della sostenibilità, è più che mai doveroso confrontarsi con chi vive da vicino la dimensione politica senza perdere di vista quella delle imprese. Lo abbiamo fatto con un nome di garanzia, Ermete Realacci, promotore e Presidente di Symbola (la Fondazione per le qualità italiane) oltre che Presidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera.

La politica industriale italiana deve inevitabilmente trovare un dialogo con un’economia della sostenibilità. A che punto è l’Italia?
“L’economia manifatturiera in Italia è al tempo stesso croce e delizia. Abbiamo grandi arretratezze che vanno superate e prima ancora combattute. Un risultato di questa legislatura, ottenuto accorpando anche le intenzioni politiche del Movimento 5 Stelle e di Sel, è stato il varare una legge sugli eco reati. Finora i pericoli per l’ambiente, per la salute e per l’econmia erano stati combattuti con strumenti spuntati. L’ipocrisia ci portava finora a usare termini giuridici come  “disastro innominato” per tragedie come Seveso o Casale Monferrato o “lancio pericoloso di oggetti”. Nessuno può negare che sia stato fatto un grande passo avanti contro il disastro ambientale e che sia stato mandato un chiaro segnale alla malavita organizzata”.

I dati di GreenItaly che riferiscono lo stato di salute ambientale delle imprese italiane sembrano ottimisti ma vale sempre la pena andare a fondo. Che rappresentatività garantiscono questi numeri sul territorio e cosa cercate di evidenziare?
“Innanzitutto sono dati di censimento e non previsioni: censiamo effettivamente cosa hanno fatto le imprese e non cosa promettono, i risultati sono il frutto di questionari inviati alle imprese i cui dati vengono poi disaggregati anche per province.
Se intendiamo una green economy trasversale – quindi non solo raccolta differenziata e risparmio energetico ma tutte le azioni di riduzione del consumo di energia, dall’innovazione di processo e prodotto alla tutela della salute, dal 2008 ad oggi 1/4 delle nostre imprese  ha fatto investimenti in questa direzione. Neanche a dirlo, sono ovviamente quelle che producono più posti di lavoro”.

Proviamo a misurare onestamente la sensibilità delle associazioni di categoria su questi nuovi valori: le politiche che propongono non solo sembrano stanche a parole ma lo dimostrano poi con i fatti. Di cosa hanno paura?
“Questa è una scommessa nuova che punta su qualità, innovazione e bellezza. La dirigenza confindustriale ha troppa paura di danneggiare la competitività, questo purtroppo è il loro pensiero ricorrente. Spesso, quando si parla di imprese e ambiente, in loro si percepisce un’idea forgiata in tempi lontani. Molti di loro sono ancora all’immagine delle ciminiere che fumano. Oggi la competitività ha un modello nuovo e occorre che la politica e le imprese lo colgano in fretta”.

Eppure ci saranno imprenditori già schierati col futuro e con modelli sostenibili.
“La nuova dirigenza Enel ha fatto un cambio di rotta incredibile, certo aiutata dai cittadini che votarono no al nucleare. Francesco Starace ha abbandonato progetti che ha capito non essere più attuali dal punto di vista economico e ambientale. Una mossa intelligente che rende il suo senso di lunghezza imprenditoriale. Enel è oggi l’unica utility italiana che sta nel Global Compact delle Nazioni Unite, non tutti lo sanno ed è un peccato. Ma questo a dire il vero accade in più settori”.

Ci racconti buone storie italiane che non si conoscono.
“Le giostre migliori del mondo si costruiscono per lo più in italia. A Pechino e Shangai giocano su giostre realizzate da noi. Nel Sud del Veneto e in Romagna vivono famiglie circensi, con cognomi vagamente gitani, che hanno saputo industrializzare la loro conoscenza e competenza in quel mondo. Battiamo ampiamente i tedeschi perché facciamo giostre più belle e più flessibili, perché pesano meno e perché consumano meno energia.
Nessuno ha detto loro queste cose ma loro lo fanno per istinto e conoscenza del proprio lavoro. Lo stesso vale per le macchine agricole, siamo leader perché riusciamo a renderle più flessibili utilizzando meno acqua, meno energia e meno prodotti chimici. Anche nel settore delle ceramiche abbiamo resistito con tenacia alla concorrenza perché abbiamo dimezzato i consumi su ogni fronte, assottigliato le piastrelle e ridotto i materiali”.

In Italia, dove manca una sensibilità ambientale profonda, spesso progrediamo grazie a multe e sanzioni. Ma è davvero un progresso questa spinta forzata?
“Non è semplice parlare di una cultura sanzionatoria in Italia perché abbiamo troppe leggi che per di più non facciamo applicare. Lo stato deve essere leggero ma autorevole, la ridondanza burocratica non garantisce nessuno: né cittadini, né imprese. L’italia in questo non eccelle davvero”.

CONDIVIDI

Leggi anche

Impunibilità nella P.A.: timbrare il cartellino non può più bastare

A Sanremo li hanno chiamati “furbetti del cartellino” per le timbrature molto approssimative della propria presenza in ufficio, ma un merito va loro riconosciuto: quello di aver portato alla rapida approvazione del decreto attuativo 116/2016 della riforma Madia che entrerà in vigore il 13 luglio 2016 e che prevede il licenziamento per chi attesta fraudolentemente […]

L’amour est socialement raciste

La femme que Jennifer ne reconnut pas, c’est celle qui s’avança vers moi, Sophie Pasquier-Legrand, ma collègue de philosophie, spécialiste de Wittgenstein, une brune sémillante, pull cachemire en v gris, jean, bottes et montre Hermès, blouson en peau de la même marque, une leçon d’élégance et de simplicité, un modèle de classique épuré. Cette parisienne […]