Marco Lombardo, Comune di Bologna: “Il disabile non è un giocattolo rotto”

Non ci sono dati statistici aggiornati e neanche studi approfonditi sul tema della disabilità. Nell’ambito dell’inclusione lavorativa, l’ultima relazione che descrive il contesto a livello nazionale riporta i dati fino al 2015. Siamo partiti proprio da qui per fare un’analisi, cioè che i dati non ci sono. In Italia abbiamo leggi e normative che inquadrano […]

Non ci sono dati statistici aggiornati e neanche studi approfonditi sul tema della disabilità.

Nell’ambito dell’inclusione lavorativa, l’ultima relazione che descrive il contesto a livello nazionale riporta i dati fino al 2015. Siamo partiti proprio da qui per fare un’analisi, cioè che i dati non ci sono.

In Italia abbiamo leggi e normative che inquadrano il tema della disabilità in maniera innovativa rispetto al resto d’Europa, tanto che alcuni Paesi stanno prendendo spunto dalla nostra Legge 68/1999 per attivarsi sul tema. Sì, avete capito bene: ci sono alcuni Paesi europei che non hanno una legislazione sul tema disabilità e che stannocopiandol’Italia. Ma solo nel testo, perché quando poi andiamo alla prova dei fatti difettiamo nella parte applicativa e metodologica.

Come è possibile fare programmi concreti e analizzare il contesto se non ci sono studi recenti? Il fatto che non ce ne siano di aggiornati dimostra, nonostante la legge, che il tema non è ancora una priorità dell’agenda politica del nostro Paese. Ricordiamo, solo a titolo esemplificativo, che non sono mai stati valutati i decreti attuativi del DL 51 (settembre 2015) e l’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità è praticamente fermo da più di tre anni. Probabilmente si pensa ancora che la disabilità riguardi pochi individui e sia un problema esclusivo delle persone con disabilità, dei loro familiari e delle associazioni che ne hanno cura.

Una supposizione che non regge la prova dei fatti, perché basta guardare i tassi di longevità degli italiani per scoprire che oltre il 40% degli over-80 hanno forme acquisite di disabilità. “Ciò significa che la sfida ci riguarda tutti, perché tutti con il passare degli anni potremmo avere forme di disabilità. Per questo il tema dell’accessibilità dovrebbe diventare una delle priorità strategiche dell’Italia, prima che sia troppo tardi”. Sono le parole di Marco Lombardo, assessore al lavoro e alle attività produttive del Comune di Bologna, a cui abbiamo chiesto di fare il punto su come deve cambiare l’approccio alla disabilità, soprattutto sul tema lavoro, perché in quest’ambito i paradossi e i pregiudizi ancora in essere sono davvero troppi.

 

 

La normativa ha rafforzato le tutele del lavoro disabile, imponendo al datore di lavoro di adottare gli “accomodamenti ragionevoli” per garantire l’inserimento della persona disabile nell’organizzazione aziendale. Dov’è l’inghippo?

Il problema non è normativo, ma culturale. Al di là della discussione teorica sul diversity management, fatte salve alcune lodevoli eccezioni, il tema dell’inclusione lavorativa delle persone disabili nell’organizzazione aziendale è percepito come un obbligo normativo da assolvere, un costo per le aziende; non come un investimento. Quante aziende italiane con più di 50 dipendenti superano la quota del 7% riservato ai disabili? Credo si contino sulle dita di una mano. Per non parlare delle aziende che si avvalgono dell’esonero dall’obbligo dell’assunzione o dell’affidamento di commesse alle cooperative sociali perché non possono (o non vogliono?) assumere persone disabili in fabbrica o in azienda.

Ma ci sono più settori più virtuosi di altri?

In Emilia-Romagna il 48% delle persone disabili lavora nel terziario, il 31% nell’industria. Va bene il settore della ristorazione, delle pulizie, della manutenzione del verde, meno bene quello del manifatturiero e delle costruzioni. Bisogna rompere un tabù. Perché il tema dell’inserimento lavorativo delle persone disabili deve essere riservato solo a un settore del mondo produttivo e non a tutto il settore industriale italiano? Le persone disabili non devono essere impegnate solo in attività, tirocini o stage. Non devono essere impiegate solo nelle cooperative sociali. Hanno il diritto ad avere un lavoro che possa far esprimere la loro capacità e la loro personalità.

Il fondo regionale per gli inserimenti lavorativi delle persone disabili ha davvero il potenziale per portare un cambiamento di questo tipo?

La sfida è quella di utilizzare le nuove risorse del Fondo regionale, insieme al Fondo nazionale per il diritto al lavoro dei disabili e al Fondo sociale europeo, per favorire gli inserimenti lavorativi con contratti a tempo indeterminato. Oltre al collocamento mirato c’è un infatti un tema di cultura aziendale su cui bisogna fare tutti insieme di più.

In concreto che cosa propone?

Da un lato, esistono 7.000 posti scoperti (al netto di occupati, esoneri, compensazioni e sospensioni) nelle imprese dell’Emilia-Romagna, di cui circa 3.000 a Bologna. Dall’altro lato, esistono 25.000 persone disabili in età lavorativa in Emilia-Romagna in cerca di occupazione. E allora, perché non ambire alla piena occupazione dei disabili a Bologna, come ha fatto per esempio la città di Lione? Perché non costituire un fondo regionale e locale per coprire il costo del lavoro delle persone disabili per i primi due anni, a fronte di un contratto di lavoro a tempo indeterminato? Qui non si tratta di mettere i disabili a lavorare tra di loro, ma di integrare i disabili negli ambienti di lavoro. Una ricchezza culturale e produttiva di cui beneficeremmo tutti, dentro l’idea di una filiera che non produce solo profitti, ma valori.

Quindi non solo piena occupazione, ma buona occupazione. C’è qualcuno che tiene conto delle reali aspirazioni di queste persone?

La maggior parte delle persone disabili che hanno un lavoro svolgono professioni esecutive nel lavoro d’ufficio; nelle professioni tecniche i lavoratori disabili sono meno presenti e quasi totalmente assenti nelle funzioni apicali o dirigenziali. Su questo è chiaro che c’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto nell’istruzione e nella formazione professionale. Sono stati fatti molti passi avanti rispetto agli anni precedenti, in cui non si pensava che una persona con disabilità cognitiva potesse concludere le scuole dell’obbligo, ma i risultati purtroppo sono ancora molto diversi, da regione a regione. E anche nei territori più avanzati sembra impensabile immaginare disabili cognitivi con la laurea. Come invece avviene in altri Paesi d’Europa.

19 Febbraio 2020, l’assessore Marco Lombardo alla conferenza stampa “Bologna oltre le barriere”

 

Al di là della situazione nazionale, Bologna comunque sta proponendo un cambiamento di passo.

La candidatura di Bologna al premio europeo delle città accessibili è una novità assoluta. Non è stata concepita come una candidatura del comune, ma come la candidatura di una comunità, e integra il principio dell’accessibilità in tutti i settori della politica urbana. La candidatura è l’occasione per portare finalmente la disabilità tra le priorità politiche della città, dopo l’istituzione della figura del Disability Manager e il riconoscimento di una delega politica “ad hoc” sull’accessibilità.

A parte il premio, mi sembra di capire che ci sia un obiettivo più alto.

L’auspicio è quello di creare un “metodo” che può essere replicato ogni anno nell’attività dell’amministrazione e in tutte le altre città italiane, perché si promuova una cultura della diversità nell’organizzazione aziendale e nella pubblica amministrazione. Per la prima volta, ad esempio, il principio dell’accessibilità e della “progettazione universale” (design for all) è stato inserito nel Protocollo appalti del Comune di Bologna. Questo significa che le parti firmatarie (imprese, sindacati, PA) si impegnano, nell’esecuzione degli appalti di lavoro o di servizi, a rispettare l’accessibilità e il criterio della progettazione universale. Una piccola rivoluzione che spero possa portare benefici concreti sui lavori pubblici e sulla manutenzione delle strade.

Una piccola rivoluzione che però ne implica una molto più grande.

Sicuramente quella di superare il pietismo e la teoria del giocattolo rotto. La persona disabile non deve essere compianta o aiutata a essere “normale”; deve essere aiutata a essere se stessa.

 

Di seguito le iniziative che il Comune di Bologna sta facendo sul tema della disabilità per affrontare l’emergenza

DISABILITA’, ACCESSIBILITÀ ED EMERGENZA #COVID19 A BOLOGNA:

https://www.facebook.com/827918370645403/posts/2458041470966410/?d=n

L’UNIONE FA LA SPESA:

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10158137996557959&id=753742958

 

 

Foto di copertina by Eleventh Wave on Unsplash

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