Matera come Venezia?

L’idea di questo articolo è nata un sabato mattina. Stavo cercando informazioni su Matera 2019, e mi sono imbattuta in un’intervista fatta a Vittorio Sgarbi in cui il critico lamentava il fatto che non ci fosse stato un collegamento tra Matera e Venezia dal punto di vista artistico, magari attraverso il Mantegna o Bellini. Secondo […]

L’idea di questo articolo è nata un sabato mattina. Stavo cercando informazioni su Matera 2019, e mi sono imbattuta in un’intervista fatta a Vittorio Sgarbi in cui il critico lamentava il fatto che non ci fosse stato un collegamento tra Matera e Venezia dal punto di vista artistico, magari attraverso il Mantegna o Bellini. Secondo Sgarbi quel collegamento poteva essere fondamentale per la città, per elevarla a Venezia del Sud.

Quel collegamento o mancato collegamento mi è rimasto in testa per giorni.

Non pensavo all’arte, però. Pensavo a Matera 2019, alle vie della città, alle persone, al cambiamento che inevitabilmente sbilancia i centri storici dopo che vengono travolti dal turismo di massa. Sono stata a Venezia a fine marzo, e perdonatemi se dico che l’ho trovata così imbruttita. La ricordavo (la mia ultima visita risaliva al 2006) piena di turisti, ma anche piena di bacari e botteghe artigianali. I bacari ci sono ancora, e i più interessanti sono sempre quelli in cui ti imbatti per caso nelle stradine secondarie; ma le botteghe dove sono finite? Le ho viste in gran parte rimpiazzate da negozi che vendono maschere di carnevale a 2 euro e sciarpe a 5 euro, presi d’assalto dagli stessi turisti che non ti lasciano sedere per più di due minuti su una panchina. Certo, perché dopo che hai fatto quei 120.000 passi in giro per ponticelli e stradine e cerchi un momento di riposo per le gambe, proprio su quella panchina loro devono sedersi per farsi il selfie della vita – e il centocinquantesimo della giornata.

Due turiste americane a Venezia

Andrò a Matera a fine luglio per organizzare alcuni eventi per questo giornale. La troverò così? Questo tarlo mi è girato in testa per giorni e alla fine ho deciso di chiedere alla Fondazione Matera-Basilicata 2019 (con la quale abbiamo collaborato per realizzare questo reportage) di farmi parlare con qualcuno che potesse offrirmi una prospettiva realistica di confronto tra le due città e mi spiegasse il tipo di evoluzione che potrebbe avere Matera dopo questo 2019. Caterina, dell’ufficio stampa Matera Basilicata 2019, senza indugio mi ha proposto Stefano Boeri.

 

Stefano, chiariamo subito qual è il suo rapporto con la città di Matera.

Nell’ultimo anno abbiamo lavorato per ridisegnare la stazione centrale sulle linee Appulo-Lucane che collegano Bari con Matera, e che sarà inaugurata a giugno. In questo momento sono molto presente sul territorio.

Lavori in corso presso la stazione dei treni di Matera. Progettata dall’architetto Stefano Boeri la stazione sarà inaugurata a breve. Photo © Antonio Ottomanelli

Quindi come vede Matera alla luce del lavoro che è stato fatto dalla candidatura a oggi?

Il progetto Capitale Europea della cultura è stato un enorme collettore di energie diffuse. Tante start up e piccole imprese hanno investito nel turismo e nella ricettività. Sono rinati ristoranti, negozi di artigianato locale, e si sono moltiplicate esperienze di albergo diffuso. I Sassi sono diventati una macchina per l’imprenditoria che non ha coinvolto grandi catene alberghiere, ma piccoli imprenditori e famiglie. Il lato positivo di questa rinascita è indiscutibile.

Però ci vede anche dei risvolti non positivi.

L’aver trasformato e riabitato i Sassi è innegabilmente positivo. Il grande rischio è che l’utilizzo dei Sassi solo per la ricettività turistica possa snaturare totalmente le origini e le modalità di abitarli, che erano legate alla cultura contadina e alle famiglie. I Sassi dovrebbero godere di una residenzialità stabile per conservare il loro fascino. Lo snaturamento è un rischio reale, ma bisogna anche considerare che Matera non è solo Sassi, e dovremmo cominciare a comunicare anche questo.

Cosa c’è oltre ai Sassi?

È impossibile slegare i Sassi dalla vicenda che ha portato nel dopoguerra a ricostruire una città nuova, fatta di quartieri residenziali alle periferie della città storica. Negli anni Cinquanta-Sessanta i Sassi si sono svuotati e centinaia di famiglie si sono spostate in periferia, seguendo una logica di edilizia sociale interessante. Oggi quei quartieri sono ancora vivi, con tutti i loro vantaggi e svantaggi, e sarebbe importante riscoprirli.

Cosa c’è in questo pezzo di architettura?

Il tentativo fatto da Olivetti è un esempio straordinario. Si è prestata attenzione agli spazi della comunità e della civiltà contadina, cercando di riportarli nei nuovi quartieri. Olivetti ha fatto un’operazione di grande forza coinvolgendo architetti che lavoravano già con lui a Ivrea, e oggi alcuni quartieri mantengono il segno di quello sforzo. Qui l’edilizia popolare ha cercato di ricostruire l’idea del vicinato, per esempio allargando i pianerottoli su diversi piani, e creando luoghi dove le famiglie si potevano incontrare. Il quartiere Spine Bianche, per esempio, mantiene bene questo concetto. Altri quartieri, come La Martella, sono problematici e registrano un degrado avanzato, ma per capire la città non possiamo rimuovere dalla storia tutti questi passaggi.

Un’immagine del quartiere Spine Bianche,  Community Garden Via Beneventi. Photo © Pierangelo Laterza

 

Ripercorrendo le tappe, i Sassi da culla della civiltà contadina sono diventati vergogna nazionale. Oggi godono di una rinascita culturale, ma hanno vissuto anni di totale abbandono.

Se oggi parliamo solo dei Sassi che rinascono abbiamo una visione frammentata e incompleta. Fino a 15 anni fa chi aveva vissuto nei Sassi lo diceva con vergogna. Questo per dire che quando si fa un’operazione di comunicazione e di turismo bisognerebbe coinvolgere anche questo pezzo della città.

Il tema di questa intervista è nato dallo spunto “Matera come Venezia?”, non intendendo solo il lato positivo di “città della cultura e dell’arte”, ma anche gli aspetti negativi della difficoltà di gestione del turismo, dell’eventuale snaturamento del centro storico.

Venezia è a uno stadio ultimo. L’arrivo dei cinesi è stata davvero l’ultima fase di un’operazione turistica letale: prima c’è stato un aumento del valore delle case, poi una progressiva vendita o concessione in affitto degli immobili. Poi è arrivato Airbnb che ha dato il colpo di grazia. A quel punto si è raggiunto un tale livello di inabitabilità di certe zone del centro che i servizi commerciali di maggior livello sono scappati per lasciare il posto a spazi commerciali di basso livello. E con questo si è chiusa una parabola che ha fatto toccare un po’ il fondo alla città. Venezia è un esempio da guardare con grande preoccupazione.

Matera corre il rischio di infilarsi in questa parabola?

Lo corrono tutte le città che hanno uno sviluppo turistico globale. Bisogna sempre cercare di garantire delle forme di residenzialità stabili e di lavoro che non siano solo legate all’offerta turistica: la pesca per Ortigia, ad esempio, e l’artigianato per Matera, possono rappresentare forme di radicamento importanti. Anche la presenza degli studenti in alcune città è fondamentale per mantenere vivi i centri storici, perché gli studenti hanno una grande capacità di assorbimento della cultura locale, innervano le città le rigenerano.

Invece gli studenti faticano a trovare gli alloggi e per le strade delle città universitarie campeggiano striscioni di protesta del tipo: fuori sede, ma non fuori casa.

Airbnb è un meccanismo geniale di turismo decentrato e partecipato, ma andrebbe regolamentato perché non deve cambiare il volto delle città. Noi dovremmo fare di tutto, in questo Paese, perché i ragazzi si fermino anche dopo la laurea, e invece facciamo persino fatica ad accoglierli.

Oggi a Bologna si dice che è molto più semplice trovare un lavoro piuttosto che una casa.

Alcune città, come Barcellona, Amsterdam e Vienna, hanno applicato forme di controllo rigido sulle concessioni ad Airbnb, e le città italiane dovrebbero prendere esempio. Senza nulla togliere al valore positivo di questa attività, che è un meccanismo di economia diffusa molto importante, ma il suo senso originario era la coabitazione, e l’ospite divideva la casa con il proprietario. Tornare a questa forma di affitto eviterebbe il rischio di snaturamento dei centri storici.

La Cripta del Peccato Originale, Photo © Fondazione Zetema, Matera

Matera per evitare lo snaturamento su che cosa deve puntare? Forse rispondere “cultura” è un po’ troppo generico…

La cultura vuol dire tutto e niente. Matera dovrebbe puntare sulla sua storia. Si pensi solo alla Cripta del Peccato originale, straordinaria e sconosciuta fino a poco tempo fa. Quella da sola giustifica il viaggio a Matera, è una sorta di Cappella Sistina archeologica riscoperta dall’attuale sindaco. Anche una visita alle cisterne sotterranee può risultare un’esperienza incredibile, perché dà l’idea di come funzionava il sistema idraulico dei Sassi. Poi io farei una visita al quartiere Spine Bianche, e per finire non mi perderei il laboratorio permanente proposto da Joseph Grima. Così Matera può essere vissuta in tutti i suoi passaggi storici.

 

 

Foto di Copertina di Gianluca Di Ioia

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