Lo streaming può dare lavoro come gli eventi live stroncati dalla pandemia? La parola a due esperti del settore, Stefano Senardi e Paolo Agosta.
Maura Gancitano, Tlon: “Con la fruizione digitale della cultura c’è il rischio all you can eat”.
Il lockdown ha sdoganato la fruizione di contenuti culturali in formato digitale. Ma che cosa si aspettano gli utenti dall’offerta delle istituzioni del settore? Ecco le idee di Luca Dal Pozzolo, della Fondazione Fitzcarraldo, e Maura Gancitano, filosofa e fondatrice di Tlon.
Quale eredità lascia la pandemia in termini di fruizione di contenuti audiovisivi e culturali?
A illustrare le aspettative degli italiani sul tema è l’approfondimento di Nomisma, pubblicato a giugno 2021, che si concentra sul cambiamento di abitudini ed esigenze con il COVID-19. Ciò che emerge è un nuovo rapporto che gli italiani (dai 18 ai 65 anni) hanno instaurato con le tecnologie digitali nella fruizione dell’intrattenimento e delle esperienze culturali: si sono affermate nuove modalità per assistere a spettacoli e concerti, è aumentato il consumo di film e serie tv su piattaforme online.
In base alla ricerca, negli italiani la voglia di eventi dal vivo non è mai venuta meno, ma la spinta alla digitalizzazione avvenuta in questo anno e mezzo ha senza dubbio rimodellato l’offerta culturale ideale nel post-COVID. La survey ha rilevato che il 36% del campione desidera una proposta caratterizzata da una vasta quantità di contenuti e vicina ai propri gusti e interessi (fattore citato dal 18%).
Assume sempre più importanza anche la facilità di fruizione: poter accedere ai contenuti in qualsiasi momento della giornata e da (pressoché) qualunque luogo diventa una condizione della quale non si riesce più fare a meno. Il digitale emerge dalla ricerca di Nomisma come uno strumento che facilita l’accesso alla fruizione dei contenuti culturali (acquistare e prenotare attività online, ricevere direttamente il biglietto sullo smartphone) e non come un elemento sostitutivo degli spettacoli dal vivo.
Nel rapporto tra tecnologia e cultura si è aperta una nuova fase.
Con il lockdown le istituzioni culturali hanno “scoperto” digitale e social
Difficile prevedere l’andamento delle tendenze di fruizione che vanno delineandosi in questa fase, ancora connotata dall’incertezza. Un dato assodato però c’è, ed è la riduzione della diffidenza verso il digitale e la comunicazione che fluisce sui social media.
“Prima della crisi molte istituzioni culturali si facevano in qualche modo un vanto di evitare con cura la comunicazione digitale sanitaria”, racconta Luca Dal Pozzolo, co-fondatore e direttore editoriale della Fondazione Fitzcarraldo e dal 1998 direttore dell’Osservatorio culturale del Piemonte. “L’emergenza ha costretto tutti a cambiare repentinamente opinione, se non altro per scongiurare il rischio invisibilità. Chi era bravo già prima e aveva investito su digitale e social, dimostrando di saperli usare, ha prodotto contenuti egregi durante il lockdown; chi si è buttato all’ultimo momento per affermare la propria sopravvivenza ha fatto del bricolage, con lodevoli intenzioni e risultati modesti”.
I social, del resto, sono uno strumento per attrarre audience e contribuiscono a stemperare quella forma di soggezione che alcune istituzioni ed espressioni culturali incutono ancora nel pubblico. Non è però tutt’oro quello che luccica.
“Con i social si palesa l’effetto all you can eat: tendi a mangiare male, ti nutri in eccesso perché è tutto compreso, senza operare una selezione, senza domandarti di cosa e di quali tempi hai bisogno”, ha messo in guardia la filosofa Maura Gancitano dal palco della tappa imolese di Nobìlita. La cultura mediatica non trasmette la complessità senza averla semplificata. Il rischio di rimanere in superficie è reale.
“Non demonizzo il digitale – ha aggiunto la fondatrice di Tlon – ma viviamo in un mondo in cui è sempre più difficile trovare quel livello di concentrazione che richiede la lettura.”
L’evoluzione della domanda di contenuti digitali
Il COVID-19 ha rotto gli indugi ed è venuta meno la pigrizia nei confronti di strumenti tecnologici in fondo già disponibili da molti anni. Il fatto nuovo è stato spingere una larga fascia di popolazione a utilizzarli ogni giorno.
I consumi digitali hanno fatto breccia nella vita delle persone, per cui oggi si accetta – e ci si aspetta – che i beni culturali possano essere fruiti in una certa misura e con prodotti alternativi anche da casa. L’offerta delle istituzioni culturali, quindi, d’ora in poi dovrà misurarsi con una domanda digitale più evoluta che in passato.
“Durante la pandemia, come Osservatorio culturale del Piemonte, abbiamo realizzato un’indagine tra gli abbonati ai musei, chiedendo loro cosa avrebbero voluto vedere online. La preferenza non è caduta sulla visita virtuale, mera traduzione di un’esperienza fisica non surrogabile, ma su situazioni che non sono comprese normalmente nell’acquisto di un biglietto: chiacchierare con il conservatore o il direttore; capire i criteri con i quali si organizza una mostra; scoprirne il lavoro dietro le quinte; approfondire una singola opera o artista”, commenta Luca Dal Pozzolo.
Le istituzioni culturali sono i nuovi editori digitali?
Sono emerse, e sono destinate a consolidarsi, sperimentazioni nell’uso del digitale che migliorano i servizi non solo dal punto di vista organizzativo, ma anche culturale.
Alcune di queste best practice, non solo italiane, sono descritte nel capitolo sul digitale a supporto della filiera contenuto nel rapporto Io sono cultura 2021 della Fondazione Symbola, e curato in collaborazione proprio con Luca Dal Pozzolo. Ad esempio, il progetto Revelia della piemontese Kalatà, creato prima della pandemia, raccoglie oggi i suoi frutti, aggregando la domanda per la fruizione di beni culturali locali. Si tratta di una piattaforma informatica che concentra le prenotazioni per visite rivolte a piccoli gruppi, secondo le disponibilità orarie fornita dalle guide residenti in loco.
Un uso interessante del digitale è esemplificato anche da Radio GAMeC, nata durante l’emergenza sanitaria sui canali social della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, epicentro in quel momento della pandemia in Italia. La Radio, che ha intessuto un dialogo su arte, letteratura ma anche drammatica attualità, è stata riconosciuta dall’Unesco come una delle migliori iniziative museali al mondo concepite durante il lockdown.
La Royal Opera House di Londra, durante la chiusura forzata, ha impiegato un’équipe di esperti e tecnologie di alto profilo per progettare attività educative dirette a insegnanti e famiglie. L’obiettivo era far vivere in maniera interattiva ai bambini la costruzione di spettacoli da punti di vista inediti “per comprendere dall’interno i meccanismi di produzione culturale” di opera e balletto.
La pandemia ha fatto da detonatore, la direzione di sviluppo è stata tracciata, anche se l’Italia è arrivata più tardi. “I grandi musei internazionali – commenta Dal Pozzolo – hanno già compreso da tempo che possono parlare a miliardi di persone, anche se non tutte varcheranno fisicamente le loro sale. Le istituzioni culturali (ed è questa l’innovazione più evidente) non sono più soltanto gestori di spazi fisici per accogliere le visite, ma si stanno trasformando in editori di contenuti digitali. Il digitale non è solo uno strumento di diffusione della cultura, è esso stesso una forma di cultura. La costruzione di un contenuto condivisibile, manipolabile, sul quale si possa dialogare è, a tutti gli effetti, produzione culturale”.
Il difficile incontro tra cultura e gestione del digitale
“Pensare digitale” è uno dei filoni tematici di ArtLab, piattaforma indipendente italiana dedicata all’innovazione delle politiche, dei programmi e delle pratiche culturali, promossa dalla Fondazione Fitzcarraldo. Cosa è emerso dall’edizione 2021?
“La necessità di fare evolvere i sistemi digitali e costruire una competenza culturale nel loro”. Il rischio, spiega Luca Dal Pozzolo, è avere nuovi prodotti spinti sul versante tecnologico ma poco dotati di senso sotto il profilo culturale.
“Le tecnologie si sviluppano molto più velocemente della nostra capacità di gestirle e controllarle. Si verifica così uno slittamento tra i due piani che rende l’ibridazione tra mondo hi-tech e mondo culturale complesso sul piano delle competenze (chi ne ha in un senso spesso ne è sprovvisto dall’altro). Mancano a oggi le capacità di regia per costruire oggetti culturali realmente innovativi. Le frontiere ci sono: l’uso dell’intelligenza artificiale apre a opportunità dense di incognite, ma anche di prospettive”.
Foto di copertina: Maura Gancitano. Credits: Tlon
L’articolo prende spunto dal panel “Pandemia: tutta emergenza, niente cultura?”, che puoi seguire cliccando qui.
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