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Su Meloni e Schlein aveva ragione Saramago
Il premio Nobel portoghese sosteneva che, quando si parla di potere, sia donne che uomini si trasformano in qualcos’altro. Analizziamo la comunicazione dei candidati alle Europee insieme alla semiologa Giovanna Cosenza: “Campagna elettorale polarizzata su due donne, ma forme, linguaggio, modi e modelli tendono a preservare potere e interessi maschili“
Siamo ormai agli sgoccioli di questa campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo ma, a essere sinceri, non ce ne siamo quasi accorti. Sarà che l’Italia vive da anni una permanente preparazione alle elezioni, sarà che i problemi quotidiani delle persone sono spariti dai radar della politica, o che lo scenario internazionale è così drammatico da concentrare su di sé attenzione e angosce; fatto sta che, se cerchiamo di mettere a fuoco proposte, idee e progetti per rinnovare la politica europea, vediamo poco o nulla. Abbiamo fatto l’abitudine a uno scontro costante, divenuto ormai solo rumore di sottofondo? O è il fallimento delle strategie comunicative dei candidati – e delle candidate?
In particolare, se si osservano le parabole elettorali delle due leader più in vista, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, torna in mente una delle ultime interviste di José Saramago, nel 2009, sul divano rosso di Parla con me. In quell’occasione, il premio Nobel rifletteva sulla delusione che avevano destato in lui le donne al potere, dopo aver sperato che potessero cambiare il mondo; a seguito di ciò, diceva, era giunto alla conclusione che i sessi fossero tre: uomo, donna e politico. Una battuta che a distanza di anni lascia ancora l’amaro in bocca. Quanto c’è di vero in questa suggestione?
Di elezioni e comunicazione abbiamo parlato con Giovanna Cosenza, docente di Semiotica all’Università di Bologna, esperta di comunicazione politica e già allieva di Umberto Eco.
Professoressa Cosenza, stiamo assistendo a una campagna elettorale efficace dal punto di vista comunicativo?
Il quadro complessivo ci mostra che, ormai spariti visione e progetti, il discorso politico si riduce a formule semplici, il cui unico obiettivo è quello di cercare di arrivare a tutti e di andare sui social media. Detto questo, bisogna dire che tra le due leader candidate c’è una netta differenza di registro che le rende assolutamente riconoscibili. Mi riferisco a Meloni e Schlein, perché sono le uniche protagoniste dell’attuale campagna elettorale. Gli altri non ci sono.
E allora vediamo come comunicano queste donne.
Giorgia Meloni utilizza un linguaggio diretto, concreto, più vicino al gergo colloquiale. La sua strategia comunicativa consiste nel porsi dal punto di vista degli strati popolari della società e comunicare basandosi sul loro modo di parlare e pensare. Anzi, su come lei immagina che parlino e pensino.
Che la Presidente del Consiglio abbia le proprie radici in quella dimensione la aiuta, ma lei opera comunque una mediazione, piega questa “sensibilità” popolare alle proprie esigenze politiche.
Certo. Partendo da questa base, Meloni colora e modula il proprio modo di comunicare a seconda del contesto in cui si trova e del pubblico di riferimento in quella specifica situazione. Vengono così fuori due Giorgia: quella delle sedi istituzionali, che usa un linguaggio medio-alto, e quella che parla ai suoi, che usa espressioni colorite e spesso dialettali per creare empatia con l’uditorio. Lo stesso vale per l’uso della gestualità e delle espressioni facciali: le smorfie e le mossette dovrebbero generare simpatia e identificazione tra lei e chi la ascolta e vota. Ma anche dire “scrivete semplicemente Giorgia” sulla scheda elettorale ha la stessa funzione. In entrambi i casi, usa un linguaggio semplice, dove prevalgono la paratassi (ossia un susseguirsi di frasi incalzanti basate sulla coordinazione, e autonome da un punto di vista sintattico e semantico) e un linguaggio quotidiano e concreto, riferibile a esperienze percepibili da chi ascolta.
E a sinistra?
Elly Schlein si inserisce in una tradizione comunicativa che da sempre caratterizza la sinistra italiana, e che ha seguito tutta l’evoluzione del PCI-PDS-DS-PD. È una tradizione così forte e radicata da aver assorbito anche lei, che pure viene da fuori. A differenza della Presidente del Consiglio, Schlein parla un linguaggio alto, fatto di frasi lunghe e periodi dominati dall’ipotassi, cioè costruiti sulla subordinazione, e che soffre di un eccesso di astrazione. Nei suoi discorsi troviamo pochi esempi concreti o percepibili: è un po’ il politichese tipico della sinistra. Certo, la leader del PD ha una passione autentica, si vede che crede in ciò che dice, ma poi non riesce ad agganciare gli ideali a fatti concreti a causa di un linguaggio inutilmente complesso e astratto. Spesso dà per scontati valori e conoscenze che non sono così ovvi per i suoi elettori. La sua autenticità è chiara, ma non passa.
E il rischio, invece concretissimo, è di non farsi capire e lanciare messaggi fumosi che allontanano gli elettori.
Certo. Ed è evidente che, nel confronto, il modello comunicativo di Meloni vince, perché arriva meglio e ha più possibilità di convincere. Ma attenzione: se si eccede in immediatezza, come Meloni spesso fa, le persone possono vivere anche questa modalità come ingannevole e indicativa di una mancanza di sostanza. Non a caso, la disillusione dell’elettorato si concretizza in una astensione che è trasversale agli schieramenti. È vero che vanno a votare di più gli elettori di Meloni, ma la comunicazione, seppur necessaria, non è mai sufficiente a fare vincere le elezioni. Se poi a tutto questo aggiungiamo la scelta di candidarsi solo per fare da traino alle proprie liste, sapendo che non si metterà mai piede al Parlamento europeo, la distanza dei cittadini rispetto alla campagna elettorale, e in modo più ampio e preoccupante verso la politica, diventa totale.
Insomma, siamo in una campagna elettorale fatta di tanto fumo e poca, o nessuna, sostanza? Molti slogan e pochi contenuti?
Direi che è proprio così. Quando Berlusconi, nel 1994, introdusse in Italia le tecniche del marketing e della comunicazione commerciale alla politica, portandovi per la prima volta un linguaggio concreto e immediato, fu una novità. Dopo il suo declino però, fra il 2009 e il 2010, la comunicazione politica è stata un disastro. Anche chi ha cercato di porsi, sul piano della comunicazione, come erede di Berlusconi, ha fallito. Come ha fatto il presunto “bravo comunicatore” Matteo Renzi, che lo scimmiottava credendo che bastasse fare come Berlusconi, ma in realtà sembrava un venditore fastidioso che esibisce le tecniche di vendita, ottenendo solo di suscitare diffidenza. Rispetto ai tempi in cui funzionava Berlusconi, oggi è tutto cambiato: a seconda degli schieramenti, o si trattano temi che starebbero a cuore delle persone, come l’ambiente o il salario minimo, ma lo si fa con un linguaggio astratto, come fa il PD, o si promettono soluzioni di corto respiro, come bonus e contentini vari, nello stile del Governo quando parla di economia. In tutti i casi, siamo davanti a slogan che generano disillusione.
Una campagna elettorale deludente, da tutti i punti di vista, anche da quello “di genere”?
Ahimè sì. Pur essendo una campagna elettorale polarizzata su due donne, io non vedo nulla che davvero faccia gli interessi delle donne italiane. Le forme, il linguaggio, i modi, i modelli tendono a preservare il potere e gli interessi maschili. Evidentemente, ancora oggi, per arrivare ai vertici, le donne devono appiattirsi sui valori maschili. Non è dicendo “sono donna, sono una madre” che si portano la sensibilità e le abilità delle donne in politica.
E allora diamo un’occhiata anche agli uomini. Come se la stanno cavando gli altri candidati a livello comunicativo in questa campagna elettorale?
Mica tanto bene. Anzi, io li darei proprio come non pervenuti. Sul fronte del Governo, Salvini continua a ripetere sempre gli stessi slogan, e anche sui social – sui quali pure in passato ha investito moltissimo, sia in termini economici che di energie personali – ha ormai perso molte interazioni.
E le opposizioni?
Dall’altra parte, gli unici che potrebbero avere maggiori potenzialità comunicative sono i 5 Stelle, perché sui contenuti in effetti sono vicini agli interessi concreti delle persone. Ma scontano il problema di un leader che non riesce a bucare. Un po’ perché passa poco in televisione, un po’ perché ha sempre l’aplomb del professionista che fa consulenze, Giuseppe Conte resta lontano dalla gente comune e non riesce ad arrivare come potrebbe.
In definitiva, però, il problema non è tanto non saper comunicare o farlo in modo inadeguato. Il problema è a monte: bisogna trovare qualcosa da comunicare che risponda a un pensiero, a una visione del mondo che siano ancorati alla realtà e alle domande vere e profonde che arrivano dalla società. Se il pensiero è chiaro e basato su necessità concrete, la comunicazione prende vita. Realtà e pensiero sono il corpo di cui le parole hanno bisogno.
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