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Migrazione digitale
Il cammino della società futura vista come una Migrazione Digitale, in cui conoscenza e cultura superano obsolete posizioni di disintegrazione e razze.
La società industriale compie trecento anni e li porta benissimo. Tirando le somme di quel che è accaduto in così poco tempo, verrà facile compiacersi – e forse anche preoccuparsi – dei progressi compiuti: in Europa siamo passati dai metodi di produzione a mano alle macchine, fino all’introduzione di sistemi tecnologici, elettronici e informatici, che hanno indotto uno spostamento da lavoro fisico a lavoro intellettuale. Il cambiamento lavorativo più importante di tutti, però, è stato quello di rendere la conoscenza il fattore centrale della produzione.
Attualmente, una fusione di tecnologie sfuma i confini tra sfera fisica, digitale e biologica. L’attuale progresso tecnologico ha assunto una velocità senza precedenti nella storia, evolvendosi a un ritmo esponenziale anziché lineare e stravolgendo quasi tutti i settori in ogni paese. Cambia il modo di vedere il mondo, di lavorare, di comportarsi e apprendere, plasma i nostri valori, la nostra società e persino la nostra democrazia. La rivoluzione digitale conduce verso una società digitale.
(Fonte: Paper Le sfide sociali al tempo della digitalizzazione, EPP)
Da sempre cambiamenti tecnologici e sociali si intrecciano, perché non è possibile avere gli uni senza gli altri. Come nelle rivoluzioni precedenti, attraverso i processi di digitalizzazione assisteremo anche a nuove evoluzioni economiche e sociali, anche grazie agli effettivi scambi tra culture. Per questi motivi, gli studiosi ritengono che la prosperità futura dipenda in gran parte dalla capacità di integrazione della società e dalla gestione della rivoluzione digitale da parte dei governi, la cui chiave di lettura rispetto ai problemi che ci preoccupano, tanto in fatto di tecnologia quanto di storia dei cambiamenti, è una migliore educazione orientata alla consapevolezza e al futuro sostenibile.
Ma se le evoluzioni socioculturali sono connesse a quelle tecnologiche, all’avvicinamento fisico e virtuale di popoli e culture, alla politica educativa, ai livelli di preparazione e conoscenza e quindi, necessariamente, alle differenze tra Stati, qual è l’impatto della digitalizzazione su nazioni e nazionalismi? Qual è il contributo dei flussi migratori rispetto all’utilizzo degli strumenti digitali? In rete e sui social media, i discorsi sulle razze si azzerano o si acuiscono? Entriamo nel cuore della questione.
Il mercato digitale necessita di integrazione
Sappiamo che, in questi anni, l’Europa sta affrontando diverse sfide: elevata disoccupazione statistica, cambiamento demografico e climatico e migrazione incontrollata sono solo alcune delle questioni più calde legate al fenomeno della globalizzazione. Nel paper sopracitato si legge che, sebbene venga percepita come un pericolo, è anche vero che ha stimolato grandi opportunità. La globalizzazione ha creato milioni di posti di lavoro, ma ne ha anche fatti perdere. Ha ridotto la povertà nel mondo, ma ha anche aumentato la disuguaglianza.
Perciò, se crediamo che il flusso di capitale, persone, merci e servizi nelle nostre economie aperte abbia contribuito ampiamente al bene pubblico, adesso è importante saper garantire pari opportunità e una distribuzione più equa del benessere, riducendo i rischi di esclusione.
Ecco perché la digitalizzazione rappresenta la più importante sfida alla nostra produttività, crescita e competitività. Sì, Internet avrà pure accorciato le distanze in modo rapido ed economico, consentendo lo scambio di informazioni e la fornitura di servizi, ma ha reso la prosperità sempre più dipendente dal livello di connettività fisica e digitale con il resto del mondo. La conseguenza è una diffusa e latente paura proprio nei gesti di dialogo e integrazione tra le persone, non solo dietro un pc o uno smartphone.
Digitalizzazione tra lavori vecchi e nuovi, senza nazione
Abbiamo davvero timore che gli immigrati possano invadere le nostre strade, rubandoci il lavoro?
“Le nazioni senza lavoro ci sono sempre state. I lavori senza nazione sono un fenomeno più recente, che si è affermato con la progressiva digitalizzazione, prima delle attività di servizi e poi di quelle manifatturiere” commenta Paolo Giubitta su Gli Stati Generali.
Le nazioni senza lavoro sono diventate un fatto socialmente rilevante da quando, nei secoli più recenti, lo sviluppo tecnologico in tutti gli ambiti del sapere ha permesso di creare aree di grandi dimensioni dedicate alla produzione, dove concentrare altrettanto grandi masse di lavoratori. Dove c’erano le fabbriche c’era il lavoro e là accorrevano centinaia di migliaia, se non milioni, di persone: migrazioni epocali alla ricerca di un posto di lavoro, che trasformavano la fisionomia di alcuni territori e spopolavano i territori senza lavoro, relegandoli ai margini dei processi di sviluppo.
Anche comunicazione e nuovi media non hanno patria
Oggi il trasferimento del lavoro da una nazione all’altra è reso semplice, veloce ed economico dalla digitalizzazione dei processi. Nel settore dei servizi gli effetti della trasformazione digitale e della globalizzazione sono già sotto gli occhi di tutti. I luoghi in cui realizzare le attività amministrative di un’azienda, come quelle di back office (i call center ne sono un esempio) o quelle di sviluppo software, così come molte altre, possono essere cambiati in tempi brevi.
La nota riflessiva è automatica: la famosa Mano Invisibile, che muove gli interessi collettivi secondo il principio della convenienza soggettiva, si è già espressa a favore dei discorsi sulle pari opportunità, sulle diversità e sulla sintesi culturale dei problemi legati alle trasformazioni tecnologiche; a favore delle economie aperte e dell’apporto di persone provenienti da esperienze diverse, che siano o meno frutto di differenze razziali o conseguenze dell’immigrazione. È proprio grazie a questo, infatti, che abbiamo potuto già vivere significative tappe storiche, colte per esempio dal mondo della pubblicità per trasferire punti di vista sul futuro, anche se si tratta di politiche ancora da attivare.
Ne avevamo già parlato sulle pagine di questo giornale: è il caso di questa campagna da brivido, Power to You di Vodafone, andata in onda in Egitto poche settimane prima della Primavera Araba.
Power to You, Vodafone Egypt on Vimeo.
Nello spot si vede in atto un cambiamento di massa. Esso non è in mano ai politici, ma ai singoli. Piccoli gesti, punti di vista e connessioni (qui il focus sull’importanza che hanno i social network) che, messi insieme, danno come risultato una grande svolta sociale: quella profetizzata in pochi minuti nel video venti giorni più tardi diventerà la realtà, a cavallo tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. Una storia che ormai conosciamo.
In questo senso, anche gli strumenti oggi utilizzati dal marketing e dalla comunicazione, i social media in primis, ricordano ai popoli sottomessi e a tutti i cittadini del mondo che il destino non è già scritto. E attraverso un messaggio fortemente emotivo, oltre che razionale, fanno immaginare quale immenso potere si possa esercitare per il cambiamento e per la società, superando una volta per tutte la contrapposizione dialettica sui temi delle razze.
Le iniziative per gli immigrati dei giganti del Digital
Non è finita qui. In risposta alle notizie sensazionalistiche spalmate sui quotidiani e alle fake news condivise a discapito degli utenti più ingenui, un altro messaggio arriva direttamente dal mondo dell’industria digitale.
Microsoft, per esempio, ha deciso di sposare la causa dei migranti in prima persona per garantire opportunità di integrazione e alfabetizzazione digitale. Dalla collaborazione tra Fondazione Mondo Digitale e Microsoft è nato infatti il progetto Co-Host, che con il patrocinio del Ministero dell’Interno si dedica all’integrazione socioculturale e alla riqualificazione professionale di immigrati e rifugiati in Italia. L’alleanza strategica tra il mondo della scuola italiana e i centri di accoglienza ha permesso la creazione di un hub formativo in cui i migranti possono apprendere e sviluppare competenze digitali, linguistiche e civiche.
I tutor di questa scommessa formativa sono mille studenti italiani che in cinque città – Roma, Napoli, Reggio Calabria, Catania e Messina – si mettono in gioco come facilitatori naturali dei processi di integrazione grazie al codice digitale, linguaggio ponte tra culture diverse e chiave di accesso alla cittadinanza 4.0. Al fianco di mille migranti, insegnano loro l’uso del pc e di Internet, li supportano nell’apprendimento della lingua e della cultura italiana, e li aiutano nel difficile processo di inserimento nella società che li ospita.
Facilitatori naturali e codici digitali: campagne da (ri)vedere per (ri)pensare
Per concludere e rispondere alla domanda principale di questa riflessione, se in rete e sui social media i discorsi sulle razze si azzerano, questa volta non guarderemo ancora ai dati statistici o alla fisiologia della storia industriale, né alle campagne di comunicazione online. Guarderemo altri temi scottanti: le differenze tra magri e grassi, tra neri e bianchi, tra donne e uomini, tra omosessuali ed eterosessuali, invitando a osservare che cosa debba essere considerato in e che cosa out anche in altri climi di dibattito. Scopriremo un finale già visto.
La presenza di trans nel mondo dello spettacolo e nella pubblicità è in aumento, e i temi legati a identità di genere e inclusione sono sempre più considerati. Nella sua ultima apparizione pubblica in occasione del Coachella Festival di quest’anno, Beyoncé è tornata a parlare di differenze di genere, accesso alle informazioni e potere femminile. Lo aveva già fatto con una campagna di comunicazione recente per l’International Day of the Girl l’ottobre scorso.
La madre dell’artista ha confessato, scusandosene, che durante la preparazione dello show – incentrato fortemente sul Black Power e sui fatti di morti violente e innocenti dei neri d’America – le aveva consigliato di rapportarsi di più al pubblico, che sarebbe stato prevalentemente bianco e impreparato a cogliere le tante referenze di questo imponente spettacolo. La risposta di Beyoncé è stata esemplare: “Mamma, Google è gratis”.
Al lancio della sua linea Fenty Beauty, invece, Rihanna è dovuta intervenire dopo essere stata interpellata da un utente di Twitter che le chiedeva perché nella sua campagna di comunicazione non ci fossero esponenti transessuali tra le modelle della sua linea di cosmetici.
“Molte aziende fanno questa cosa, si propongono con quell’unico spot accompagnati da transessuali o da donne di colore solo per dire: guardate come siamo variegati e inclusivi. Io no, non uso queste persone per fare marketing”, ha risposto la cantante, con grande appoggio da parte di molte persone in tutto il mondo che lavorano al Digital e alla comunicazione.
Ecco perché per noi, per i nuovi media, viene così naturale superare le barriere: nella società digitale non esistono.
[Crediti foto: iStock/uanmonino]
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