Donne e lavori, colpe e dolori

Lavorando con uomini e donne per la diversità di genere all’interno delle aziende posso dire che la maggior parte di loro, pur con pesi e modalità diverse, non mette in campo comportamenti atti a portare a valore le competenze di tutti, valorizzare le diversità di ciascuno, favorire il cambiamento per una migliore qualità del lavoro/vita […]

Lavorando con uomini e donne per la diversità di genere all’interno delle aziende posso dire che la maggior parte di loro, pur con pesi e modalità diverse, non mette in campo comportamenti atti a portare a valore le competenze di tutti, valorizzare le diversità di ciascuno, favorire il cambiamento per una migliore qualità del lavoro/vita di tutti.

Questo articolo sarà centrato su una parte del problema, sui comportamenti non premiantidelle donne. Sono queste le maggiori criticità per la loro carriera che mi trovo ad affrontare: creano incomprensioni ed emarginazione, difficoltà a rendersi visibili, inadeguata lettura del contesto aziendale, non partecipazione a lobby, difficoltà a riconoscere e a valorizzare le proprie competenze.

Tanti rivoli che diventano un fiume

L’organizzazione aziendale è nata per un mondo di comportamenti, di uso del tempo e della comunicazione, fatto di uomini. Tuttora le culture delle imprese hanno un imprinting maschile, perché ancora poche donne sono arrivate ai vertici e hanno potuto dare la loro diversa visione dell’organizzazione.

Il contesto quindi dovrebbe apparire chiaro: ci sono regole per lo meno da conoscere e dalle quali non si può prescindere, se si vuole incidere e fare carriera nel sistema azienda. Questo non vuol dire che le donne debbano cambiare pelle, non essere loro stesse; vuol dire piuttosto che devono riconoscere di non essere solo multitasking nel fare, ma che la loro capacità di utilizzare un multitasking emozionale/comportamentale deve essere agita con meno spontaneità e più strategia, per potersi muovere adeguatamente nel proprio contesto e per gli obiettivi che vogliono raggiungere.

Donne in azienda: regole e risultati

Quasi tutte le imprese hanno dei sistemi che dovrebbero rendere equa la valutazione, ma in realtà in azienda vi sono regole non scritte che sono i reali motori all’interno dell’organizzazione; abitudini, automatismi e culture che superano le semplici norme. Le donne mediamente studiano poco il contesto aziendale. Pensano che dando il massimo, vivendo l’azienda come fosse propria, otterranno dei risultati. Ma così non è.

Tutti i responsabili del personale affermano che le donne sono affidabili, competenti, che dato un compito a loro sono quasi certi venga portato a termine, ma al momento della scelta le donne vanno in secondo piano. Ora certamente dietro c’è anche il problema che gli uomini (che detengono il potere) si confrontano e si trovano meglio con gli altri uomini, ma se fosse solo questo sarebbe difficile capire come mai alcune donne sono arrivate comunque ai vertici.

La semplice risposta è che queste donne hanno lavorato su due fronti: il loro empowerment e una visione strategica dei propri percorsi di carriera. Il che vuol dire che sono state sì brave, competenti e affidabili, ma hanno fatto in maniera che i loro talenti fossero visibili utilizzando modalità appropriate. Un nuovo empowerment e una visione strategica sono binari che devono correre paralleli. Vi voglio portare qualche esempio che ben evidenzia la difficoltà di molte donne a essere visibili, a sentirsi sicure di sé e agire e intervenire con empowerment.

Un problema di comunicazione. Da risolvere con l’empowerment

Sheryl Sanderberg, direttore operativo di Facebook, ha affermato: “A me piace essere la prima a fare una domanda in un seminario: sento che altrimenti non prenderei la parola”. Perché le donne intervengono poco durante i convegni, le riunioni? Perché si rendono in qualche maniera invisibili?

È lo stesso motivo per cui, davanti a un annuncio per un ruolo che richiede cinque competenze, la donna, riconoscendo di possederne solo tre, evita di presentarsi, e l’uomo invece ritiene che possederne tre su cinque dimostri un ottimo punto di partenza per affrontare una selezione; che ci sarà tempo, una volta assunti, per acquisire le abilità mancanti.

Le donne non amano intervenire e rendersi visibili se non hanno tutte le competenze, tutte le informazioni – se pensano di non essere perfette. Le donne sono campionesse di autocritica: ci fosse un campionato mondiale avremmo miliardi di ex aequo. Quando intervengono la paura di non riuscire a dare il massimo, di non essere all’altezza, di non far capire perfettamente all’interlocutore il proprio punto di vista, le porta a non essere sintetiche; le spinge a partire raccontando che cosa c’era a valle di quella decisione, i “fra le righe”, a disperdersi nei particolari. Si tratta di una comunicazione non incisiva e non strategica, poco consona al contesto aziendale, che è veloce e diretto. Molte donne sono brave e competenti, lo sanno, ma non si sanno vendere. Attendono che l’azienda si accorga di loro.

L’azienda non è una persona. Non “sa”: bisogna farsi vedere, attuare il marketing di se stesse. Notate quanto è facile che un’abile commerciale non sappia vendersi, e come in amministrazione si trovino donne abilissime nel gestire i costi e far fruttare i guadagni dell’impresa, ma assolutamente incapaci di bussare alla porta del responsabile delle Risorse Umane per avere un aumento di stipendio.

Le donne devono imparare a investire tempo e risorse su loro stesse, su una formazione all’empowerment e su un coaching che le accompagni nei percorsi di carriera.

 

Photo by rawpixel via unsplash.com

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