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Il modello Bologna è spaccato a metà. Parola del sindaco
Il rapporto Censis “Il senso del lavoro nella comunità produttiva e urbana di Bologna” fa il punto sulla crescita occupazionale e demografica del capoluogo emiliano. Ma è lo stesso sindaco Matteo Lepore a rompere l’incanto, all’indomani della polemica sul limite dei 30 km orari: “Qui ogni giorno 1.500 persone nelle mense Caritas, molti sono lavoratori”
Per qualche giorno i telegiornali e i quotidiani ci hanno raccontato del modello Bologna. In particolare, da quando è stato presentato il rapporto del Censis Il senso del lavoro nella comunità produttiva e urbana di Bologna, che ha celebrato la città in cui vivo e la sua manifattura.
In cappella Farnese c’erano tutti: Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, ha presentato il rapporto, che poi è stato commentato dall’arcivescovo Matteo Zuppi, dal rettore Giovanni Molari, e da Marco Hannappel, presidente e AD di Philip Morris Italia. E la lista non finirebbe qui.
A rovinare la festa a fin di bene, però, è stato proprio chi avrebbe potuto godersi lo spot gratuito, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha rimarcato come la città sia divisa in due: da una parte un manifatturiero tra i migliori al mondo, dall’altra centinaia (forse migliaia) di lavoratori costretti a rivolgersi alla Caritas per sopravvivere. Ma andiamo con ordine.
I numeri del modello Bologna: cresce il lavoro, ma anche le disuguaglianze
Una volta iniziati i lavori, Giorgio De Rita ha condiviso dati confortanti: “Nell’ultimo anno l’occupazione in Italia è aumentata di 470.000 unità e sono cresciute le ore complessive lavorate”. Il segretario del Censis è sempre molto attento anche alla questione giovanile. Giovani che vengono criticati perché nelle prove INVALSI dimostrano di far fatica nella comprensione dei testi, “ma che sono anche bravi, che sanno quello che vogliono e che oggi possono trattare le loro condizioni di ingresso in azienda. Bologna poi ha dati ancora migliori perché offre opportunità importanti, anche se in questa città stanno crescendo le disuguaglianze”.
Da bolognese dovrei essere orgogliosa di questi dati. Io però il modello Bologna lo vivo, e tra gli amici ingegneri che fanno carriera in Ducati (o in generale nelle tante aziende manifatturiere) e i manager della Philip Morris e della FAAC che frequentano i migliori ristoranti e mandano i figli nelle migliori scuole, vedo tanta gente che fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Lavorando, sia chiaro.
Tra gli altri ne è testimone anche il CEFA, una ONG che fino a pochi anni fa si occupava di progetti di sviluppo per i Paesi del Sud del mondo e che ora, soprattutto dopo la pandemia, si occupa anche dell’Italia. Da qualche anno il CEFA lavora con diverse mense bolognesi (Caritas, Cucine Popolari, Antoniano, Agostiniani, Comunità di Sant’Egidio, Emporio Alimentare Zanardi, Opera Padre Marella) perché le persone che hanno bisogno in città si sono moltiplicate in maniera esponenziale.
Matteo Lepore: “Qui due immigrati su tre sono italiani. Servizi per noi scontati non lo sono altrove, dovremmo rifletterci”
Quindi siamo tutti orgogliosi del modello Bologna, ma dobbiamo guardare anche l’altra faccia della medaglia. E ci ha pensato il sindaco, arrivato in ritardo e presente solo per una ventina di minuti, a chiarire a tutti questo aspetto. Travolto dalle critiche e dalle polemiche dopo Bologna città 30 (c’è chi ad oggi lo considera non più rieleggibile grazie a questo provvedimento), Matteo Lepore non si è trattenuto dal tirare un’altra bordata, stavolta alle istituzioni.
“Bologna è una delle poche città che sta crescendo dal punto di vista demografico, non tanto perché si fanno più figli che da altre parti d’Italia, ma perché c’è molta immigrazione e due immigrati su tre sono italiani. Qui siamo invasi non dagli stranieri, ma dagli italiani che vogliono studiare e lavorare. Molti scelgono la città per la qualità della vita e gli standard di welfare scolastici e sanitari. In sostanza Bologna sceglie lavoratori di un certo tipo, ma viene anche scelta, e in questo momento la disoccupazione è intorno al 3%.”
“Come sindaco sono assolutamente contento per questo dato; sono meno contento del fatto che tanti giovani italiani sono costretti a scappare dalle altre Regioni per venire tra Bologna e Milano perché non hanno possibilità nei loro territori. Anche perché a Bologna non si cerca solo il lavoro, ma anche l’asilo per i figli e il servizio sanitario.”
Il sindaco ha fatto notare che di recente ha registrato il fenomeno di genitori che si trasferiscono in città e vengono accompagnati dai nonni, perché hanno paura di rimanere senza nessuno che si occupi dei bambini.
Aggiungo un’esperienza familiare: due cugini di mio marito, nati in Puglia, sono dovuti scappare da San Giorgio Ionico (in provincia di Taranto) perché dopo diversi anni di lavoro nella stessa azienda non avevano ancora un contratto. È partito il primo (il più piccolo) che poi è stato seguito dal fratello maggiore e dalla sua fidanzata. Dopo un mese di prova entrambi i fratelli sono stati assunti a tempo indeterminato in un’azienda di Reggio Emilia che si occupa di biomedicale, con uno stipendio più o meno triplo rispetto a quello guadagnato in provincia di Taranto. Oggi i loro genitori stanno pensando di seguirli in un territorio che può offrire molti più servizi e opportunità anche a loro. Anche se non c’è il mare.
“I nonni – continua il sindaco – all’inizio si trovano come pesci fuor d’acqua nella nostra città, ma poi trovano parchi, giardini, asili e molto altro. Servizi che per noi sono elementari e scontati e che evidentemente in altre città non lo sono, e come sistema Paese dovremmo riflettere su questo”.
Le due metà di Bologna sono lavoro e povertà: “Ogni giorno 1.500 persone nelle mense Caritas, molti sono lavoratori”
In generale il sindaco ha più volte richiamato l’attenzione delle istituzioni. Del resto, Bologna è una città già molto popolata, frequentata anche da studenti e turisti. E con il turismo aumentano gli affitti brevi, e in generale gli affitti salgono. Ma qui arrivano anche nuovi residenti che casa la vorrebbero affittare o comprare, e non possono perché non hanno un salario da manager.
“La casa – continua Lepore – oggi copre il 60% delle spese di una famiglia e in questo momento abbiamo bisogno che, a livello nazionale, su questo tema si battano colpi insieme. Occuparsi di famiglia oggi significa occuparsi anche del reddito delle famiglie, delle persone che lavorano e che con lo stipendio non arrivano alla fine del mese perché non riescono a pagare l’affitto. E non è solo questione di COVID-19, ci sono dei nodi strutturali sulla casa che minano la competitività del nostro Paese. Come Comune noi cerchiamo di fare la nostra parte e di realizzare case, ma abbiamo bisogno di rispondere a una domanda abitativa altissima e dinamica per gli studenti che crescono e per i lavoratori che arrivano. Una città da sola non può dare risposte a questo problema, servono risorse e modelli a livello nazionale.”
E poi riferendosi al Cardinale Zuppi (presente per tutto l’incontro) ricorda le 1.500 persone che ogni giorno frequentano le mense Caritas e Cucine Popolari, persone che in molti casi lavorano nei settori dell’edilizia, della logistica, del commercio.
“Quindi da un lato abbiamo un manifatturiero super che ci dobbiamo tenere stretto, dall’altro lasciamo in mano alla Caritas la sopravvivenza di alcuni lavoratori. L’Italia va cucita sulle politiche urbane e su quelle abitative, e spero che il Censis possa fare questo tipo di indagine anche in altre città.”
Diciamo che, a questo punto, mi tocca sperare che tutte le multe che prenderò nei prossimi mesi possano supportare qualche pasto per chi in città ne ha sempre più bisogno, perché come Matteo Lepore vedo Bologna spaccata in due, divisa tra tecnologia e povertà, tra innovazione e disagio. Quel venerdì mattina ho trovato un sindaco che in mezzo alla bufera dei 30 all’ora è andato avanti per la sua strada senza preoccuparsi di chiamare in causa le istituzioni presenti, che chissà come e quando risponderanno.
Questo perché all’incontro era presente – incredibile a dirsi – anche Marina Elvira Calderone, ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, presa d’assalto da radio e televisioni e finita su tutti i servizi che sui telegiornali e altrove hanno magnificato il modello Bologna, senza riportare una parola del discorso del sindaco. Ma il rilievo che avrebbe meritato la ministra è questo: una riga in fondo all’articolo. E quel modello avrebbe bisogno di un’altra narrazione, se vogliamo rendergli un buon servizio.
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Photo credits: tutte le foto nell’articolo sono state scattate dall’autrice Lara Mariani
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