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Multilevel marketing, la rete prima della Rete
Un esercito invisibile, composto da studenti, casalinghe, pensionati, ma anche professionisti, che ogni giorno si sveglia e vende prodotti per il benessere, la pulizia della casa, la cosmesi e addirittura per il piacere personale. Sono i venditori multilivello o netmarketing, che nell’era dei social e della rete sono in netto aumento. Proprio loro, che la […]
Un esercito invisibile, composto da studenti, casalinghe, pensionati, ma anche professionisti, che ogni giorno si sveglia e vende prodotti per il benessere, la pulizia della casa, la cosmesi e addirittura per il piacere personale. Sono i venditori multilivello o netmarketing, che nell’era dei social e della rete sono in netto aumento. Proprio loro, che la logica della rete amicale e parentale la usavano già negli anni Settanta, e qualcuno già negli anni Venti, quando il pioniere Carl Rehnbor lanciò Nutrilife.
Una statistica su quanti siano in Italia è praticamente impossibile da redigere, come ha spiegato il vicedirettore del Cescom dell’Università Bocconi Luca Pellegrini, vista la flessibilità di questo modello economico, che per molti rappresenta un secondo lavoro o un arrotondamento. Eppure negli ultimi tempi sono in molti a aderirvi, attratti non solo dai guadagni, ma anche da nuovi stimoli e da un tipo di lavoro che consente di gestire il proprio tempo libero in modo autonomo.
La figura del manager rampante self made man in grado di guadagnare cifre da capogiro grazie alla rete di vendita, che era al centro della narrazione di March Hughes, il guru di Herbalife, e quella della casalinga che combatteva la noia e arrotondava con le dimostrazioni di prodotti per la casa alle amiche, sono ormai solo una parte del composito universo affollato da impiegate, avvocati, studentesse e anche disoccupati che vi hanno trovato un sostentamento. Ma anche nuovi stimoli lavorativi che le professioni tradizionali non riescono più a dare.
Multilevel marketing, catene di Sant’Antonio? No grazie
La storia, ormai pluridecennale, di questo modello di vendita è stata costellata in passato anche di controversie legali. Al punto che in alcuni Paesi, come la Cina, è ancora considerato illegale. Oggi chiunque vi lavori come prima cosa specifica: «Non c’entriamo nulla con le catene di Sant’Antonio o lo schema Ponzi, anche se c’è ancora confusione».
Al centro di questo modello c’è sempre la vendita del prodotto. Al contrario di quanto avviene nei modelli fuori legge, i cosiddetti schemi piramidali, il guadagno può derivare solo dalla vendita diretta oppure da percentuali sulle vendite del proprio gruppo di venditori; mai sul reclutamento di nuovi venditori. Sono fondamentali in questo caso l’affiatamento tra i membri della rete, il credere in ciò che si vende e l’armonia.
Parlare con chi vive le reti significa entrare in un mondo dove la competitività, le piccole invidie che nascono in azienda e la voglia di sopraffazione non esistono. Si percepisce un senso di famiglia. Forse anche per questo sono in molti a voler mollare un lavoro normale per trovare nuovi stimoli in queste realtà.
«Così mi pago gli studi e qualche extra»
Giulia Nardi ha 22 anni e lavora in un asilo nido, frequenta un’università telematica e da tempo commercia prodotti di bellezza Yves Rocher in una piccola cittadina lombarda. Durante il lockdown la vendita multilivello è diventata il suo unico sostentamento. «Ho iniziato quattro anni fa – dice – quando ero all’ultimo anno delle scuole superiori. Le spese sono aumentate, mentre studiavo per prendere la patente, e andare a gravare sul bilancio famigliare non mi piaceva molto. Così mi sono messa a cercare su un sito di offerte di lavoro. Ho visto un annuncio per la vendita di alcuni prodotti di bellezza che avevo già usato. Alcuni amici dei miei genitori lo facevano già e ho deciso di provare. Mi sono detta: “Se proprio vedo che non riesco, mi tiro indietro”. Sono ormai quattro anni che lo faccio. Non ci ricavo uno stipendio, ma a sufficienza per le mie spese».
A muovere Giulia non sono i guadagni facili, ma la voglia di arrotondare e di avere indipendenza, oltre al fatto che questo tipo di impegno è compatibile con altre occupazioni. «Non è semplicissimo. Bisogna avere una certa “parlantina”, buttarsi in mezzo alla gente e far conoscere il prodotto. Ma soprattutto si deve conoscere ciò che si propone, non tanto a livello tecnico, ma personale. Innanzitutto ho iniziato a usare i prodotti che vendo, e poi ho cominciato a farmi un giro di clienti con conoscenti e amici. Sapevo fin dall’inizio che non c’era un’entrata mensile, e non la prometto nemmeno a chi coinvolgo come venditori».
L’uso dei social network, specialmente nel periodo della pandemia, ha consentito a Giulia di incrementare i suoi introiti. «Quando lavoravo – continua – di solito mi riservavo un paio d’ore alla sera per promuovere i prodotti sui social invece magari di guardare la televisione. Nel periodo del lockdown mi hanno aiutato molto WhatsApp, Instagram e Facebook».
Il grande salto: vivere di vendite multilivello
Elisa Broveglio aveva 21 anni, un diploma professionale da estetista, e un problema di salute che rischiava di farle perdere l’impiego.
«Dopo aver studiato come estetista il negozio dove lavoravo ha chiuso improvvisamente. Io ho iniziato a lavorare nel negozio da parrucchiera di mia madre. Dopo due anni ho iniziato a presentare dei sintomi di allergia ad alcuni prodotti, che mi provocavano escoriazioni gravi. Una mia cliente, che aveva delle conoscenze, mi ha fatto provare una crema per le mani. Ho iniziato a fidarmi di lei. Dopo due giorni mi sono resa conto che ero guarita e mi ha spiegato cosa sia Be Health, la società per la quale oggi lavoro. È un’attività che si riesce a fare soprattutto se si conoscono e apprezzano i prodotti». È un’azienda nata praticamente un anno fa, e da febbraio è quotata in borsa. Per Elisa è il futuro. «Quando ho sentito questo progetto mi sono illuminati gli occhi: ho capito di avere le competenze per fare questo lavoro. Mi ha attirato il senso di sfida e la possibilità di gestire il mio tempo».
La vendita multilivello si rivela anche in questo caso propizia durante il lockdown. «Inizialmente – continua – il mio obiettivo era solo di arrotondare vendendo i prodotti. Dopo il lockdown sono rimasta a casa senza stipendio e mi sono mantenuta con il network. Sono in procinto di poter fare solo questo. Penso di essere una delle più giovani in azienda e non sono più una delle ragazzine più piccole di me, che lo fanno per incrementare la paghetta. Inoltre mi viene naturale parlare con le persone di una cosa che mi piace».
Il multilevel marketing a 40 anni: cambio lavoro, cambio vita
Molti degli aspetti personali che ruotano attorno al mondo del multilevel marketing hanno attinenza con la soddisfazione personale ancor prima che con il denaro. Se negli anni Ottanta e in parte anche nei Novanta, con un’economia in crescita, a solleticare le persone era la possibilità di alti guadagni e di una vita da nababbi, oggi il networking si carica di aspettative che riguardano di più la sfera dell’apprezzamento del lavoro svolto e del buon clima aziendale.
C’è chi ad esempio come Valerio, laureato e dipendente pubblico, ha trovato nella vendita dei prodotti Amway, multinazionale prima al mondo nel settore per fatturato (8,4 miliardi) e specializzata in benessere e prodotti per la casa, un nuovo stimolo lavorativo a 40 anni. «Sono tre anni che collaboro con questa realtà. Siamo inquadrati come venditori porta a porta e il nostro inquadramento comporta un sostituto d’imposta alla fonte dal punto di vista fiscale. Quello però che apprezzo in modo particolare è il clima che si è creato. C’è molta collaborazione tra i venditori. Questo non significa che il mio lavoro principale non mi piaccia, ma semplicemente a 40 anni questo nuovo tipo di attività mi ha dato nuovi stimoli».
Valerio sta dedicando un tempo sempre maggiore a questa seconda attività, che gli dà soddisfazioni non solo economiche. «C’è la sfida di costruire una rete di venditori, di istruirne di nuovi e di vederli crescere. Soprattutto tra noi non esiste competitività, ed è l’azienda a farci lavorare in questo senso. Da noi la chiave di volta è condividere il progetto (non il prodotto) con altre persone, creando così una nostra rete commerciale che si fonda sui microfatturati di tanti».
Photo credits: www.corrierenazionale.it
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