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Nuova Lombardia cercasi
Difficoltà a garantire la continuità aziendale, manager che temono di perdere il lavoro, paralisi degli eventi che hanno da sempre caratterizzato Milano: qual è la ricetta per ripartire?
Mai come ora imprenditori e professionisti si sono trovati di fronte a uno scenario così complesso, anche a causa del prolificare di decreti da parte del Consiglio dei ministri, a volte in contrasto tra di loro, che generano incertezza applicativa. Tutto ciò ha messo in crisi un modello decisionale, che basava i suoi presupposti sulla capacità imprenditoriale di gestire delle variabili endogene. L’imprenditore, attraverso un’attenta pianificazione, coglieva delle opportunità e prendeva rapidamente le decisioni aziendali, sulla base di dati certi e confrontati attraverso dei budget annuali.
Una cultura manageriale sempre più miope
C’è da chiedersi, ora più che mai, cosa debba temere ora la cultura manageriale lombarda, che paure abbia. In un quadro di costante incertezza, legato a variabili esogene, questa capacità imprenditoriale ha manifestato tutti i suoi limiti. Ora, a causa del COVID-19, diviene più importante la capacità di ridare flessibilità ai processi aziendali e di gestire i rischi della Continuità Aziendale (Business Continuity).
A livello di rischi mi riferisco, ad esempio: alla chiusura improvvisa di alcuni mercati, alla perdita di talenti che si orientano verso aziende che offrono una maggiore garanzia di continuità nel futuro, alla necessità di ridurre il costo del lavoro attraverso la revisione dell’organizzazione aziendale, usufruendo al contempo della cassa integrazione speciale in deroga. Aggiungo: il tutto senza un budget di guida e/o una programmazione affidabile, e con dubbia efficacia dei modelli di gestione per obiettivi.
In sintesi potremmo dire che è venuta meno la pianificazione delle attività nel medio termine, a fronte della necessità di decidere su archi temporali sempre più ridotti. In aggiunta a quanto sopra, a fronte della riduzione dei fatturati, soprattutto nelle piccole e medie aziende si percepisce una diffusa paura di non aver capacità finanziaria autonoma, e quindi di dover ricorrere alle linee di credito del sistema bancario per assicurare una continuità aziendale. Molti imprenditori quindi temono già, di fronte ai primi timidi accenni di ripresa, di non avere “le risorse” per sostenerla.
I manager hanno paura di perdere il lavoro, e hanno ragione
Lo scossone c’è stato e ha fatto tremare la classe manageriale. Infatti un capitolo a sé lo merita la situazione dei dirigenti in forza alle aziende private.
La nostra divisione di ricerca e selezione non ha mai ricevuto così tanti curriculum spontanei, a livello di amministratori delegati e direttori generali che si trovano a cinquant’anni a ricercare un nuovo posto di lavoro. Molte multinazionali hanno colto l’occasione della crisi per alleggerire la struttura di vertice delle aziende sulla base di un’applicazione rigorosa dei contratti di lavoro dirigenziali in essere.
Possiamo affermare che i manager oggi hanno più paura di perdere il proprio posto di lavoro e i benefici a esso connessi rispetto al passato. Personalmente ho avuto modo di parlare con alcuni dirigenti licenziati, scoprendo la loro totale impreparazione, sia per la ricerca di un nuovo posto di lavoro, sia per iniziare a svolgere un’attività di consulenza.
Oltre all’aspetto economico, devo sottolineare l’aspetto psicologico di persone che, abituate a essere ai vertici della catena del comando, si trovano ora a faticosamente a ricercare una dignitosa occupazione, anche per rispondere a un loro bisogno di autostima.
Questo problema è sicuramente destinato a durare nel tempo, e non è un caso che alcune associazioni, quali ad esempio Federmanager, abbiano avviato corsi e seminari di sostegno a favore dei loro associati che si trovano in questa situazione.
Per quanto attiene alle nuove generazioni, sicuramente più aperte alle novità della trasformazione digitale, sicuramente cercheranno nuovi modelli gestionali, ma temo che l’inserimento nelle aziende senza un adeguato periodo di affiancamento alle generazioni precedenti possa costituire un rischio per le aziende stesse. Certamente, avere in curriculum un buon percorso studentesco, la buona conoscenza delle lingue straniere e la disponibilità a trasferirsi rimangono sempre un ottimo biglietto di presentazione, che rischia però di essere incrinato, al momento dell’assunzione diretta di alcune responsabilità, da una carenza di esperienza operativa.
Non solo Milano: la produttività lombarda abita in provincia
Le conseguenze dirette della crisi pandemica, grazie allo smart working, hanno portato a un’improvvisa accelerazione dei servizi digitali, nelle istituzioni e nelle aziende, che hanno dovuto potenziare e/o implementare piattaforme di supporto. Ma ciò che non sfugge a un’attenta analisi e che Milano e alcune città lombarde si stanno sempre più terziarizzando.
Del resto la vera capacità produttiva lombarda non è a Milano, ma nelle province, anche se si parla sempre genericamente di Lombardia includendo Milano. Si tratta di capire se questo sarà il tempo in cui verranno rivisti i pesi tra le province silenziose e se si riconoscerà una maggiore e più equa visibilità a chi ha davvero industrie e imprese ben piantate a terra, a differenza di Milano.
Intanto la sua terziarizzazione la si avverte dall’insieme di bandi, accordi con università e centri di ricerca per lo sviluppo di nuove tecnologie, che favoriscono l’insediamento, ad esempio, di un polo ospedaliero e tecnologico nelle aree rese libere dopo Expo 2015.
Il tessuto manifatturiero continuerà a svilupparsi in tutta l’area di Monza e della Brianza e nell’hinterland delle città, in particolare Brescia e Bergamo, avvantaggiate da un eccellente sistema autostradale. Ormai la distanza tra queste due città non è altro che un continuum di aziende di diverse dimensioni. Ritengo che l’alleanza tra Brescia e Bergamo quali capitali italiane della cultura nel 2023 potrà fungere da ulteriore acceleratore per il rilancio di queste città.
Anche le città di Pavia e Varese, che possono contare su eccellenti università e sulla vicinanza a Milano, hanno in previsione ulteriori sviluppi del tessuto industriale. Il segreto del successo è direttamente correlato alla presenza di infrastrutture per l’interconnessione alle reti di trasmissione dati, e a un sistema stradale e ferroviario in linea con i tempi. Opportunità che non si vedono, al momento, in altre realtà urbane.
Basta marketing, basta eventi: bisogna ripensare i processi culturali
Il vicepresidente della giunta lombarda, Fabrizio Sala, recentemente ha definito “di straordinaria rilevanza” il Piano Strategico Triennale 2018-2020. Si tratta di un documento guida che traccia le linee di sviluppo per il futuro regionale della ricerca e dell’innovazione, che a fine 2020 aveva mobilitato risorse per oltre un miliardo di euro. È stato decisivo anche l’impegno dei privati che hanno aumentato gli investimenti in questi settori, ritenuti sempre più vitali per il futuro.
Sono risorse messe in gioco per favorire la competitività del sistema economico-produttivo, la crescita del capitale umano, lo sviluppo sostenibile, e per contribuire a elevare il benessere sociale e la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese.
Credo che occorra ripartire da questi assunti per modulare i nuovi processi a favore del tessuto economico e sociale, dopo che ci si è resi conto di quanto Milano avesse basato buona parte della sua economia su marketing ed eventi. Bisogna ripartire e rimodulare alcuni processi culturali.
La Lombardia deve ripartire dalla conoscenza
Come evolvere? Occorre chiedersi questo.
Credo che le soluzioni capaci di far maturare questa fase di trasformazione passino necessariamente da un legame sinergico tra il mondo accademico, non solo dell’università ma anche dei centri di ricerca, con il mondo delle aziende e relative rappresentanze. Certamente un legame che sarà difficile da costruire, stante l’arroganza di alcuni docenti universitari e la scarsa disponibilità di alcuni imprenditori nei confronti del mondo delle accademie, giudicate troppo lontane dalla realtà.
In Lombardia servirebbe una visione globale che il mondo politico ancora non ha definito. Si avverte la necessità di un nuovo ruolo dello Stato, che dopo il COVID-19 indirizzi, faciliti e catalizzi la capacità imprenditoriale, tenendo presente che l’innovazione non può mai essere calata dall’alto, ma deve salire dal basso, dall’interno delle aziende.
Nei prossimi anni vedo la Lombardia come un hub della conoscenza, dove sviluppare e potenziare l’arte, il design, la creatività e la green economy, dato che – pare inevitabile – il futuro sarà più legato all’eccellenza dei servizi. Obiettivo da perseguire attraverso l’accorpamento di aziende troppo piccole, che non riescono oggi a introdurre le tecnologie abilitative dell’Industria 4.0 e a investire nella ricerca.
Per fare questo occorre serve sicuramente un nuovo quadro politico che ancora non si vede all’orizzonte, che ponga ai suoi vertici dei leader con adeguata conoscenza e competenza delle tecnologie del domani, in grado di dialogare con il mondo del lavoro e con quello imprenditoriale. Speriamo bene.
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