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Dove osa il brucomela: “Anche i dittatori portano i figli alle giostre”
C’è un cuore che rotola dentro se stesso tagliando il cielo, nell’ora che abbraccia il primo buio. Al suo interno ha un cerchio come un sole adolescente. Stanno entrambi intrappolati in una matrioska amorosa, nei raggi di una maxi ruota di bicicletta alta 92 metri. Ogni punto di quella giostra universale partecipa al suo movimento […]
C’è un cuore che rotola dentro se stesso tagliando il cielo, nell’ora che abbraccia il primo buio. Al suo interno ha un cerchio come un sole adolescente. Stanno entrambi intrappolati in una matrioska amorosa, nei raggi di una maxi ruota di bicicletta alta 92 metri. Ogni punto di quella giostra universale partecipa al suo movimento così che la conclusione possa essere una sola: “È l’amor che move il sole e l’altre stelle”. È il verso dei versi, che chiude — con il Paradiso — il viaggio di Dante nella Divina Commedia. Il cuore italiano agganciato sulla grande sfera russa è il frutto di 50 mila lampadine a led che hanno fatto del 14 febbraio 2017 gli auguri di San Valentino tra i più alti d’Europa, firmati “Eurowheel”, la ruota panoramica di Mirabilandia.
In quella chiosa dantesca c’è una storia che più italiana non si può, impastata di fantasia, meraviglia, adrenalina e visione. C’è la sintesi dei Cristoforo Colombo che veleggiano i mari del mondo a suon di brucomela, cavallucci e roller coaster, le montagne russe. Uomini e donne dalle doti della navigazione in solitaria, meno della cura della comunità. Così l’80 per cento delle giostre nel mondo parla italiano, ma nei parchi di casa nostra le giostre parlano la lingua di Putin: è della russa Pax la ruota panoramica di Mirabilandia, tricolore è l’oceano delle lampadine a disegnare il cuore.
E non parlate di ruolo marginale per i produttori di casa nostra: l’allestimento luminoso per San Valentino è già un primo passo oltre il paradosso per cui gli italiani operano nei grandi parchi americani — la vicentina Zamperla gestisce un colosso come Coney Island a New York — ma nelle città del divertimento italiano le attrazioni parlano estero. Accade anche col Katun, l’ottovolante invertito con le gambe penzoloni della struttura ravennate, frutto di una collaborazione svizzero-tedesca.
Prima le giostre, poi la politica
Oltre ogni pretesa di italianità a tutti i costi parlano i numeri: i circa 100 produttori italiani di giostre, nel triangolo luminoso tra Rovigo, Vicenza e Reggio Emilia, esportano il 95 per cento all’estero. I dati li fornisce Maurizio Crisanti, segretario nazionale di Anesv, l’Associazione degli esercenti di spettacolo viaggianti.
Sui cavalli e le montagne russe salgono e scendono relazioni «Laddove la politica non riesce», dice Crisanti. Accade per esempio che in Corea del Nord i parchi per i sudditi di Kim Jong-un parlino veneto. Oppure nel Venezuela di Maduro dato alle fiamme e nel Messico della guerra dei narcos allo Stato. Dove fallisce la politica c’è un parco divertimenti firmato Italia che muove meraviglia. Sempre i numeri raccontano di oltre 600 milioni di fatturato annui — come il Barcelona Futbol Club — per 2 mila nuove attrazioni a portare adrenalina e sorpresa ogni 365 giorni.
Dai pezzi di bicicletta agli ottovolanti
La storia diventata leggenda narra di due costruttori di biciclette di Melara e Bergantino, nel Polesine, che, girando per fiere negli anni tra il 1945 e il 1950, videro un giorno una coda molto lunga davanti a una giostra. Capirono che quelle persone in attesa cercavano un divertimento di pochi minuti e, cosa più importante, pagavano in contanti. Così con i rottami di aerei da guerra e pezzi di bicicletta costruirono le prime giostre. Oggi i nipoti dei meccanici di bici parlano diverse lingue, hanno in media 40 anni e ogni giorno tracciano una linea su Google Earth con le proprie gambe più che col clic del mouse.
Se le valigie viaggiano, la produzione resta in gran parte in Veneto, in particolare in provincia di Rovigo dove la giostra è diventata distretto riconosciuto. Il passo avanti sta nella formazione: «Anche per fare una saldatura su una ruota panoramica è necessario un patentino», dice Franco Cestonaro, District Manager per la Cna. Sicurezza, anzitutto, perché nei giri vorticosi di un ottovolante neppure una vite può avere dubbi. Prosegue: «Per andare all’estero sono richieste garanzie chiare». Certificazioni riconosciute, documenti inoppugnabili.
L’adrenalina, innazitutto
Se l’essere sicuri è punto di partenza e di arrivo, nel mezzo c’è l’adrenalinica sperimentazione per cui ogni nuova giostra, vale per quelle “estreme”, spinge il limite dell’umana sopportazione, prima di svenire. Insomma quanto più forte, breve e distillata è l’accelerazione massima a cui sottoporre il corpo umano, tanto più la giostra farà provare il terrore che spinge a ritornare per un nuovo brivido. «I dati scientifici su cui si basano i costruttori — sempre Cestonaro — sono frutto degli studi della Nasa sui lanci aerospaziali. Non si improvvisa in questo mestiere».
Ville viaggianti sulle ruote
In questo mondo aereo e colorato la differenza la muove la versatilità: capita che quello che è stato progettato per le carovane di giostre itineranti oggi vada a servire altre “giostre”, la Formula 1 o lo sfarzo degli sceicchi in trasferta. Così i caravan progettati per i giostrai — o meglio esercenti di spettacoli viaggianti — oggi sono vere e proprie dimore regali sulle ruote. Nel distretto di Rovigo una parte da leone nella produzione la fanno proprio i tir colorati usati per le corse della Ferrari oppure per le gare equestri o i raduni nel deserto dei neo sultani. È il lusso dei nomadi per eccellenza: ex beduini e piloti giramondo che della giostra hanno acquisito il fine ultimo, l’economia del divertimento itinerante.
Dai circensi ai capitani del divertimento
Dalla giostra, però, bisognerà pur scendere e guardare il giro degli altri: seguirne i visi tra stupore o paura. È quello che è capitato a una delle figure della storia del divertimento italiano, Ugo De Rocchi. Da circense equilibrista, due volte clown d’oro a Montecarlo — si legge sul suo Cv — a proprietario di parchi che valgono milioni: Fiabilandia, a Rimini, e lo Zoosafari, a Fasano, per citarne alcuni. «Si è fermato», dissero gli altri quando lo seppero non in viaggio con la carovana di città in città, ma a capo di un impero per «la vacanza di un giorno». È l’italianità che resiste e che fa il paio con il gruppo Costa (Aquafan, Oltremare, Acquario di Genova) accanto alla presenza di fondi multinazionali che gestiscono i colossi di Gardaland e Mirabilandia.
Per i 130 parchi fissi italiani un giro d’affari di 350 milioni di euro l’anno con 16 milioni di visitatori (dati Siae) e «Un 2016 — torna Crisanti — che nei primi numeri rilevati parla di crescita dopo alcuni anni di calo». Qui, però, le discese sono solo quelle degli ottovolanti, i segni meno dell’economia non subiscono scossoni perché ai parchi divertimenti non si rinuncia: a Ravenna, a Rimini, a Città del Messico, a Pyongyang.
“Non c’era Fiera senza le giostre”
Si rinuncia sempre più, invece, al punto da cui è partito tutto: il Luna Park abbinato alla fiera, per cui non c’era Festa del Patrono senza le giostre. «I Comuni relegano i luna park sempre di più fuori dal centro delle città — chiude Crisanti — in periferia o, come è capitato, sul parcheggio del cimitero. Questo allontana i ragazzi, spesso non motorizzati, dalle giostre». È la parabola di un carattere italiano che santifica le feste, celebra i Patroni, e preferisce i grandi parchi all’americana a scapito dell’originaria vocazione popolare.
Nel frattempo l’esercito delle 5 mila famiglie di esercenti viaggianti si va sfilacciando, dietro il no dei Comuni e il pregiudizio attorno all’equazione giostraio uguale zingaro. Ma guardando all’origine dell’impero del divertimento e al cuore di Mirabilandia da cui siamo partiti, forse, occorrerà tenere a mente le parole di una canzone di Nicola Di Bari per ricostruire il nostro dna: “Che colpa ne ho, il cuore è uno zingaro e va, catene non ha, il cuore è uno zingaro e va”.
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