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Palestre, è il giorno della riapertura. Ma il 90% rischia il fallimento in tre mesi
Club allo stremo dopo le restrizioni. Il settore, troppo frammentato, richiede interventi strutturali e culturali, come sottolinea il presidente IFO Paolo Menconi: “Fitness più vicino alla sanità che allo svago o all’estetica”.
Le palestre potranno ricominciare le attività proprio oggi, 24 maggio, ma è un comparto che si lecca le ferite. A causa della pandemia e delle conseguenti restrizioni, la perdita economica del settore delle palestre ammonta nel 2020 a due miliardi di euro, con oltre 200.000 professionisti senza un lavoro stabile.
È un quadro fortemente critico quello che emerge dalla survey di IFO (International Fitness Observatory), realizzata in collaborazione con la società Egeria coinvolgendo oltre 6.600 club in tutta Italia, e coordinata da Paolo Menconi, presidente dell’Osservatorio.
L’industria del fitness prima del COVID-19 e la situazione italiana
Nel 2019 il settore fitness in Europa era in costante crescita, con circa 65 milioni di iscritti ai club e ricavi totali pari a circa 28 miliardi di euro.
L’industria del fitness e dello sport rappresenta per l’indotto una realtà di rilievo nell’economia dell’Italia che, con l’8% del mercato europeo, si collocava al quarto posto dopo Germania (20%), Inghilterra (19%) e Francia (9%): oltre 5,5 milioni le persone iscritte in palestra, per un mercato annuale di oltre 2,4 miliardi di euro. Un mercato che aveva perciò ampi margini di crescita e che è entrato nel suo momento storico più drammatico.
La survey, alla quale hanno risposto 455 operatori, è stata realizzata tra il 24 gennaio e il 28 febbraio 2021. Dai risultati dell’indagine emerge un settore caratterizzato da una maggioranza (62%) di piccoli club indipendenti, in attività da tempo e in cui prevale il modello one man company.
Vediamo nello specifico. Solo il 18% delle palestre, infatti, appartiene a catene, e quasi il 3% in franchising. Il restante 20% è formato da piccoli studi di yoga e pilates. Quasi la metà dei centri sportivi, pari al 39%, ha una superficie sotto i 500 mq; il 27% ha una dimensione fra i 500 e i 1.000 metri quadrati, mentre sono in minoranza i club fra i 1.000 e i 2.000 metri quadrati (16%) e quelli oltre i 2.000 metri quadrati (18%).
Il dato più interessante è che si tratta di un settore consolidato nel tempo: il 62% dichiara di aver aperto il club più di dieci anni fa, il 23% tra cinque e dieci anni fa; il 12,4% tra due e cinque anni fa, mentre gli imprenditori più “giovani” (tra uno e due anni fa) rappresentano solo il 3,4%.
Palestre, le chiusure azzerano gli incassi, ma non i costi
Analizzando il profilo economico, rispetto al 2019 oltre il 50% dei club ha stimato nel 2020 un mancato incasso di oltre il 70%, considerando che le chiusure hanno seguito periodi differenti nelle diverse regioni d’Italia. Il settore si stima abbia perso, sul fatturato annuale, una cifra che potrebbe aggirarsi attorno ai due miliardi. Inoltre il 21% dichiara di star accumulando debiti relativi ai pagamenti delle utenze e il 75%, nonostante la chiusura, sta pagando affitti e locazioni degli spazi per le strutture.
Quasi l’87% delle palestre giudica insufficienti a sostenere il settore le misure finora adottate, indicando tra i provvedimenti necessari forme di finanziamento a fondo perduto (78%), la sospensione di incombenze fiscali e bollette (66%) e l’emanazione di provvedimenti urgenti per il settore (il 58%). Il 20% dichiara di non aver ricevuto ristori o contributi dallo Stato.
Se la situazione è difficile per tutti, per qualcuno è disperata: il 14,7% dichiara di avere autonomia per un mese; il 31% ritiene di aver esaurito in due mesi le risorse economiche necessarie per superare la crisi; il 48% delle palestre potrebbe non farcela in tre mesi. Oltre il 54% delle attività rischia di non sopravvivere al quarto mese di stop, mentre solo il 6,5% dei club potrebbe avere la forza per resistere a cinque mesi di chiusura. A regnare è soprattutto l’incertezza: quasi il 40% dichiara di non sapere quanto può resistere ancora.
Paolo Menconi, IFO: “Il fitness è più vicino alla salute che a svago o estetica”
“Per quanto il fitness sia un mondo ‘ludico’, di svago, che eroga servizi in modo apparentemente spensierato, di fatto ha un ruolo chiave: diffonde benessere psicofisico con un’offerta molto variegata e per tutte le tasche, quindi andrebbe considerato diversamente, quasi più vicino al mondo della salute che a quello dello sport, perché fare movimento fa star meglio, è medicina preventiva e dovrebbe godere di un’attenzione differente”, rivendica Paolo Menconi, presidente IFO.
Fare fitness non è solo un hobby. “C’erano oltre cinque milioni di persone che andavano in palestra per stare bene anche dal punto di vista psicologico, scacciando ansie e solitudine, per farsi del bene. I risultati di questa ricerca indicano che l’industria del fitness è in un momento difficilissimo e senza precedenti. Il settore va protetto con interventi strutturali seri e concreti, sia per chi vi lavora sia per i clienti, per potersi rimettere in piedi e continuare a guardare serenamente al futuro”.
“Il settore del fitness – continua Menconi – in Italia è una realtà molto frammentata e questo è uno dei motivi per il quale spesso non riesce a far sentire in modo forte la sua voce. Se ci fosse un’evoluzione del modo in cui in cui viene percepito questo mondo, il fitness sicuramente ne trarrebbe enormi vantaggi.”
Secondo il presidente dell’Osservatorio, serve una grossa svolta culturale e di comunicazione, perché svolgere attività fisica è molto importante per la prevenzione e la salute dei cittadini. “Spesso, invece, la palestra viene percepita come un luogo in cui si va per sviluppare i muscoli e farsi vedere in perfetta forma. Da numerose nostre ricerche, questa è la visione che moltissime persone hanno di un centro fitness. Consolidare, invece, il concetto che andare in palestra fa bene alla salute è una prospettiva che potrebbe contribuire in modo notevole a far stare meglio le persone, a scaricare lo stress e, alla fine, a renderle più sane e più felici”.
Come cambiano le palestre dopo il COVID-19
La crisi sanitaria ha profondamente modificato la nostra esistenza, le nostre abitudini di consumo e di relazione sociale. Quale sarà l’impatto a lungo termine della pandemia sul segmento delle palestre?
“Al di là dell’estrema difficoltà con cui i club vivono questo periodo storico terribile – aggiunge Menconi – con il COVID-19 il settore fitness è decisamente cambiato”. Un grande passo avanti è stato fatto nell’ambito della digitalizzazione dei club. “Molti hanno introdotto nuovi strumenti digitali (app, video, collegamenti digitali con i clienti), ad esempio per l’erogazione di corsi online e l’attivazione di sistemi di prenotazione. Questo sviluppo ha ricevuto un grosso impulso dall’emergenza sanitaria; altrimenti, in una situazione normale, avrebbe richiesto certamente un tempo molto più lungo per la sua realizzazione”.
Molti club hanno inoltre aumentato la consapevolezza nei confronti delle esigenze dei propri clienti. “È un settore nel quale la fidelizzazione si attesta da anni attorno al 50-60%. Questo significa che ogni anno circa la metà dei clienti non rinnova l’abbonamento. Era perciò necessario un cambiamento culturale, che altri differenti settori hanno già compiuto da molti anni. Oggi i club sono sicuramente molto più attenti a consolidare il rapporto con il cliente e credo che in futuro ci saranno grossi passi avanti anche in questa direzione”, conclude Paolo Menconi.
Photo credits: blog.revoo-app.com
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