PCTO, ma non dovevate solo formarli?

“Se te lo chiedono lo fai”: 2.103 gli infortuni e 2 morti registrate durante le ex alternanze scuola-lavoro, che in alcuni casi spingono i minori a lavorare gratis. Colpa della scuola o delle aziende? L’opinione di Ivana Barbacci, segretaria CISL Scuola

PCTO, è lavoro? Un minore in tuta all'opera in una fabbrica

Durante lo stage ho fatto cose che non avrei dovuto, come guidare un muletto o salire sulle piattaforme aeree senza imbragatura né caschetto. D’altro canto si vive sul campo, se te lo chiedono lo fai. Altri miei compagni, in aziende diverse, hanno guidato in tranquillità il carrello elevatore senza patente.”

Quel che scandalizza nelle parole di Marco (nome di fantasia), studente di un corso di formazione professionale nel Nord Italia, è che il racconto da brividi in tema di sicurezza è relativo a programmi specifici di tirocinio o di PCTO, il Percorso per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, ex alternanza scuola-lavoro. Quel che aggrava oltremodo la sua testimonianza è che nel caso di specie si tratta di un minorenne.

C’è un aspetto, quando si parla del fenomeno legato allo sfruttamento minorile in Italia, che non viene quasi mai affrontato, ed è quello delle prestazioni d’opera gratuite mascherate da tirocini formativi curriculari. E invece ci sono datori di lavoro che, deliberatamente o per mera insufficienza culturale, colgono l’opportunità della presenza pro tempore di uno studente per sopperire alla mancanza di manodopera. Perché se è vero che nella stragrande maggioranza delle grandi aziende il lavoro minorile è stato debellato, grazie soprattutto alla legge 296 sull’obbligo di istruzione di almeno dieci anni – ma anche alle ormai sdoganate certificazioni di sostenibilità sociale – è altrettanto vero che il nostro Paese è popolato per lo più da piccole e medie imprese non strutturate. Ed è lì che si annida il rischio.

PCTO, se le aziende li scambiano per lavoro: 2.103 infortuni tra i ragazzi

Del resto, come riporta la nota di lettura di maggio 2023 del Senato sulla conversione in legge del decreto n. 48 (“Misure urgenti per l’inclusione sociale e accesso nel mondo del lavoro”), nel 2022 le denunce di infortunio di studenti in PCTO sono state 2.103, di cui due mortali. Più in generale, nel quinquennio tra il 2018 e il 2022, si sono registrate quasi 300.000 denunce totali nel mondo della scuola, con 18 morti complessivi. Ora, se il dato generale non è riconducibile solo ai percorsi di stage, basta quello sull’alternanza per capire che il focus sulla sicurezza rimane prioritario.

Il ragionamento principale che emerge è che, con tutta evidenza, i ragazzi vengono talvolta coinvolti nella concreta operatività dei processi organizzativi, più che in attività didattiche e formative all’interno delle aziende. Tradotto in estrema sintesi: può capitare che lavorino gratis.

Eppure tutte le scuole dovrebbero essere chiamate a verificare e richiedere il documento di valutazione dei rischi aziendale, nella parte relativa ai lavori svolti dai minori, che dovrebbe ribadire – ne cito uno preso da un’impresa alimentare – “la possibilità di adibire gli studenti alle attività per indispensabili motivi didattici o di formazione professionale in aula o laboratorio, oppure presso il datore di lavoro purché in sorveglianza di formatori competenti anche in materia di prevenzione e protezione e nel rispetto delle condizioni di sicurezza e di salute previste dalla legge”.

La domanda principale, quindi, è la solita: si tratta di una questione di norme o, ancora una volta, di cultura? Per il momento ci si concentra sulle norme, con i ministri Valditara e Calderone, rispettivamente di Istruzione e Lavoro, intenzionati a riformare il sistema PCTO. Peraltro non è la prima volta che si affronta il tema, perché quest’acronimo impossibile da ricordare è figlio di una trasformazione (con la legge di bilancio del 2019) proprio legata ai diversi infortuni mortali occorsi dopo l’istituzione dell’alternanza scuola-lavoro, che risale al 2015. E già in quella occasione, la tanto famosa quanto contestata legge sulla “Buona Scuola” di stampo renziano aveva fissato obblighi formativi e di sicurezza, per minori e maggiorenni.

Niente di nuovo, insomma, rispetto agli orientamenti attuali. Nel 2023, infatti, il governo ha deciso di intervenire a tutela, garantendo un Fondo per l’indennizzo dell’infortunio mortale durante lo svolgimento delle attività formative che riguarda lo studente impegnato nei PTCO. A questo si può sommare il protocollo firmato da ministero del Lavoro e UNICEF Italia nello scorso febbraio, teso a promuovere la cultura e la sicurezza sul lavoro, per rafforzare il sistema di protezione sociale e di sostegno attivo a tutela dei diritti dei minorenni.

Ivana Barbacci, segretaria CISL Scuola: “I ragazzi in PCTO devono formarsi, non lavorare”

Tanta carne al fuoco, ma il problema al momento non è stato ancora debellato. “Parlare di sfruttamento minorile mi sembra francamente esagerato, una caratterizzazione catastrofistica che non aiuta a migliorare le cose”, spiega a SenzaFiltro Ivana Barbacci, segretaria generale di CISL Scuola. “Però è chiaro che ci sono molti casi di abuso, perché le aziende non svolgono in maniera adeguata il loro compito educativo in assetto lavorativo professionale”.

Qual è quindi la strada da seguire? “Noi da sempre auspichiamo una sorta di sistema integrato tra scuola e mondo del lavoro. Un cambio di passo che in passato non è stato agevolato, anche perché non c’erano strumenti normativi che consentivano alle scuole di potersi misurare in questa relazione. Una relazione che non può essere costruita semplicemente per rispondere alle esigenze dell’azienda, ma che deve avere a cuore lo scopo primario: mantenere il livello di formazione anche fuori dalle quattro mura degli edifici scolastici. Il principio è immaginare un’attività formativa, durante gli studi, in un assetto non d’aula, ma con un profilo professionale e lavorativo”.

Più facile a dirsi che a farsi. “Per arrivare a questo obiettivo serve una serie di strutture sia all’interno delle scuole che dentro l’azienda. Ad esempio, il tutor nelle istituzioni scolastiche è una specializzazione che va sempre più affinata, diciamo specializzata, con insegnanti dedicati alla ricerca di aziende adeguate. La stessa cosa vale anche per le stesse aziende, che non possono immaginare di accogliere ragazzi in alternanza lasciando tutto intatto all’interno del proprio organigramma. Trattandosi di attività formativa, le realtà organizzative che si candidano devono giocoforza dotarsi di alcune professionalità in grado di accogliere i ragazzi nel migliore dei modi”.

Nella pratica, però, il panorama industriale italiano è costellato per la stragrande maggioranza da piccole medie imprese, non strutturate secondo i canoni descritti, e anzi restie ad approfondire la questione. “Servono incentivi, dobbiamo spronare il sistema per riuscire a costruire cultura, così da agevolare figure qualificate anche all’interno del processo organizzativo di queste specifiche realtà. Altrimenti gli imprenditori da soli non ce la possono fare e, mi consenta, non hanno nemmeno l’interesse per farlo. Che ci guadagnano, in fin dei conti? I ragazzi non producono e non devono partecipare al processo lavorativo, sono nei fatti inutili se inquadrati nel semplice contesto di profitto”.

Forse è meglio utilizzare il condizionale: i ragazzi non dovrebbero partecipare al processo produttivo. “Se utilizzi male lo strumento sconfini nell’abuso. Senza parlare per forza dei trecentomila infortuni, anche solo accogliere uno studente e impiegarlo a produrre fotocopie è un uso improprio, perché i ragazzi vanno coinvolti secondo dinamiche educative e non operative. Devono avere qualcuno al loro fianco, secondo una sfida formativa non automatica. Noi crediamo che i ministeri di Istruzione e Lavoro debbano implementare un albo che certifichi l’idoneità delle aziende ad accogliere i ragazzi in PCTO, strutturato secondo specifici requisiti. Questa è la nostra proposta concreta, per combattere ogni forma di spontaneismo, anche di buona volontà, che sconfini in usi e abusi”.

Un albo può essere una buona idea. Oppure un ulteriore e semplice cavillo burocratico. “In molti casi parliamo di minori. Capisco la necessità di rendere le procedure snelle ed efficaci, ma dobbiamo concentrarci sul bisogno primario della formazione, percorribile attraverso incentivi e contributi. Qualcuno deve mettere soldi per agevolare la partecipazione attiva delle piccole medie imprese. In particolare nelle Regioni del Sud, dove già il grosso del problema sta nel fatto che neanche ci sono le aziende. Davvero, non possiamo lasciare i giovani studenti alla buona volontà delle persone, con scuole abbandonate a sé stesse. Al contrario, quando l’alternanza scuola lavoro diventerà un percorso incentivante per le imprese, allora potremo dire di aver invertito la rotta”.

 

 

 

Photo credits: studenti.it

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