Pubblicità e lockdown: calo delle persone, calo degli investimenti

Fa’ la cosa giusta! Dal titolo di un vecchio film di Spike Lee proviene l’imperativo categorico a cui deve rispondere la comunicazione d’impresa ai tempi del COVID-19. Nello spazio di un mese, la pandemia globale ha completamente rivoluzionato la pubblicità delle aziende. A questo proposito basti pensare alle rilevazioni BVA Doxa, in cui si evidenzia […]

Fa’ la cosa giusta! Dal titolo di un vecchio film di Spike Lee proviene l’imperativo categorico a cui deve rispondere la comunicazione d’impresa ai tempi del COVID-19.

Nello spazio di un mese, la pandemia globale ha completamente rivoluzionato la pubblicità delle aziende. A questo proposito basti pensare alle rilevazioni BVA Doxa, in cui si evidenzia come il 49% delle aziende italiane ridurrà le spese in pubblicità e solo il 41% delle stesse sfrutterà il momento per consolidare la propria presenza mediatica.

Il calo degli investimenti pubblicitari interessa anche l’advertising online, un settore in costante crescita prima della crisi. In un report pubblicato il 24 marzo scorso, Alex Schultz e Jay Parikh, rispettivamente vice president analytics e vice president engineering di Facebook, scrivono che in Italia all’aumento del 70% del tempo speso sulle app del gruppo (Facebook, Instagram e WhatsApp), manca un conseguente aumento dei ricavi pubblicitari. Se si considera che, secondo dati Facebook rilasciati nel 2019, in Italia tre PMI su quattro utilizzano il social di Mark Zuckerberg per farsi conoscere e attrarre nuovi clienti, appare evidente che la crisi economica locale abbia dei profondi riflessi anche nell’eldorado patinato della Silicon Valley.

 

Calo degli investimenti in pubblicità: è tempo di riflettere sulla comunicazione

I dati sopra elencati aprono una profonda riflessione sulle modalità di comunicazione delle aziende in tempo di crisi. Non saranno infatti la rima facile, il jingle tormentone o l’instant marketing veloce a lasciare un segno. Risulterà invece fondamentale fare appello a quella corporate social responsibility così tanto analizzata, e che ora più che mai va comunicata ai consumatori.

Nel libro L’impresa spezzata. Motivare le persone dopo l’emergenza: la forza dell’unità e della fiducia, Andrea Notarnicola sottolinea quanto sia necessario un rinnovamento delle modalità di comunicazione nella crisi, attuando una strategia che coinvolga parallelamente i consumatori e i dipendenti. Come indicato dall’autore, serve un extreme engagement dei lavoratori, una chiamata alla partecipazione che deve essere espressa attraverso la comunicazione interna da un lato, e mediante la pubblicità dall’altro.

L’adozione di un comportamento socialmente responsabile consente alle imprese di ottenere una maggiore visibilità e reputazione presso i propri consumatori, ormai in cerca di brand impegnati a sostegno di cause dal forte impatto sociale. Secondo una ricerca effettuata dall’Osservatorio Civic Brands, infatti, per il 65% dei consumatori è necessario che aziende e marchi svolgano un ruolo attivo in ambito sociale, culturale e politico. Non basta vendere prodotti o offrire servizi: i marchi devono impegnarsi rispetto a tematiche sociali rilevanti, tornando a occuparsi di economia civica e agendo per il bene comune.

In altri termini, questo è quello che viene definito il passaggio “dall’egosistema all’ecosistema” da Otto Scharmer, docente del MIT e fondatore del Presencing Institute. Se nell’egosistema le organizzazioni valutano solo l’impatto del capitale finanziario e dei suoi dividendi tra gli azionisti, nell’ecosistema tutti gli stakeholders contribuiscono al benessere della propria comunità e valutano di fondamentale importanza il capitale umano. A questo proposito, Otto Scharmer ha sviluppato la U-theory, una teoria in cui illustra la gestione del cambiamento nelle organizzazioni attraverso lo sviluppo di sette capacità di leadership che culminano nel performing, ovvero nell’avviamento di una tecnologia sociale tra stakeholder che porti dalla discussione alla generazione del nuovo.

 

Come si comunica in tempo di COVID-19? Alcuni esempi positivi

Da queste riflessioni risulta chiaro che, in questi momenti di crisi scaturiti dalla pandemia, spetta anche ai brand la generazione di un nuovo orizzonte sociale, di cui i consumatori devono essere protagonisti attivi attraverso azioni condivise nella comunità.

In questa direzione si muove la campagna di comunicazione #noicisiamo di QVC. Il famoso canale di shopping televisivo ha realizzato una nuova piattaforma interattiva digitale, che coinvolge la sua community di oltre 2,5 milioni di utenti in iniziative di solidarietà nei confronti di quei membri che si trovano in situazioni di difficoltà a causa dell’emergenza da COVID-19. Il progetto prevede anche la creazione di spazi informativi e di intrattenimento sui social per raccontare le storie di tutti coloro che, in un momento così delicato, garantiscono all’emittente la prosecuzione delle sue trasmissioni.

Nel segno del cambiamento sociale, risulta di notevole impatto la narrazione dell’ultimo spot di Mazda. In questo caso c’è la forte scelta operata dal brand di schierarsi solidalmente vicino all’Italia, anche andando contro il suo mero interesse economico, quello di vendere automobili. Lo spot racconta la storia di Mazda, legata indissolubilmente a Hiroshima, luogo di uno degli avvenimenti più tragici della Seconda guerra mondiale.

Mukaidada è il nome della zona di Hiroshima, protetta dal monte Hijiyama, in cui si trovano gli stabilimenti Mazda. La protezione del monte ha garantito all’azienda di non avere gravi danni dall’esplosione della bomba atomica, consentendole di aiutare le persone del posto che desideravano un futuro a cui guardare. Così, solo quattro mesi dopo l’attacco, Mazda ha iniziato la produzione del motocarro a tre ruote Mazda-go, offrendo un segnale importante per la ricostruzione della città.

Il ricordo di quello che è accaduto ha spinto Mazda a interrompere le comunicazioni di prodotto sui media tradizionali, sostituendole con una campagna di brand awareness che, partendo dalle vicissitudini storiche e dai valori dell’azienda, rappresentasse un messaggio di speranza e incitamento per l’Italia.

 

Altre aziende nella pandemia: la posizione di WhatsApp e dei marchi del lusso

Nell’emergenza è quindi fondamentale per i brand considerare il contesto mutato, prestando molta attenzione alle nuove esigenze dei consumatori.

Nel solco di questo cambiamento, risulta interessante citare le iniziative prese da WhatsApp per tutelare i suoi utenti: la creazione del WhatsApp Coronavirus Information Hub e la donazione di un milione di dollari all’International Fact-Checking Network del Poynter Institute. Criticato spesso per essere veicolo di fake news, WhatsApp ha messo a disposizione la potenza del suo server per offrire con il suo Information Hub consigli generali e risorse per gli utenti di tutto il mondo sul reperimento di informazioni attendibili e indicazioni sulla difesa dalla diffusione di notizie non verificate.

Di grande fascinazione risulta anche la riconversione degli stabilimenti di molti brand del lusso (Ermanno Scervino e Giorgio Armani su tutti) alla produzione di mascherine, grazie anche alla disponibilità messa in campo dai loro dipendenti. Appare evidente la forza politica di questa scelta, segno forse di un cambio dei tempi che fa emergere con chiarezza la forza di chi guarda al valore umano prima che a quello economico.

Ringraziare i dipendenti, incoraggiare una nazione ferita da un virus, sostenere la lotta alle fake news e produrre mascherine non sono quindi gesti isolati, ma fanno parte di una strategia tesa alla creazione di un sentimento di fiducia e appartenenza.

Per questo, ai tempi dell’emergenza, la pubblicità non deve guardare a obiettivi dal respiro corto, ma deve cogliere l’occasione per offrire la narrazione di mondi possibili con la realizzazione di gesti concreti, rendendo i dipendenti delle organizzazioni e i consumatori protagonisti attivi del cambiamento comunicato.

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