
Uno studio su cinquecento aziende del Nord Est mostra le prime reazioni dell’imprenditoria alla crisi: c’è preoccupazione ma si pensa già alla ripresa, nel segno del digitale e delle competenze trasversali dei dipendenti.
Ai nuovi manager vengono richieste nuove capacità per gestire organizzazioni interconnesse. Vediamo insieme le loro quattro metacompetenze più importanti.
Le economie, le società, i mercati finanziari e i consumatori sono oggi fortemente interconnessi, e questo significa che gli attori economici, interagendo in misura crescente, generano complessità, ovvero determinano l’entrata in scena di fenomeni emergenti, non lineari e imprevedibili.
Il management, inteso come corpo di conoscenze finalizzato alla gestione d’impresa, si è sviluppato in un contesto storico molto diverso da quello attuale. Un contesto in cui la ricerca di ordine, efficienza e controllo rappresentavano i principali fattori di successo di un’azienda. Affrontare la complessità dei nostri tempi e gestire organizzazioni interconnesse rende pertanto urgente un cambiamento di mindset e di competenze manageriali.
Nella complessità vige il principio dell’“ecologia dell’azione”, in base al quale l’esito di ogni azione sfugge alla volontà del suo autore nella misura in cui entra nel gioco di inter-retro-azioni dell’ambiente nel quale interviene. Un’azione mirata al raggiungimento di un risultato potrebbe quindi portare al classico “operazione riuscita… con paziente deceduto”, quindi a conseguenze ben peggiori rispetto al punto di partenza in cui si era definito l’obiettivo da raggiungere. È infatti piuttosto frequente che, nelle aziende, parte dei problemi che i manager devono affrontare nascano da soluzioni date ai problemi affrontati in passato.
Questo rischio di essere sorpresi dalle conseguenze delle proprie azioni cresce – paradossalmente – al crescere della competenza specialistica della persona. Gli specialisti hanno maturato un’esperienza tale su un determinato argomento che tendono a crearsi convinzioni profonde e ortodossie su ciò che funziona e ciò non funziona per risolvere un dato problema. Ciò rappresenta una straordinaria ricchezza riguardo problemi complicati (si badi, complicati, non complessi) e in contesti relativamente stabili. Al contrario, nei sistemi complessi può rappresentare un forte ostacolo cognitivo.
Siamo abituati a valutare la qualità delle decisioni manageriali dai risultati che generano. La naturale conseguenza è che i manager si misurano sulla base dei risultati che portano. Affrontare consapevolmente la complessità significa mettere in discussione questa prassi consolidata.
Dal punto di vista della complessità, non si misura la qualità della decisione manageriale in base all’output che si determina (che potrebbe essere frutto del caso e del principio dell’ecologia dell’azione). La qualità di una decisione è determinata dal grado di consapevolezza dimostrata dal manager di tutte le possibili ripercussioni, intenzionali e non, della soluzione prospettata sul sistema azienda e sul sistema competitivo. Tale consapevolezza non assicura il risultato – un’opzione di per sé inesistente nella complessità – ma minimizza la possibilità di essere sorpresi da eventi imprevisti che impattano sulla vita dell’organizzazione.
Concretamente, ogni volta che è possibile avanzare domande che il decisore non si è fatto prima di prendere quella data decisione, siamo in presenza di una soluzione poco consapevole, e quindi debole dal punto di vista della complessità. Siamo quindi di fronte a un pensiero manageriale semplicistico e di bassa qualità.
Affrontare la complessità significa pertanto complessificare il proprio pensiero, aprirsi a molteplici punti di vista, ricercare il confronto e il diverso, aspettarsi l’inaspettato, uscire dai confini del proprio sapere specialistico, farsi nuove domande, non accontentarsi delle solite risposte. Aumentando le interconnessioni tra dati, informazioni, esperienze e osservazioni, creiamo ridondanza cognitiva, e quindi aumentiamo il numero di alternative di mondo che in ogni istante costruiamo. Di fronte a una qualunque realtà, maggiore è la nostra complessità cognitiva, maggiori saranno le alternative che riusciremo a prendere in considerazione, perché il processo di modellizzazione del mondo sarà più ampio e più ricco.
L’adozione di questo modello di pensiero e azione presuppone anche lo sviluppo di nuove competenze manageriali. Oggi i manager sono formati e valutati su un ampio portafoglio di capacità: l’orientamento al cliente, la flessibilità, la collaborazione, l’influenzamento, ecc. Queste competenze, pur importanti, hanno un limite: prescindono dal contesto e non tengono conto dei loro possibili trade-off. In alcune situazioni, infatti, potrebbe essere giusto puntare sulla massima soddisfazione del cliente, ma in altre questa scelta potrebbe non essere ottimale. Il manager che ha sviluppato un grading elevato nella competenza “orientamento al cliente” potrebbe essere portato a utilizzarla anche in contesti in cui farlo potrebbe essere nocivo.
Le attuali competenze manageriali, pertanto, non aiutano a contestualizzare l’azione manageriale, determinando il rischio di generare soluzioni automatiche, semplicistiche o ideologiche a problemi e situazioni complesse. Per comprendere quali metacompetenze servirebbero per superare questo limite e migliorare l’efficacia manageriale occorre riconoscere quattro effetti tipici della complessità:
A questi effetti occorre rispondere con quattro metacompetenze manageriali su cui i manager dovrebbero essere valutati e formati:
Un manager deve essere certamente determinato, intraprendente, ottimista (results orientation) ma deve evitare l’azione fine a se stessa. Deve saper gestire questa sua caratteristica comprendendo il contesto in cui si muove (context reading). L’azione manageriale non nasce quindi da prassi automatiche o da modelli di successo del passato: prende forma all’interno di quel dato contesto. Quella specifica situazione farà emergere un ventaglio ristretto di possibili azioni. La scelta finale cadrà su quella che minimizza possibili conseguenze negative (complex thinking) e non compromette la possibilità di raggiungere successivi risultati, ad esempio distruggendo relazioni o asset importanti per il futuro (context generation).
Photo by www.it.finance.yahoo.com
Uno studio su cinquecento aziende del Nord Est mostra le prime reazioni dell’imprenditoria alla crisi: c’è preoccupazione ma si pensa già alla ripresa, nel segno del digitale e delle competenze trasversali dei dipendenti.
Da una parte salari sicuri, benefit e possibilità di carriera; dall’altra un turnover forsennato, incentivi al sacrificio e competizione spietata: il mondo delle società di consulenza si basa sull’assunzione e sul rapido ricambio delle giovani leve. Abbiamo raccolto le testimonianze di chi lavora in Deloitte, PwC, KPMG ed EY
Ha 54 anni, e il suo ingresso in Mediaset si può definire di un’altra epoca: correva l’anno 1985. Aveva solo 19 anni, la patente e il diploma. In quel periodo la holding del gruppo Berlusconi assumeva tante persone, e lei, dopo aver spedito il curriculum tramite raccomandata con ricevuta di ritorno e dopo aver superato […]