Scuola, sanità, PA: il 2020 è l’anno dei concorsi pubblici. Ecco chi partecipa, chi li supera e come si preparano (e con quali costi).
Riders. Si scrive “contratto collettivo ad hoc”, si legge “Cottimo”.
Il contratto collettivo nazionale stipulato da Assodelivery con UGL non convince Marco Lombardo che lo considera un “ritorno al cottimo” strumentalizzato.
La non-notizia della realizzazione di un Non-Contratto Collettivo Nazionale non poteva certamente sfuggire a chi, come noi, è molto attento all’argomento, e da anni ormai segue gli sforzi con cui Marco Lombardo, Assessore al Lavoro del Comune di Bologna, sta cercando di far dialogare piattaforme e lavoratori del digitale.
A parte Linkiesta con un articolo firmato dal responsabile della comunicazione di Glovo, il resto della stampa nazionale sembra aver accolto tiepidamente la notizia. Perché è evidente il tentativo di green washing operato da Assodelivery, associazione di categoria coordinata e gestita dai vertici delle principali aziende di food delivery, ormai nell’occhio del ciclone, costrette a incassare solo nell’ultimo anno una serie di multe e denunce dai tribunali di Milano, Torino e ultimamente anche Firenze.
Neanche il COVID ha reso queste aziende sensibili alle condizioni di lavoro dei propri non-collaboratori (come ben si sa, i riders sono tutti “liberi professionisti” che devono però seguire obiettivi e regole aziendali da dipendenti): infatti hanno ricevuto ulteriori richiami per non aver distribuito le dotazioni di protezione ai fattorini.
Abbiamo contattato Marco Lombardo, ideatore della Carta dei Diritti dei lavoratori del digitale, con cui già tre anni fa si è cercato di mettere intorno a un tavolo – invano – multinazionali del food delivery (Glovo, Deliveroo, Just Eat, Uber Eats e Social Food, fra le altre). Il fine era concertare con i rappresentanti dei riders le migliori modalità di tutela non solo della sicurezza su strada (non dimentichiamo svariati incidenti che hanno portato a esiti molto seri sia dei riders che dei pedoni), ma anche di regolarizzazione di contratti di lavoro dotati della flessibilità necessaria in un nuovo mondo digitale che – per sfortuna dei datori di lavoro – richiede ancora l’intervento di “umani”.
Lombardo, sembra che finalmente siamo arrivati a un punto di arrivo “innovativo”. Il Responsabile Affari Generali di Glovo nel suo articolo parla addirittura di una “buona notizia per l’Italia”.
Utilizzare una modalità prevista dal nostro ordinamento giuridico (il dialogo e la concertazione tra le parti economiche e sociali) per piegarla a interessi già predefiniti in partenza (non adeguarsi ai contratti collettivi nazionali già esistenti) è una furbizia figlia della logica della comunicazione e non della cultura dell’innovazione. Costruire un cartello delle piattaforme degli algoritmi (Assodeliveroo), scegliersi un sindacato di comodo (UGL) e fare un finto contratto collettivo nazionale: è questo il modo di rispettare i diritti dei propri lavoratori? Questo è solo il modo per disegnare sartorialmente le proprie regole al preciso scopo di rifuggire dalle tutele normative che a fine anno dovrebbero divenire obbligatorie per tutti. Però sarebbe ipocrita prendersela solo con Sarzana (il Responsabile di Deliveroo in Italia, N.d.R). Tutto questo dovrebbe farci riflettere non solo sul caso di specie, ma su una diffusa (sotto)cultura dell’innovazione che rischia di emergere nel nostro Paese. Dietro l’economia degli algoritmi si nascondono pratiche vecchie del Novecento, come quella di scegliersi dei sindacati di comodo per finti accordi, elogiando una (finta) autonomia e pedalando verso la fuga dalla subordinazione e dai diritti a essa collegati.
Mi sembra che anche il governo ci abbia messo del suo. Dapprima una proposta di legge firmata da Di Maio assolutamente non adeguata, poi un copia incolla – diciamolo – della sua Carta dei diritti dei lavoratori del digitale, male interpretata. Non si è lasciato troppo spazio d’azione e troppo tempo per chiedere una stretta e limitare il buco legislativo?
Anche il legislatore ha le sue responsabilità e la politica dovrebbe fare una seria autocritica: queste cose succedono in Italia perché lo consentiamo. Aver concesso un anno di tempo alle piattaforme prima di adeguarsi alla nuova normativa sui riders è stato un errore. Non avere dato seguito alla norma costituzionale sulla rappresentanza (politica, sindacale, etc.) continua a essere una grave lacuna.
In cosa Lei ritiene ci sia stata più furbizia che correttezza?
Ci sono molti punti in cui si aggirano le norme e i contratti collettivi nazionali già esistenti e sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Qualche esempio? La paga oraria minima non rispetta la legge: nella Carta di Bologna di cui Lei ha accennato, e che rappresenta il primo accordo metropolitano di secondo livello sul tema dei lavoratori digitali (che Assodeliveroo si è sempre rifiutata da firmare), il parametro di riferimento è quello del contratto collettivo nazionale della logistica, che parte da 8,40€. La paga oraria garantita è molto bassa: tutto si basa sul quantum delle consegne. Cos’è questo se non la reintroduzione di un cottimo pressoché generalizzato, che dietro la “forma” del lavoro autonomo copre la “sostanza” di una fuga dal lavoro subordinato?
Nella foto di copertina: l’assessore Marco Lombardo con i rappresentanti dei riders alla firma della Carta di Bologna.
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