Saracinesche chiuse: piccoli commercianti, grandi bollette, enormi paure

Molti dei piccoli commercianti di beni non essenziali hanno chiuso la saracinesca ancor prima che il governo o gli amministratori locali imponessero il lockdown, con senso di responsabilità e la consapevolezza che stavano entrando in un tunnel – senza sapere quanto tempo sarebbe servito per oltrepassarlo e lasciarsi l’emergenza alle spalle. Questo ben prima della […]

Molti dei piccoli commercianti di beni non essenziali hanno chiuso la saracinesca ancor prima che il governo o gli amministratori locali imponessero il lockdown, con senso di responsabilità e la consapevolezza che stavano entrando in un tunnel – senza sapere quanto tempo sarebbe servito per oltrepassarlo e lasciarsi l’emergenza alle spalle. Questo ben prima della comunicazione del pagamento una tantum che per il mese di marzo l’Inps avrebbe elargito agli autonomi, quando chiudere sembrava la scelta più immediata e di buonsenso per contribuire alla diminuzione dei contagi da coronavirus anche a costo di perderci di tasca propria.

Difatti la chiusura dell’attività ha un costo vivo per ogni giorno che non consente al negoziante di riaprire e di fatturare quel tanto che basta per pagare il proprio stipendio. A volte si deve arrivare persino a rateizzare imposte, tasse e balzelli. Per il settore dell’abbigliamento, per esempio, a eccezione dell’e-commerce, il negozio tradizionale ha registrato una perdita del 100%.

Piove sul bagnato. E se il piccolo negozio di vicinato che vende beni essenziali, come gli alimentari, può recuperare terreno nei confronti della grande distribuzione organizzata in questo periodo di emergenza, il piccolo negozio di abbigliamento, che già competeva con difficoltà con le grandi aziende della moda in tempi “normali”, ora non ha nessuna possibilità. Se per le grandi insegne del lusso sono mantenute stabili anche nell’emergenza dalla loro oggettiva solidità economico-finanziaria, i piccoli con le loro fragilità sono ancor di più messi a dura prova dall’emergenza. È Davide contro Golia.

 

Rischio serrande chiuse per i negozi di abbigliamento

Secondo Confesercenti, nel commercio un negozio su tre rischia di chiudere definitivamente. Ci si attende che dal governo vengano garantiti gli slittamenti e le moratorie per i pagamenti, evitando così che le attività corrano il rischio di finire magari protestate, cosa beffarda e paradossale in piena emergenza e con l’impossibilità di tenere aperta la propria attività. E, ancora, la possibilità di una moratoria sugli affitti degli immobili e la richiesta di eventuali sfratti devono essere bloccate sul nascere durante l’emergenza, con il governo a fare da argine per impedire che questo possa accadere.

Ci sarà da pensare soprattutto alla ripartenza, che è alle porte, e a come sarà organizzata una volta attivata la Fase 2, considerando che la collezione primavera-estate è già partita, e per i piccoli negozi non è possibile pensare di avere magazzini pieni di merce da smaltire con i saldi senza passare dalla vendita della stagione regolare, come potrebbero invece fare le grandi catene dell’abbigliamento. Se il presente preoccupa, il futuro prossimo non scherza. Perché manca un progetto concreto per ripartire, mentre i piccoli si sentono sempre più soli.

E la bolletta dell’Enel da pagare è arrivata ugualmente”, afferma Lorenzo Monfardini, titolare del negozio di abbigliamento donna e bambino Yeppa, a Varsi, in provincia di Parma. Lorenzo aveva già fatto una scelta “forte” lasciando Milano e decidendo di trasferirsi a Varsi, all’inizio dello scorso anno; un piccolo paese sull’appennino tosco-emiliano di poco più di 1000 abitanti. “Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui in Val Ceno all’inizio del 2019 e il negozio Yeppa è stato inaugurato giusto un anno fa, ad aprile; e adesso siamo chiusi. C’era la possibilità di riaprire adesso per poter vendere l’abbigliamento da bambino, ma sarebbe stato complicato visto che solo una parte della mia collezione è dedicata al bambino. Così, essendo a rischio sanzione, ho preferito evitare”.

La storia di Tatiana Montonati non è tanto diversa: ha aperto dall’inizio del 2016 il negozio di abbigliamento Portobello Road a Gallarate, nel centro città. Ma se Varsi è una realtà molto piccola, Gallarate è una città di oltre 50.000 abitanti dove il reddito medio pro capite è di 24.076€, secondo i dati relativi alle dichiarazioni 2018 su redditi 2017 (Fonte Mef e Istat). Sono i piccoli negozi come il nostro che animano la città, ma da quando abbiamo chiuso ci sentiamo un po’ abbandonati al nostro destino” afferma Tatiana.

La cosa che più mi colpisce della categoria dei piccoli commercianti, a cui appartengono Tatiana e Lorenzo, è l’assoluta mancanza di un punto di riferimento a cui rivolgersi. Allora gli chiedo: “Ma per i commercianti come voi a chi si chiede supporto in questa emergenza?” C’è un attimo di silenzio durante la nostra videochiamata WhatsApp. Penso che entrambi vogliano far parlare prima il collega; in realtà è un silenzio quasi imbarazzato. Assordante. Tento di superare l’impasse: “Il commercialista, forse?”.

Tatiana e Lorenzo annuiscono, e subito dopo lui afferma: “È il primo appiglio a cui si chiede. Ciò non toglie che si tratta di un professionista che noi paghiamo. E se si pensa che l’Italia è talmente un formicaio di leggi, dove anche per una piccola attività risulta impossibile fare a meno del commercialista, è un ulteriore costo che incide sul nostro bilancio”.

Tatiana prosegue: “Si possono pagare anche quote di iscrizione ad associazioni di categoria da cui invece poi non si riceve notizia alcuna, figurarsi un supporto concreto. Non mi sono mai sentita più sola di così”.

 

Negozio chiuso, utenze aperte: i piccoli commercianti hanno ancora bollette da pagare

Si fa un gran parlare della psicologia della quarantena, della solitudine nelle nostre case, ma qui si parla, oltre che di solitudine, di vero e proprio abbandono dei piccoli imprenditori al loro destino. Non può bastare il pagamento una tantum di 600 euro, che sarà aumentato nel mese di aprile a 800 euro, se poi si fatica a fermare il canone di un affitto, il pagamento di una tassa o di un’utenza, anche in caso di emergenza. Lo Stato dovrebbe intervenire e bloccare per questi due mesi le richieste di pagamento, fino alla normale ripresa delle attività commerciali”, afferma Lorenzo. Anche io ho ricevuto solleciti di pagamento per un’utenza e ho risposto che se ne riparlerà quando sarò in grado di tornare a lavorare, se non a pieno regime, almeno riaprendo il negozio”, continua Tatiana.

La cosa che ha dell’incredibile la sottolinea Lorenzo: “Paradossalmente io ho ricevuto la solidarietà piena solo da parte di aziende private, fornitori di piccole e grandi dimensioni che, vivendo la stessa situazione di stallo totale nel settore dell’abbigliamento, mi hanno comunicato che per le scadenze di pagamento posso aspettare fino a quando il mio negozio rimarrà chiuso. Ci tende la mano chi ha il nostro stesso problema, ma da altri enti pubblici, mancano completamente non solo gli aiuti concreti, ma la capacità stessa di pensare al dopo”.

E mentre le grandi aziende della moda pensano a una new way, con appuntamenti da programmare con i clienti in spazi di vendita ripensati e personalizzati, per le piccole realtà quale sarà il vademecum da seguire per superfici di vendita non certo superiori ai 100 metri quadrati, al contrario delle boutique di lusso?

Non posso permettermi questa tipologia di operazione. Lascerò la libertà al mio cliente di venire nel mio negozio quando meglio crede. È chiaro che se l’ora di maggior affluenza sarà sempre quella delle 18:00, eviterò che entrino più clienti contemporaneamente”, afferma Lorenzo.

Una delle ultime novità introdotte è di fissare una misura standard per i piccoli negozi fino a 40 metri quadri, che consente ai clienti di accedere uno alla volta, più un massimo di due operatori dell’esercizio. Sarà obbligatoria la sistemazione di un disinfettante vicino alle casse. Le attività di pulizie dovranno essere programmate prima dell’apertura e durante la pausa, con l’utilizzo delle mascherine da parte dei dipendenti.

 

Un altro crash di sistema: il Fondo di Garanzia. E il futuro ancora non si vede

Se l’accesso al sito dell’Inps, contrariamente ad altri, è avvenuto senza particolari intoppi, consentendo la richiesta dei fatidici 600 euro (e la loro erogazione, il 15 aprile scorso), già si discute non tanto dei prossimi 800-850 euro per il mese di aprile, ma della richiesta di prestito anche per le partite Iva fino ad un massimo di 25.000 euro attraverso il Fondo di Garanzia.

Sul sito www.fondidigaranzia.it c’è la possibilità di scaricare il modulo per poi compilarlo e inviarlo alla banca per la richiesta. Ma il sito è andato subito in crash, così come è accaduto a quello dell’Inps durante il primo giorno di apertura alle domande. Ritenterò nei prossimi giorni con il supporto della banca, da cui sono andata proprio stamattina per capire il da farsi”, conclude Tatiana. Anche Lorenzo si è prontamente attivato per la stessa tipologia di richiesta.

Tutte le forme di aiuto economico fin qui pensate dal governo sono un’ottima cosa, ma una volta tamponata l’emergenza sul presente, occorre ripensare a un sistema che si è dimostrato sordo e incapace nell’immaginare un possibile scenario di ripartenza. Di questo non solo hanno colpa il governo e i vari enti pubblici, ma le stesse associazioni di categoria, che ancor più in questo momento si sono rivelate lontane dalle esigenze concrete dei propri associati (leggi: quei pochi iscritti che ancora pagano l’adesione).

Visto che difficilmente i piccoli negozi di abbigliamento alla riapertura potranno confidare nel revenge spending (il meccanismo che ha portato numerosi clienti ad acquistare nella Boutique Hermès a Guangzhou in Cina, dove in un solo giorno hanno incassato 2,5 milioni di euro), ci chiediamo che cosa possa succedere quando i piccoli negozi alzeranno nuovamente la saracinesca.

Auguriamoci che il nostro Paese nel ricominciare impari davvero a fare sistema, dal piccolo paese di periferia fino al grande centro urbano, sostituendo le solite dichiarazioni di facciata a reali attività operative e strategiche, di cui c’è un disperato bisogno. Specie per i piccoli, che nell’emergenza rischiano di sentirsi orfani.

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