Gli studenti e l’IA: “ChatGPT non va demonizzata, stimola noi giovani a farci le domande giuste”

Buona parte della stampa sostiene che la utilizzano per copiare, ma per loro è soprattutto uno strumento per migliorare lo studio. Non tutti la conoscono e in diversi addirittura la temono; a scuola non se ne parla. Le opinioni di alcuni studenti di scuola superiore sull’IA

Studenti e chatGPT: una ragazza utilizza l'IA in classe

Mi passi una Bic?

Bisogna avere almeno trent’anni, meglio quaranta, per capire la frase. Un ragazzo che va a scuola oggi non saprebbe da dove partire. Era il 1950 quando il francese Marcel Bich lanciò la penna Cristal, la prima penna a sfera al mondo di alta qualità, dopo aver lavorato per due anni senza sosta usando gli strumenti di precisione degli orologi per la produzione di una penna. La Bic fu la prima penna alla portata di tutti, quella che avrebbe segnato per sempre – ancora oggi – il successo mondiale del marchio. Era essenziale, pratica, economica; democratica, sui tavoli di tutti. E tutti dicevamo Bic per dire penna biro.

Ci pensavo riguardo a ChatGPT, il chatbot basato su intelligenza artificiale e apprendimento automatico che OpenAI ha sviluppato e rilasciato come strumento specializzato per conversare con un utente umano. GPT sta per Generative Pre-trained Transformer, la più recente tecnologia applicata al machine learning. Magari tra qualche anno diremo ChatGPT per intendere un concetto più ampio o un’azione che si sarà fatta abitudine per tutti, democratica come una penna.

Nel frattempo vale la pena chiedere ai giovani come lo vivono, se lo sfruttano per studiare, se ne parlano a scuola, cosa ci vedono di potenziale che noi adulti fatichiamo a scorgere tra resistenze e ignoranze.

Valerio, Caserta, liceo scientifico: “Se voglio prendere 9 o 10, so che ChatGPT mi darà un risultato da 7”

“Il giorno in cui è uscito ChatGPT-3 ci ho passato un pomeriggio intero fino a quando ho esaurito le richieste disponibili. Ero curioso di capire come funzionasse, perché sono un appassionato, ma anche un programmatore, e questo è il mondo che vorrei scoprire per poterci un giorno lavorare. All’IA devi saper porre le richieste giuste, i quesiti puntuali, soprattutto noi giovani dovremmo imparare a fare questo, a esercitarci sul senso delle domande per sviluppare un nostro pensiero critico. Interrogare bene gli algoritmi, così come Google e tutti i motori di ricerca, è alla base. In rete, del resto, c’è tutto lo scibile umano, ma il risultato dipende da cosa vuoi arrivare a sapere, cosa vuoi andare a cercare. Come nella vita.”

Valerio De Tommasi sta preparando gli esami di maturità, frequenta la quinta di un liceo scientifico di Caserta, ha le idee chiare e nessuna paura del futuro. Tutt’altro: al futuro ha proprio voglia di andargli incontro come si deve, col fermento in testa e la schiena dritta di chi non sa ancora nulla del lavoro ma ha voglia di marciare. L’obiettivo è una laurea in ingegneria informatica e poi lo sbocco dentro qualche azienda capace di valorizzare davvero l’innovazione del digitale e le competenze di chi ci si è voluto formare.

“Parlo di ChatGPT perché è il nome che tutti abbiamo imparato ad associare a questa rivoluzione, l’intelligenza artificiale e generativa ha tante altre forme, poi. Io quando lo uso per lo studio so bene a cosa vado incontro, per cui non mi aspetto mi restituisca concetti chissà quanto elaborati o perfetti. Se voglio prendere 9 o 10 in un’interrogazione, so già che l’IA mi darà un risultato da 7, parziale e non brillante, molto asciutto, e questa consapevolezza serve per calibrare il nostro impegno nello studio. Le chiedo di semplificarmi alcuni argomenti e di restituirmeli facendo chiarezza, il resto ce lo metto io.”

Da come mi parla, e da come ne parla, l’atteggiamento di Valerio è profondamente attivo: non vede in uno strumento come ChatGPT il sostituto ideale di sé per studiare meno, bensì un alleato intelligente per studiare meglio.

“Ciò che conta è non demonizzare le rivoluzioni perché, tanto, ci travolgeranno. Vale la pena conoscerle, capirle e gestirle prima che siano loro a farlo con noi. Lo dico soprattutto per noi giovani.”

Giulia e Laura, Milano: “A scuola disinteresse per l’IA. I nostri docenti non vogliono informarsi sul tema, parlarne lo renderebbe reale”

Ne parlo con due studentesse di Milano, diciottenni, scuole diverse. Con loro indago il rapporto dei docenti con la tecnologia, e con una minima educazione digitale verso cui non dovrebbero più cercare scorciatoie se di mestiere fanno gli insegnanti.

A scuola da me non ne abbiamo mai parlato di ChatGPT, né in modo positivo né in modo negativo. Molti professori, ma anche molti studenti, non sanno nemmeno di cosa si tratti”, dice Giulia, nome di fantasia perché preferisce restare anonima. Laura è d’accordo, ma aggiunge che “ChatGPT non è così rilevante nella nostra vita come lo fa passare la stampa. Tanto più che noi giovani non lo usiamo di frequente, né diventa un tema di attualità quando siamo in classe”.

Cerco di capire se si sono chieste il perché del disinteresse. Si confrontano, mi rispondono unisone. “Pensiamo dipenda dal fatto che in pochi ne sanno qualcosa dellIA. È una cosa nuova e quindi non se ne parla perché non la si conosce. Guardando il tema da questo punto di vista è un bene che non se ne parli a ‘sproposito’, nel senso che è meglio non parlarne rispetto a parlarne senza un fondamento di informazioni, magari anche demonizzandola come qualcosa di malvagio”.

E qui si dividono: Giulia pensa che la disinformazione dei professori nasca dalla mancata rilevanza del tema in Italia; Laura, invece, che sia una disinformazione in parte voluta dai professori stessi e chiosa che “i professori in Italia non si pongono nemmeno il problema dell’IA. Invece, ad esempio, in America è diventato un tema più serio perché molti studenti l’hanno adottato come metodo per ‘copiare’. Se anche in Italia diventasse uno strumento più diffuso, probabilmente se ne parlerebbe di più come ricerca di risposta a un’emergenza. L’altro aspetto di cui sono convinta è che i nostri docenti non vogliano proprio informarsi sul tema, come se parlare o discutere di IA lo rendesse un tema reale, concreto, da affrontare”.

Giulio, Fermo, liceo classico: “Noi ragazzi ne parliamo tanto, ma molti la temono”

Giulio Antolini vive nelle Marche e studia in un liceo classico di Fermo, di anni ne ha diciannove. Dell’IA fa un uso pratico, la interroga per la scuola e per il tempo libero. L’ultima ricerca che ci ha fatto gli è servita per scrivere un articolo nel giornale degli scout con cui collabora: “Mi ha risparmiato la fatica di andare a cercare informazioni su più siti, dovevo scrivere un pezzo che aveva a che fare con le chiese del mio paese”.

Mi racconta di avere un approccio umanistico e letterario anche verso la tecnologia, da cui si aspetta risposte capaci di riassumere concetti e aggregare informazioni. Gli chiedo se ChatGPT possa essere per i ragazzi una via nuova allo studio, ma anche alla didattica per quanto riguarda i docenti. “Questo non lo so, intendo dire riferito alla didattica”. La bellezza dei giovani che sanno dire non lo so; noi adulti cerchiamo sempre di cadere in piedi e poi cadiamo male.

“Da studente dico che per noi è una buona risorsa, ma serve avere gli strumenti e i supporti giusti per sfruttarne al meglio le potenzialità. Ad esempio io ho un computer un po’ vecchio, e questo mi limita nella curiosità di sperimentare come vorrei il mondo dell’IA, ma anche per gli smartphone vale la stessa cosa: solo i più aggiornati e moderni garantiscono il massimo delle funzionalità di certi algoritmi e sistemi, ma ovviamente noi ragazzi non abbiamo ancora le risorse per comprare e spendere”.

Prima di salutarlo al telefono sono curiosa di sapere se di IA i giovani si saziano da soli o se invece è un argomento di gruppo, se se ne parla tra amici, se si sfrutta per organizzare qualcosa. “Ne parliamo tanto, sì. Quello che posso dire, almeno nel mio giro, è che molti hanno paura, non si fidano, e le recenti polemiche sul fatto che sia stato bloccato dal Garante della Privacy (in realtà era la stessa società realizzatrice di ChatGPT che aveva deciso di sospendere il servizio a seguito delle richieste del Garante, N.d.R.) ha inciso senz’altro. Lo vedono come uno strumento molto simile alle mente umana, forse è quello il timore. Io invece lo vivo come un magazzino pieno di informazioni, non come qualcosa di fantascientifico, anche se di fatto sta già trasformando molti aspetti delle nostre vite”.

E a scuola, se ne parla?Poco. Però abbiamo interrogato ChatGPT col professore di religione, volevamo capire se l’algoritmo fosse più uomo o più macchina”. Non gli ho chiesto come fosse andata a finire, ho preferito restare nel dubbio. Su dilemmi tanto alti, che ognuno si tenga la sua fede e ragione.

 

 

 

Photo credits: wfswhittier.net

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