La vita degli altri e il Terzo Settore

Sempre più persone di ogni ceto sociale, estrazione politica, diverso grado di istruzione, occupati, pensionati o in cerca di impiego stabile, decidono di imbarcarsi sulla nave di un Welfare alla deriva per fare i mozzi e i rematori, senza pretendere un giusto compenso remunerativo. Anche lo Stato si accorge di aver bisogno di queste persone […]

Sempre più persone di ogni ceto sociale, estrazione politica, diverso grado di istruzione, occupati, pensionati o in cerca di impiego stabile, decidono di imbarcarsi sulla nave di un Welfare alla deriva per fare i mozzi e i rematori, senza pretendere un giusto compenso remunerativo.

Anche lo Stato si accorge di aver bisogno di queste persone e delle relative associazioni di volontariato come vitale interlocutore per raggiungere spazi di sociale, in cui da anni non arriva più.

È recente  l’approdo in Commissione Affari Costituzionali del Senato della delega al Governo per la riforma del Terzo settore.

Economia sociale: il provvedimento della riforma

Nel maggio 2014, il Governo ha predisposto le Linee guida per una riforma del Terzo Settore, formulando i criteri per una revisione organica della legislazione riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l’associazionismo non profit, le fondazioni e le imprese sociali.
Il disegno di legge (A.C. 2617 , A.C. 2071, A.C. 2095 e A.C. 2791), recante delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, esaminato, in sede referente, dalla XII Commissione affari sociali, è stato approvato dalla Camera dei deputati il 9 aprile 2015, ed è attualmente all’esame del Senato (A.S. 1870 in corso di esame in 1° Commissione Affari Costituzionali dal 29 settembre 2015 per l’esame degli emendamenti).

Obiettivo del provvedimento, che, come ricordato, prevede il conferimento al Governo di apposite deleghe, è, da un lato, quello di introdurre misure per la costruzione di un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e responsabile delle persone, singolarmente o in forma associata, per valorizzare il potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal settore, anche attraverso il riordino e l’armonizzazione di incentivi e strumenti di sostegno; dall’altro quello di uniformare e coordinare la disciplina della materia caratterizzata da un quadro normativo non omogeneo e non più adeguato alle mutate esigenze della società civile.

La polemica sulla strumentalizzazione delle attività di volontariato

È sempre di questi ultimi giorni la polemica sul bonus dei 500 euro ai neo diciottenni, e già si corre ai ripari subordinandolo allo svolgimento di attività di volontariato. A tal proposito, il sottosegretario all’economia Enrico Zanetti, intervistato per Avvenire da Marco Lasevoli ha affermato: “Credo che il bonus sarebbe doppiamente significativo se fosse condizionato alla prestazione di un servizio di volontariato, di un impegno anche minimo a titolo gratuito per la società. Nel mentre lo Stato dà al giovane una opportunità formativa per aiutarlo a crescere, lui impara che diventare grandi vuol dire anche offrire qualcosa di sé, il proprio tempo, una propria capacità.”

Tanta confusione, insomma. Un moto disordinato di idee, proposte, emendamenti, che presagiscono l’ennesima stratificazione legislativa che contribuisce ad irrigidire una attività vitale, garantita dalla Costituzione,  nel periodo di crisi più profonda che sta vivendo il sistema Paese.

Completa assenza di risposte concrete, invece, dalla formazione dei volontari all’assicurazione personale degli operatori, al problema delle “attività connesse”, al superamento del tetto massimo delle destinazioni del 5 x1000, chiarezza nella destinazione del patrimonio residuo, in caso di cessazione dell’attività, ad altri enti con finalità similari.

La chiarezza legislativa è il fulcro di una riforma, considerato il panorama associativo italiano, ma al contrario sembra il punto più debole.

Il complesso di associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, fondazioni e imprese sociali, rappresentano una risorsa che risponde alla difficoltà dello Stato di presidiare un settore così delicato per la comunità intera, e affidato all’autonoma iniziativa dall’art.118 della Costituzione. Almeno ci si aspetterebbe una riorganizzazione normativa che agisca da facilitatore delle attività. Fallimentare già nelle premesse, fornendo un’ interpretazione strumentale dell’art.118.

Un esercito silenzioso di volontari italiani

Il terzo settore non può essere inteso come la risposta al taglio della spesa pubblica. Questo confliggerebbe innanzitutto con l’autonomia che la Costituzione riconosce alle associazioni nel perseguire l’interesse generale.

Dal provvedimento all’esame del Senato scaturisce una immagine delle Istituzioni che mirano al controllo attraverso la riorganizzazione normativa del settore. Invece di puntare su come agevolare l’associazionismo per rendere più efficaci ed efficienti le attività civiche, attività non più presidiate dallo Stato, dal disegno di legge sembra palesarsi più un intento di omologazione, di regolazione e di controllo, in maniera nemmeno tanto velata, in netto contrasto con il sacrosanto diritto all’autonomia sancito costituzionalmente, che dovrebbe al contrario essere addirittura tutelata e agevolata dagli organi governativi.

In mezzo c’è chi dedica parte del suo tempo alla vita degli altri.
È un esercito silenzioso e quasi invisibile. Un esercito di volontari, di persone che non chiedono niente, animati da chissà quale fuoco sacro, i loro abiti sono sporchi di fango ma ciò che li contraddistingue è il sorriso che a volte usano per asciugare il sudore o qualche fugace lacrima a fine turno. Sono la parte migliore del nostro Paese. Anche perché restano nell’ombra, come i veri eroi.

1. La testimonianza di Leonardo d’Ingianna

Leonardo d’Ingianna, 63 anni, laurea in economia e commercio; professione: pensionato.
Un passato da dirigente nella Pubblica Amministrazione, niente problemi della terza settimana, una famiglia felice come tante, i pomeriggi al parco con i nipoti. La pensione che tutti sogniamo.

Poi viene a contatto con il volontariato. Si rivolge all’AVO, Associazione Volontari Ospedalieri di Fiumicino e, dopo un corso di formazione, entra all’ospedale Bambino Gesù di Palidoro, al centro di riabilitazione per i bambini operati, nei reparti di pediatria, ortopedia, multidisciplinare, neurologia.

“Andando in pensione, ed essendo riuscito ad andarci in buona salute, mi è sembrato giusto gestire il tanto tempo a disposizione, scegliendo di dedicare un po’ di questo tempo ai bambini che soffrono. I bambini per me sono la parte più bella della nostra umanità e quindi sono da proteggere e da custodire. Il sorriso di un bambino è una meraviglia incredibile. Poi, riuscire a far sorridere, anche per un attimo, un bambino dentro un letto d’ospedale, è immensamente gratificante” afferma.

Il tempo da dedicare alle attività è fissato istituzionalmente in due ore settimanali, almeno per i primi anni di attività per non gravare troppo emozionalmente sul volontario. Questo termine è soltanto teorico perché “chiaramente, se stai custodendo un bambino perché la madre è andata a sistemare l’altro figlio che sta a casa, anche se passano le due ore, non puoi lasciare da solo il bambino che hai avuto in custodia se non torna la madre”, continua Leonardo.

Tutte le spese, anche dei trasferimenti, sono a carico del volontario. Ci si sente inadeguati nel sentirlo parlare e indelicati nel chiedere il perché.

“Devo dire che nei primi mesi di volontariato spesso dovevo uscire dalle stanze per non mettermi a piangere davanti a bambini e genitori. Poi, con il tempo, ho subito una specie di “vaccinazione psicologica alle situazioni struggenti” – racconta ancora Leonardo – tanto da riuscire a gestire meglio emotivamente le stesse situazioni, anche perché è subentrata la consapevolezza che le lacrime non servono né ai bambini ricoverati né ai loro già preoccupati genitori. A fine turno mi sento soddisfatto di me stesso ed anche un po’ angosciato per le situazioni viste.
Trovo la forza di tornarci tenendo a mente la frase di Madre Teresa di Calcutta che dice: Non ha importanza se grande o piccolo è il bene che fai, ma è importante l’amore che ci metti, ed il mio scopo continua ad essere quello di riuscire a “strappare” un sorriso a quei bambini sfortunati, quando ci riesco.

Con Sascia per esempio, un ragazzino ucraino di tre anni, sin da subito si è creato un legame particolare. Sono io che l’ho subito visto quasi come un mio terzo nipotino. Non so di preciso perché, forse perché l’ho visto così fragile, così sfortunato, con quei due giovani genitori che hanno dovuto lasciare l’altro figlio più piccolo ai nonni in Ucraina per venire in Italia con Sascia cercando di salvarlo. E ho continuato a seguire questa famiglia anche fuori dall’ospedale. Ora il bambino è ricoverato al Gemelli perché è stato necessario rioperarlo in quanto il tumore è ritornato. È in Neurochirurgia Pediatrica e dopo una settimana dall’intervento già sta in piedi e gioca con le macchinine. Sicuramente dovrà tornare al Bambino Gesu per la riabilitazione.

Ora ho un po’ meno scrupoli di coscienza considerando che sto avendo tanto dalla vita ma cerco di dare qualcosa di mio a chi soffre. Con il lavoro che facevo, forse non avrei potuto cominciare questo tipo di volontariato mentre ero in servizio, perché ormai il tempo che gli dedico non si esaurisce più nelle due ore settimanali del venerdì pomeriggio” conclude.

2. La testimonianza di Antonella Cacciatore

L’AICES, operativa su Palermo, è attiva da sempre in attività di formazione ed informazione specialmente per quanto riguarda un fenomeno aberrante per il nostro tempo: gli scomparsi.

AICES è attiva in rete a 360 gradi con molte odv del territorio a sostegno di ogni attività di volontariato attinente alla mission associativa. Nessun dipendente, tutti volontari. Antonella Cacciatore, laurea triennale in scienze politiche e relazioni internazionali, due master di primo livello, laurea magistrale in management pubblico ed eGovernment, ne è il presidente. Nel chiederle quanto la impegna l’attività di presidente, risponde “Parecchio tempo. Oltre la gestione amministrativa, bisogna pianificare eventi, gestire i vari contatti, organizzare la formazione, verificare disponibilità dei volontari, inviare comunicazioni per attivazioni”.

Ma qual è la motivazione che la spinge a fare un doppio lavoro, prendere contatti, gestire le attività sul campo, le questioni burocratiche, e contemporaneamente a sottrarre tempo alla famiglia, al tuo tempo libero per una attività non remunerativa? Non si può rivolgere questa domanda ad una volontaria per passione, la risposta è scontata.
C’è solo una motivazione per chi come me è da vent’ anni che dedica parte del suo tempo agli altri, comprendere che non tolgo tempo a me stessa e nemmeno ai miei affetti perché quel tempo che dedico al volontariato mi rende ricca dentro, scorre il tempo ma per me si ferma quando riesco a far sorridere un bambino, quando riesco a far riflettere tra l’indifferenza generale che ogni piccolo gesto può avere un valore immenso se fatto con amore, quando sono in attività non sento nemmeno la stanchezza fisica, riesco ad andare avanti sempre perché so che posso farcela con volontà e determinazione per ottenere quello che voglio, che non è denaro, che non è materialismo ma è donare senza nulla pretendere in cambio.
Non indosso la divisa per un grazie, non faccio attività per i soldi ma nei panni da volontaria mi sento viva, utile a me stessa e spero anche agli altri”.

A proposito della riforma del Terzo Settore, commenta invece che “in genere le riforme non hanno mai lo sguardo verso piccole realtà che poi sono quelle più vicine alle esigenze dei più deboli.
Noi viviamo a contatto con la sofferenza e con i problemi veri della città di Palermo, ma la nostra voce non è mai ascoltata come quella delle grandi associazioni o delle odv radicate da anni nel territorio.

La riforma dovrebbe guardare oltre i criteri imposti dal sistema e nel terzo settore amalgamarsi a chi concretamente vuol fare la differenza. Si parla di incentivi, di partecipazione attiva, concetti che spesso rimangono solo belle parole, si vuole promuovere la cultura del volontariato ma si è consapevoli che tutti i costi di adesione in una odv come la nostra, i costi per le divise, per la polizza assicurativa sono a carico nostro? Incentiviamo così chi magari non lavora e vuol aiutare gli altri, o un ragazzo che studia con una spesa da sostenere e pure notevole?

La riforma secondo noi dovrebbe puntare meno alle parole e più ai fatti, soprattutto in termini di sostegno finanziario alle odv che desiderano davvero fare qualcosa, puntare non solo alle definizioni normative standard, quelle ci sono e le conosciamo, deve toccare da vicino i bisogni concreti del terzo settore in generale e non solo di specifiche categorie”.

3. La testimonianza di Laura Gagliardi

“Ho cominciato a fare del volontariato in età matura”: a parlare è Laura Gagliardi, laureata e specializzata nel controllo di gestione delle imprese; commerciante di professione e volontaria AICES da un anno.

“Ogni nostro intervento non solo non è retribuito ma in più sono a carico nostro tutte le spese e, tutte le volte che decido di partecipare ad attività sociali o di protezione civile in orario lavorativo, mi tocca pagare qualcuno che mi sostituisca, ma lo faccio sempre volentieri.

Non saprei quantificare quanto tempo dedico al volontariato, perché la ricompensa che ricevo è talmente grande e gratificante che non ha importanza il quanto. Chiaramente a fine giornata sono distrutta; ma sempre felice perché il sorriso dei bimbi o di chiunque altro ha ricevuto una mano da noi è la mia pillola di felicità che mi permette di continuare a fare, a fare sempre meglio e sempre di più. Anzi quando possibile cerco di coinvolgere anche mia figlia e mio marito cosicché anche loro possano godere del piacere che si prova  nell’aiutare gli altri. L’unico rammarico che ho è quello di non aver cominciato prima a far volontariato”.

Aiutare gli altri per aiutare se stessi

Si può leggere il fenomeno del volontariato da infinite angolazioni. Da un punto di vista del soddisfacimento di propri bisogni affettivi e relazionali; in un’ottica sociale come attività eterodiretta, in cui il burattinaio è lo Stato che tira i fili dei volontari per sopperire al fallimento di uno dei suoi compiti costituzionali; in un approccio organizzativo si potrebbe studiare l’evoluzione delle grandi onlus, che ormai quasi nulla hanno da invidiare alle maggiori aziende internazionali, per struttura, per attività, per budget e per strategie di impresa.

Ma due questioni cardine restano ancora aperte. Perché queste persone si mettono costantemente alla prova e perché lo Stato, oltre che sfruttare l’attività delle onlus, si mette anche a “regolamentare” un compito che ha abbandonato, presumibilmente per il costo economico sociale.

Sembra quasi un “atto di fede” a muovere milioni di persone verso altre persone. Perché, per come il sistema ci ha strutturato, per come la società ci ha standardizzato, risulta più facile fare uno sgambetto al prossimo, piuttosto che tendergli la mano. Per paura, per necessità di carriera, per superficialità. Oppure perché il sistema ci ha abituato a vedere la sofferenza intorno e siamo in qualche modo assuefatti.

Una persona difficilmente agisce in modo completamente asettico rispetto al proprio Io, senza un obiettivo che appaghi anche i suoi bisogni. Se però questi vengono soddisfatti facendo qualcosa per gli altri, i due aspetti diventano, forse, una condizione imprescindibile.

O, forse, più semplicemente vivere l’inferno in prima persona ci fa vedere il mondo con occhi diversi.

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