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Trieste, no Green pass: gli invisibili della piazza
I media li chiamano “no Green pass” e gli negano l’identità, che è multiforme e calata in realtà che nessuno racconta. SenzaFiltro ritrae dall’interno la piazza simbolo dell’opposizione alla certificazione verde. Le deputate del Gruppo Misto Yana Ehm e Simona Suriano: “Governo sempre più disconnesso dalla cittadinanza”.
«Non possiamo permettere che delle minoranze minaccino di morte la maggioranza.»
Così, con soddisfazione, il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Roncone commentava a CartaBianca l’allontanamento di Stefano Puzzer da Piazza del Popolo, conclusosi con un Daspo di un anno dalla Capitale. La misura gli è stata inflitta per aver atteso – invano, da solo e pacificamente – che qualcuno rispondesse a tutte quelle domande che, nonostante l’incontro con il ministro Patuanelli, finora, il Governo ha lasciato cadere nel vuoto.
Tanti gli interrogativi che questo «Governo sempre più disconnesso dalla cittadinanza» – come lo hanno definito le deputate del Gruppo Misto, Yana Ehm e Simona Suriano, che in Piazza del Popolo e a Trieste ci sono state realmente – continua a lasciare aperti. E sono tanti i dubbi da porsi, se chi ci governa dimostra «azione dopo azione – sempre per citare le deputate – di non avere alcuna intenzione di ascoltare realmente le persone, né di voler trovare misure concrete per risolvere problemi oggettivi, garantendo al contempo diritti fondamentali e sanciti dalla Costituzione, come il diritto al lavoro e la libertà di espressione».
Ma una cosa è certa: se siamo arrivati a definire un uomo solo, in attesa su una panchina, “una minaccia di morte”, qualcosa nella narrazione mainstream è andato storto. Questo storytelling da salotto ha iniziato a scricchiolare già da tempo, e qui, a Trieste, il distacco tra percezione e realtà si è fatto evidente già quel fatidico 18 ottobre. In quella data, mentre secondo la ministra Lamorgese un poliziotto in borghese stava «verificando il movimento ondulatorio di un mezzo», le forze dell’ordine respingevano con gli idranti centinaia di cittadini che manifestavano davanti al molo VII del porto. Ma che no, non impedivano a chi voleva di entrare a lavorare, e no, non erano solo portuali.
Parlano i sanitari triestini: “Da queste misure più danni che benefici”
Per conoscere chi si muove davvero in quest’onda di dissenso siamo andati di persona a Trieste.
Abbiamo raccolto tante voci, testimonianze di rabbia, sofferenza, incredulità e frustrazione; tutte, però, avvolte da un’enorme paura. Le ripercussioni verso chi ha rilasciato interviste ci sono già state, fino a sfociare, in alcuni casi, nel licenziamento. Ecco perché chi si è raccontato ha chiesto di farlo in forma anonima, seppure a malincuore.
I primi a balzare all’occhio sono certamente i sanitari – medici, infermieri, OSS, tecnici di laboratorio. Anche loro complottisti? Probabilmente quanto lo può essere oggi il professor Crisanti, esautorato dal ruolo di virologo tv, dopo aver dichiarato a Report che gli esponenti del Governo, sul Green pass, avrebbero detto «una serie di stupidaggini pazzesche».
«Le attuali misure hanno causato più danni – sociali, etici, psicologici e persino sanitari – che benefici per il contenimento dell’epidemia. Se il Governo mirasse effettivamente a un rafforzamento del sistema di screening, come indicato dal DL 127/2021, dovrebbe richiedere tamponi a tutta la popolazione, compresa quella vaccinata, senza farli pagare ai lavoratori».
A parlare sono gli “angeli” dell’emergenza, gli stessi che sono stati lodati anche durante il G20 a Roma. «Abbiamo lavorato con professionalità per tutto il periodo della pandemia, in condizioni di sicurezza spesso precarie. Ci hanno definiti eroi, e ora? Veniamo colpevolizzati solo perché chiediamo il diritto di far valere la nostra libertà di scelta riguardo a una terapia che ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio solo in forma condizionata».
Maestre, autisti e forze dell’ordine: la polvere dei vecchi problemi sotto il tappeto del Green pass
C’è poi un’altra categoria per cui il Green pass è obbligatorio da ben prima del 15 ottobre e per cui ora si paventa l’obbligo vaccinale: gli insegnanti.
«Al di là del disagio economico e organizzativo, contestiamo l’incoerenza delle misure adottate dal Governo. Nonostante le belle parole, ci troviamo ancora in classi pollaio, con schiere di ragazzi che non vengono sottoposti ad alcuno screening. Che fine hanno fatto i tamponi salivari annunciati a inizio anno per tutti gli alunni? Per non parlare dei CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, N.d.R.), dove gli studenti sono tutti adulti ma senza obbligo di Green pass, perché i loro corsi sono equiparati alla scuola primaria.»
Incoerenza è la parola chiave anche per il Coordinamento degli Autoferrotranvieri di Trieste: sprovvisti di Green pass non possono più salire sui propri mezzi per lavorare, dove però sono ammessi come passeggeri. Già, perché nonostante la piena ripresa dei viaggi pendolari, il Green pass non è richiesto né su autobus né su treni intraregionali, che molto spesso hanno però mantenuto le stesse vetture ridotte del periodo di lockdown: «Abbiamo chiesto l’esonero dalla certificazione come previsto dalla legge per i lavoratori del trasporto pubblico locale, ma senza ottenere risposta dall’azienda».
Tra sospesi e autosospesi sono un centinaio su seicento nella sola Trieste Trasporti, e le corse inevitabilmente iniziano subire modifiche: «Chiediamo di poter tornare al nostro lavoro, ripristinando così il servizio, ma senza dover pagare per farlo».
Sono molti i settori che iniziano ad accusare le carenze di personale seguite all’introduzione del Green pass, ma non in tutti è possibile sopperire rapidamente alle posizioni vacanti. È il caso degli impieghi pubblici, ai quali si accede tramite concorso – salvo i tantissimi casi di assunzioni precarie tramite agenzie interinali. Un esempio per tutti? Le forze dell’ordine. Sì, proprio quelli che sui media si vedono eroicamente contrapposti alla violenza dei manifestanti: tra le loro fila le attuali (auto)sospensioni rappresentano la punta dell’iceberg di un problema ben più radicato.
«Siamo sottorganico da anni, ma ora pare che sia colpa dei no Green pass», spiega un vigile del fuoco. «La cosa che ci fa più male? La brutalità con cui veniamo dipinti noi manifestanti, che non fa altro che dividerci ulteriormente. La missione del nostro lavoro è sempre stata quella di aiutare chiunque e anche questa protesta è per noi un aiuto per tutti, compreso chi non comprende perché ci stiamo opponendo a queste misure. Questo è il messaggio che vorremmo arrivasse».
Trieste non ha paura dei manifestanti, ma di perdere il lavoro
Un messaggio che però non solo non sentiamo arrivare da alcun canale, ma che si cerca di «comprimere», anche «al limite della legalità», come ha chiesto di poter agire lo stesso sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza, bloccando completamente Piazza Unità lo scorso 6 novembre. Ha funzionato?
Se il piano era creare disagio per mettere i cittadini ancor più gli uni contro gli altri, allora sì. L’onda dei manifestanti, di certo, non si è arenata; si è anzi riversata nel resto della città, mentre il cuore pulsante di Trieste veniva transennato per escludere tutti, cittadini, visitatori ed esercenti.
«Anche volendo, i clienti non potrebbero nemmeno raggiungermi», spiega Angelo Parcianello, titolare del centralissimo Hotel James Joyce. «Un ulteriore danno, che si aggiunge al calo del 50% delle prenotazioni delle ultime settimane. Il motivo? La gente ha paura di quello che sente in televisione, ma la città è sicura».
Nessuno, qui, teme violenze o soprusi a causa delle manifestazioni, ma piuttosto perdite lavorative. «Vengo da Reggio Calabria, per me questo è tutto tranne che violenza», esordisce Giacomo Casciano, responsabile della rinomata pizzeria Bianco. «Se c’è un rischio è quello di contagio, perché la pandemia è ancora in corso. Ecco perché sono il primo a essere d’accordo che servano misure per ripartire in sicurezza, ma mi chiedo se queste siano quelle giuste».
Una domanda che a quanto pare molti si pongono, vaccinati o meno, ma a cui il Governo continua a fare pericolosamente orecchie da mercante, supportato da uno storytelling manicheo in cui, con le parole di Brecht, «tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono».
Foto di copertina: strettoweb.com
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