Non esiste solo la salute del corpo. Durante l’emergenza sanitaria troppi medici di base sono stati lasciati soli a gestire il virus e le loro stesse paure.
“Tutto chiede salvezza”, anche nelle serie. Netflix racconta il disagio psichico
L’adattamento Netflix dello struggente romanzo di Daniele Mencarelli è una parabola di formazione e uno sguardo empatico sulla malattia mentale.
Dopo la pandemia la salute mentale è un tema sempre più sentito e discusso. E, come rileva l’ultima indagine sugli stili di vita degli adolescenti, i giovani oggi non stigmatizzano la malattia mentale come spesso accadeva con le generazioni precedenti, ma riescono ad affrontarla con maggiore consapevolezza.
È in questo scenario che matura il successo della miniserie prodotta da Picomedia per Netflix, Tutto chiede salvezza, liberamente tratta dall’omonimo romanzo autobiografico del poeta e scrittore Daniele Mencarelli (Premio Strega Giovani 2020). Mencarelli è autore della sceneggiatura insieme a Daniela Gambaro, Francesco Cenni e al regista Francesco Bruni (sceneggiatore storico di Paolo Virzì, dietro alla macchina da presa di Scialla!, Tutto quello che vuoi e Cosa sarà).
Tutto chiede salvezza, un inaspettato viaggio di formazione in forma di serie
Il protagonista è Daniele (Federico Cesari), ventenne che ha mollato l’università e vende condizionatori. In un’afosa estate romana l’incontro con un amico d’infanzia, irrimediabilmente regredito a livello mentale a causa di un incidente stradale, fa esplodere la sua già accentuata fatica esistenziale. Si sballa con gli amici, assume alcol e stupefacenti che lo portano ad avere una crisi psicotica.
Daniele si sveglia il giorno dopo in un reparto psichiatrico nel quale sarà costretto in regime di trattamento sanitario obbligatorio (TSO), senza ricordare nulla di quanto gli è successo. Reagisce dapprima con ostilità e insofferenza al ricovero coatto, per poi accettare di farsi aiutare ad affrontare la condizione che gli fa avvertire in maniera così intensa e dolorosa il peso del mondo.
Nei sette episodi della miniserie – uno per ogni giorno di TSO, da domenica a sabato – prende così forma il viaggio di Daniele: una ricerca di senso della propria esistenza; una ricerca interiore tra ricordi, flashback e rimossi che abbraccia un fondamentale cambio di sguardo nel vivere la quotidianità del reparto e i rapporti con i medici, gli infermieri, e soprattutto i suoi compagni di stanza.
Fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca
“Sono i cinque pazzi con cui ho condiviso la stanza e questa settimana della mia vita. Con loro non ho avuto possibilità di mentire, di recitare la parte del perfetto, mi hanno accolto per quello che sono, per la mia natura così simile alla loro. Con loro ho parlato di malattia, di Dio e di morte, del tempo e della bellezza, senza dovermi sentire giudicato, analizzato”, spiega Daniele Mencarelli.
La loro rappresentazione è l’aspetto più riuscito della serie, perché i personaggi restituiscono un’umanità che va oltre la patologia psichiatrica di cui soffrono. Gianluca (Vincenzo Crea), affetto da disturbo bipolare e rifiutato dai genitori per i suoi atteggiamenti femminili e l’omosessualità, e Mario (Andrea Pennacchi), maestro elementare saggio e conciliante – “eroe tragico che salva ma non è in grado di salvarsi”, come spiega Mencarelli – diventano per il protagonista vere e proprie figure di riferimento.
Poi ci sono Giorgio (Lorenzo Renzi), fisicità imponente e un lutto mai elaborato; Madonnina (Vincenzo Nemolato), con le sue invocazioni religiose e una pericolosa attrazione per il fuoco; e infine Alessandro (Alessandro Pacioni), vittima di uno stato catatonico e accudito dal padre (Massimo Bonetti). Con tutti loro Daniele forma una comunità basata sulla compassione, la condivisione di risate e lacrime, del carico dei rispettivi demoni, al di fuori delle logiche di una società esterna che pretende infallibilità e “normalità”.
Dare voce al disagio umano, dalla pagina scritta allo schermo
Rispetto al romanzo di Mencarelli due sono le principali differenze: la storia dagli anni Novanta si sposta al presente, e si sviluppa la storia d’amore tra Daniele e il personaggio di Nina (Fotinì Peluso), ex compagna di liceo ora attrice e influencer, che nasconde dietro l’aggressività una profonda solitudine e fragilità: tenta il suicidio, e per questo è ricoverata nel reparto femminile. La sua relazione con il protagonista diviene l’elemento sentimentale della storia che alleggerisce la narrazione ed evidenzia l’innegabile impatto dei social media sul disagio psichico contemporaneo.
Girata in larga parte all’Ospedale Militare Lungodegenza di Anzio, Tutto chiede salvezza ha un’impostazione teatrale molto forte, esaltata dalla dinamica interno/esterno, dalla qualità della scrittura dei dialoghi e dalla convincente recitazione di tutto il cast, formato da volti giovani (Federico Cesari, Fotinì Peluso, Vincenzo Crea) e interpreti affermati (Andrea Pennacchi, Ricky Memphis nel ruolo dell’infermiere Pino, Filippo Nigro in quello del dottor Mancino, Carolina Crescentini nei panni della madre di Nina).
Gli si perdonano l’ingenuità di alcune scelte narrative e la forzatura di una sottotrama amorosa, che non aggiunge poi così tanto al messaggio di fondo: la salvezza passa dalla capacità di chiedere aiuto, dall’accettazione delle proprie e altrui fragilità, e dalla costruzione della consapevolezza di sé.
“Lascia il tuo sguardo libero, non farti raccontare il mondo da nessuno”, dice Mario a Daniele, che trova nella scrittura lo strumento per gestire dolore ed emozioni. Con il suo connubio efficace di dramma e commedia, di incontro tra tragedia e speranza, Tutto chiede salvezza riesce nell’intento di rendere universale una storia personale. Perché racconta di anime e di corpi, non solo quelle dei pazienti, travolti dalla complessità della vita e bisognosi di salvezza. Per questo il pubblico, non solo quello adolescente, vi si sta riconoscendo.
Non vi sono pazzi e sani. Del resto, la lezione di Basaglia era “visto da vicino nessuno è normale”.
Leggi gli altri articoli a tema Spettacolo.
Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Leggi anche
Il cinema di Fellini ha una natura metalinguistica: è quanto afferma Virgilio Fantauzzi nel libro “Il vero Fellini. Una vita per il cinema”. Una riflessione sul linguaggio filmico del regista premio Oscar.
Le motivazioni dietro le proteste dei professionisti del settore, adombrate dalla stampa: paghe misere, assenza di contratti e tutele e l’ombra lunga dell’intelligenza artificiale. Le opinioni di Francesca Romana De Martini di UNITA, Cinzia Mascoli di Artisti 7607 e Daniele Giuliani di ANAD