“Era meglio la catena di montaggio”: le condizioni di lavoro nei poli logistici di Amazon (e non solo) rasentano lo sfruttamento. E per le coop della Città del Libro la GdF ha parlato di caporalato.
Dall’Ucraina alla Polonia, l’esodo smart dei programmatori: se il lavoro diventa resistenza
Il lavoro nonostante tutto: molti specialisti del settore IT ucraini continuano le loro attività appoggiandosi a società polacche. L’esperienza di un recruiter italiano che vive e lavora in Polonia.
Il 24 febbraio è iniziata una delle pagine più brutte della storia Europea attuale: l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Esattamente quattro giorni dopo, qui in Polonia, abbiamo cominciato a ricevere numerose richieste di contatto da aziende del settore IT attive in Ucraina e interessate a espandere il proprio team di sviluppatori. Lavoriamo nel settore della ricerca e selezione di personale specializzato in ambito informatico, e abbiamo rilevato che la localizzazione delle nostre richieste di collaborazione proveniva al 90% da un unico Paese. Un caso unico, nella nostra esperienza.
Il conflitto ha sconvolto la vita di questo popolo in modo drastico e l’ambito lavorativo non ha certo fatto eccezione. “Remote work” e “IT” si trovano spesso nella stessa frase, e la possibilità di continuare a lavorare senza trovarsi in uno specifico posto sta aiutando parte della popolazione ucraina a rimanere attiva a livello produttivo, e anche a non pensare (almeno per un momento) alla tristissima realtà che la circonda. Un’interpretazione del concetto di resistenza, applicato al lavoro.
I programmatori ucraini verso la Polonia: il lavoro, nonostante tutto
Perdere parte dei programmatori del proprio team, perché impegnati a combattere per difendere il proprio Paese o per ragioni ancora peggiori, ha spinto diverse aziende IT a ripensare la loro strategia. In termini di risorse umane questo si è tradotto anche nella ricerca in Paesi vicini a livello di cultura e di competenze informatiche, come la Polonia.
Inoltre, secondo dati delle Nazioni Unite, ad aprile la Polonia aveva già accolto il 60% del totale dei rifugiati ucraini, oltre due milioni e mezzo di persone. Iniziare collaborazioni anche in termini di parziale relocation della propria attività produttiva è stato un passo quasi naturale.
Secondo un report dell’Associazione IT Ucraina, nel 2021 il Paese stimava circa 200.000 programmatori su una popolazione di 45 milioni di persone. Molti di loro lavorano presso società ucraine di outsourcing, con clienti internazionali anche molto conosciuti. Altri programmatori lavoravano direttamente (anche se con contratti di collaborazione B2B e da remoto) per aziende IT estere che hanno scelto l’Ucraina per la bravura e la disponibilità dei suoi specialisti, a un prezzo competitivo rispetto al proprio mercato interno.
Che aspetto ha il lavoro in Ucraina: “uffici” stipati e sirene antibomba
L’esigenza di capire gli altri mercati nasce dalla volontà di sopravvivere e continuare a crescere. Per noi si è trasformata in numerose “intro call” in cui ci siamo trovati a presentare il mercato del lavoro IT polacco e a cercare di capire se potessimo essere di aiuto ai nostri interlocutori.
Questi erano Head del Talent Acquisition o HR Manager, al 90% donne manager che si erano dovute rifugiare in Romania, Polonia o Repubblica ceca, o che erano rimaste in Ucraina, magari spostandosi verso la parte occidentale del Paese, in città considerate “relativamente più sicure” come Leopoli (città a soli 80 km dal confine polacco). Donne coraggiose che cercavano di abbozzare un sorriso spiegandoci che erano costrette a stare in otto in un appartamento condiviso di tre stanze e che avremmo sentito rumori in sottofondo, perché non erano soli in quell’ufficio temporaneo. Persone che lavoravano fuori ufficio non per scelta, ma obbligate da una situazione che non avrebbero mai immaginato.
Durante una di queste chiamate ci è capitato di parlare con una responsabile marketing in quanto erano suonate le sirene e i suoi colleghi delle risorse umane avevano dovuto rifugiarsi sotto agli scudi antibomba. La nuova normalità di un Paese che continua a lavorare nonostante le numerosissime difficoltà.
Il lavoro come resistenza e le app che segnalano i bombardamenti
Per quanto sia arduo immaginare che cosa si provi in una situazione del genere senza viverla, è facile provare un’immediata empatia verso questi “colleghi di un’altra azienda” che vivono in una situazione surreale. Esprimere la nostra solidarietà e offrire supporto, anche senza cominciare una collaborazione, è stato sempre parte delle nostre numerose conversazioni, ed è stato sempre importante per loro sentire che il mondo cerca di capirli. Di certo li fa sentire meno soli.
Dalle introduzioni, in alcuni casi, siamo passati a cominciare a lavorare insieme. Sentendoci quasi ogni giorno, ci hanno spiegato alcuni modi in cui cercano di mantenere una apparente normalità in un contesto tragico.
Come noi controlliamo le previsioni del tempo sulla app del nostro smartphone, anche loro hanno software che segnalano i bombardamenti connessi ad applicazioni di messaggistica molto usate in Ucraina, come Viber e Telegram. Allo stesso modo gli stessi gestori telefonici, che qua in Polonia ci informano quando ci sarà un temporale particolarmente violento, in Ucraina segnalano via sms quando un bombardamento è in corso.
Ho tanta stima e provo una profonda empatia verso tutte queste persone con cui abbiamo parlato in questo periodo. Gente che non si arrende, che attraverso il proprio lavoro trasmette la volontà di resistere, di andare avanti e magari di tornare presto al privilegio di una esistenza “normale”.
Come recita il poeta ucraino Oleksandr Ivanyts’kyj, nella traduzione dall’ucraino di Olena Ponomareva: “Aiuta te stesso, comincia ad amare la vita. Dove c’è pace, c’è felicità. Non cercare mai il male”.
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Leggi il mensile 111, “Non chiamateli borghi“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.
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