Unipol, arroganza assicurata

Da qualche mese il Gruppo Unipol è impegnato in un braccio di ferro insensato con i propri collaboratori. Lo smartworking negato nonostante i risultati degli ultimi due anni, la settimana corta che corta non è, e adesso ignora anche lo stato di emergenza.

15.03.2025
Carlo Cimbri, AD Unipol

Il Gruppo riconosce e valorizza la tutela dell’occupazione e nel corso degli anni ha modellato politiche, relazioni, incentivi e premi rivolti ai lavoratori sui principi del Global Compact che ne costituiscono l’impianto, investendo su una pluralità di leve riguardanti il capitale umano: dalla promozione delle pari opportunità, alla formazione e ai piani di sviluppo, dalla tutela della salute e sicurezza dei dipendenti fino all’attivazione di un sistema di welfare per migliorarne il benessere.

– dal sito del Gruppo Unipol

 

L’Emilia e l’acqua da qualche anno non sono grandi amiche.

Ma se è per questo non sono grandi amici nemmeno i cittadini – e soprattutto gli agricoltori – della Romagna con le Istituzioni, da cui ancora aspettano i “ristori” promessi dall’allora Presidente di Regione Bonaccini con la supervisione del Commissario Tecnico per Tutte le Stagioni, Francesco Paolo Figliuolo.

Nonostante quanto accaduto, non sembra che in molti abbiano imparato la lezione: gli argini dei fiumi vengono puntualmente fotografati sui social rivelando intrighi di rami e di tronchi; basta qualche pioggia più persistente per far strabordare tombini e allagare garage e sottopassi. Per non parlare dei lavori per la tramvia che hanno sventrato Bologna, condizionandone la viabilità e per certi versi anche la tenuta, tanto è vero che qualche settimana fa il sindaco Lepore ha sequestrato il pubblico del concerto di Umberto Tozzi nel Palasport per evitare che migliaia di persone si riversassero tutte insieme sulle strade già allagate e transennate a causa del carico di pioggia.

Ma non è solo una questione civica.

Un'azienda fuori dal tempo

Bologna da qualche tempo è anche il palcoscenico su cui si sta svolgendo la drammatica rappresentazione di una delle più importanti aziende del territorio: il colosso Unipol, che impiega più di diecimila persone. Da quando l’Amministratore Delegato Carlo Cimbri ha deciso di rilasciare al Sole 24 Ore un’intervista illuminante in cui ha dichiarato che “lo smart working non è la nuova normalità”, richiamando in ufficio tutti i dipendenti, le notizie negative sull’azienda bolognese si moltiplicano al punto tale che si ha il sospetto che vengano volutamente programmate come se ci fosse un calendario editoriale delle gaffe.

C’è difatti da chiedersi quale sia il senso di certe decisioni del tutto autolesioniste, considerando – nel caso specifico – che in Unipol lo smart working è stato utilizzato per oltre quattro anni dai dipendenti, fino a pochi mesi fa, e questo non ha impedito di raggiungere i migliori risultati di sempre, superando abbondantemente il miliardo negli ultimi due anni.

Non siamo vergini vestali per ignorare il fatto che Unipol non è la prima né sarà l’ultima azienda che rimastica “valori” e “attenzione alle persone”, salvo rivelare ben altri scenari. Il mondo imprenditoriale italiano è ricchissimo di esempi di lungimiranza di questo genere, fra aziende e imprenditori a cui la pandemia non ha insegnato nulla.

Tuttavia, è anche vero che ogni azienda privata ha il diritto di definire la sua strategia e di raccoglierne benefici e conseguenze.

Al momento pare però che le conseguenze siano superiori ai benefici, perché se già le dichiarazioni dell’AD di Unipol erano state ribattute dappertutto offrendo l’immagine di un pensiero manageriale profondamente retrogrado, a complicare il tutto ci si è messo l’ufficio del personale, che – su sollecitazione dei sindacati di fronte alle rimostranze dei lavoratori – ha proposto un’ipotesi di settimana corta che corta non è, in alternativa allo smart working. E anche qui si è aperta una crepa, poiché, per non si sa quale logica punitiva tipica di certe direzioni del personale che amano il confronto conflittuale costante, la proposta della settimana corta di Unipol prevede 4 giorni lavorativi di 9 ore l’uno per liberare il venerdì. E laddove qualche dipendente non riuscisse a garantire le nove ore settimanali, deve comunque recuperarle.

Già di per se la proposta non ha alcun senso logico se configurata in un contesto sociale e lavorativo in cui, dopo la pandemia, le Persone hanno obiettivi molto diversi e una considerazione del lavoro meno totalizzante rispetto a prima, impegnando molte aziende nella revisione di politiche del personale non più attuali (almeno quelle che sono atterrate nel Nuovo Mondo) e a elaborare programmi di attrazione e fidelizzazione più convincenti. Chiedere ai dipendenti di lavorare un’ora in più al giorno non solo è controproducente per l’azienda, che avrà collaboratori già sfiniti da otto ore di riunioni, videochiamate, processi e gestione ordinaria di un business non particolarmente creativo né innovativo, ma non risolve le necessità di genitori o di chi ha qualcosa da fare “oltre al lavoro”, perché quando esci dall’ufficio alle 19,30 la vita ormai è già passata.

Così non solo alimenti la scarsa produttività, ma anche l’insoddisfazione generale; non credo ci voglia un genio per capirlo.

La negazione dello stato di emergenza

Come se non bastasse, nella giornata di ieri la Protezione Civile ha diramato un’allerta meteo su Bologna, e in staffetta con il Comune sono stati sospesi mercati e attività cittadine, chiuse le scuole e invitate le aziende a promuovere lo smart working per evitare di dover aggiungere altre criticità a quelle già previste.

L'allerta meteo diramata dal Comune di Bologna

 

Alla richiesta di chiarimenti da parte dei lavoratori di Unipol all’azienda, la risposta è arrivata lapidaria come un corollario perfetto di arroganza, burocrazia fine a se stessa, avversione alle Persone, strafottenza alle regole di vivere civile, che meriterebbe un capitolo dedicato in un manuale di incapacità manageriale:

Gentili colleghe e colleghi, riscontriamo la vostra comunicazione per confermare che la richiesta non può essere accolta, in quanto lo smart working non è un istituto adottato quale modalità di organizzazione del lavoro né oggi disciplinato all’interno dell’Azienda.

Resta ferma, naturalmente, la possibilità – per far fronte alle specifiche esigenze individuali – di far ricorso ai diversi istituti previsti dalla normativa contrattuale interna, secondo le normali procedure e modalità.

Cordiali saluti

Ulteriori commenti sono superflui, poiché credo di poter immaginare il pensiero di qualsiasi essere umano dotato di un minimo di empatia . Gli stessi sindacati, che in questa azienda hanno un posizionamento piuttosto anomalo poiché siedono addirittura all’interno del CdA, si sono espressi molto chiaramente mettendo in discussione i valori aziendali:

Unipol si riempie la bocca di parole come sostenibilità e benessere dei dipendenti, ma nei fatti ignora persino gli appelli delle autorità in situazioni di emergenza. 

Difficile in questo caso dare torto ai sindacati se nel corso degli anni la Direzione del Personale è stata richiamata anche per la gestione delle ferie del tutto personalizzata. E qui tornerei a dare un’occhiata alla dichiarazione di intenti a inizio articolo.

Se vogliamo trovare una giustificazione al comportamento dell’azienda, potremmo pensare che organizzare una giornata di “liberi tutti” il giorno prima per il giorno dopo è sicuramente complesso, ma in un ambiente dove si parla di “innovazione” e “intelligenza artificiale” e ci si dichiara “leader di mercato”, ha un po’ il sapore della scusa tipo “non ho studiato perchè il cane mi ha mangiato i compiti”.

La Direzione del Personale, dov'è?

A questo punto, da operatore nel settore delle Risorse Umane, mi viene da fare una riflessione sul ruolo della Direzione del Personale dell’azienda e di chi si assume la responsabilità di queste decisioni dal punto di vista non solo culturale, ma anche operativo.

Partiamo più in alto: se l’Amministratore Delegato rilascia una dichiarazione che riguarda l’operatività di un dipartimento che ha una delega precisa senza prima consultarsi con la Direttrice del Personale (in questo caso), intanto ci sta dando un’informazione molto precisa: quell’Amministratore Delegato non ha rispetto per le sue prime linee; il suo biglietto da visita è più lungo di qualsiasi altro in azienda, e questo è più che sufficiente per ritenersi al di sopra di tutti. A partire proprio dalla Direttrice del Personale, che sembrerà non aver alcun ruolo strategico, limitandosi a operatività puramente amministrative, in linea con il concetto di Risorse Umane tipico delle aziende degli anni Settanta, e a blande dichiarazioni in occasione della giornata della donna.

Della Direttrice del Personale non c’è traccia su LinkedIn, e viene nominata solo in un articolo dell’ANSA. E forse è stata scelta anche per questo.

Se invece quelle dichiarazioni – e di conseguenza l’operatività che ne deriva – sono concordate, lascia perplessi che una donna possa convenire con certe decisioni, e soprattutto che chi si occupa di Persone (di qualsiasi genere sia) comunichi in quel modo e non si renda conto delle implicazioni dal punto di vista “politico” e istituzionale. Se andando o tornando dal lavoro uno di quei dipendenti si infortuna, rimane bloccato in un sottopassaggio o anche solo ha un disagio (tanto per cominciare, le scuole chiuse in quel giorno), chi ne risponde?

Per non parlare di tutte le informazioni che stanno emergendo da qualche mese a questa parte riguardo alla gestione del personale in azienda, al malcontento generalizzato e all’ambiente di lavoro che diventano materiale utile per chi riceve un’offerta di lavoro o volesse mandare un curriculum. Su Glassdoor, il rating espresso da chi lavora in azienda parla chiaro.

Il rating di Unipol su Glassdoor

Nessuna assicurazione è un Love Brand

Alla reputazione del brand tuttavia, concorrono anche i giornali e i clienti di Unipol.

Unipol è un’azienda che investe moltissimo in pubblicità, sui giornali e in televisione. E ormai, chi mi legge e chi legge SenzaFiltro sa che la pubblicità oggi non è più solo uno strumento di comunicazione e vendita, ma è anche il patto con cui le aziende si garantiscono la benevolenza dei giornali.

Non è un caso che la moda, il settore più insostenibile (nell’era della sostenibilità come valore straordinariamente condiviso) e meno attento alle Persone, sia anche il settore che investe più di tutti in pubblicità e di conseguenza lo spazio dedicato alla moda e ai suoi imprenditori sia sempre molto ampio. Decisamente più risicato lo spazio che riguarda scandali, inquinamento, sfruttamento della manodopera.

Dall’altra parte abbiamo i clienti: da quando le assicurazioni sono diventate obbligatorie per legge, sono saliti i prezzi e non certo di pari passo all’affidabilità e alla qualità anche delle aziende più importanti e storiche del settore. Di conseguenza gli utenti scelgono solo in base al prezzo; lo testimoniano le sempre più numerose piattaforme che aiutano a trovare le offerte più convenienti (e non quelle più performanti). Lo dimostra il grosso turn over degli utenti, che cambiano compagnia in media ogni due anni. Nessuna assicurazione è un Love Brand.

Pertanto è chiaro che neanche Unipol abbia “bisogno di piacere”, e la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: quando Telepass ha annunciato un aumento del suo abbonamento, in due anni sono passati a UnipolMove un milione di utenti. Per una differenza di 12 euro.

Insomma, chiunque oggi cambierebbe il suo fustino di Dash con quello di una qualsiasi altra marca, basta che costi di meno. E poi chi se ne frega se lava più bianco o se lascia i panni zozzi.

 

 

 

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