IdentifAI smonta i deepfake, ma il giornalismo sa verificare le fonti?

Intervistiamo Marco Ramilli, fondatore della startup che ha realizzato un software in grado di riconoscere con accuratezza foto, video e suoni creati da IA generative: “Anche contenuti parzialmente veri possono modificare una minima percentuale del nostro credo. È giusto che l’uomo sappia che cosa ha davanti”

04.09.2024
Un deepfake, di quelli che il software IdentifAI serve a smascherare

IdentifAI buca già col nome.

Chi parla il gergo delle startup usa in queste ore la parola round: quello appena chiuso da IdentifAI è di 2,2 milioni di euro. Il software era stato rilasciato lo scorso febbraio: uno strumento basato su algoritmi, veloce da usare, c’è un’interfaccia grafica che permette di caricare manualmente il contenuto “sospetto” o, in alternativa, si richiede l’accesso al sistema tramite API. Lo scopo è sapere se la foto o il video o altro contenuto preso in rete siano stati creati da intelligenza artificiale generativa. Deepfake, per dirla spiccia.

IdentifAI fa capire chiaro e tondo che è totale l’alleanza col giornalismo sempre più boccheggiante e disarmato.

Dietro c’è Marco Ramilli, già fondatore di Yoroi, ancora instancabile nell’indagare la contemporaneità tecnologica per capire quanto l’uomo ci si intersechi, più che altro come. Mi dice che non ha dubbi sul perché gli sia venuto in mente di far nascere IdentifAI pensando anche al giornalismo e all’informazione: “Viviamo in una civiltà dell’attualità, siamo sospesi a ogni istante tra un’attualità e l’altra, e siamo sotto costante stress uditivo, visivo e cognitivo per processare cosa ci succede intorno”.

IdentifAI e il dubbio 4.0: come sopravvivere all’era dei falsi generativi

Siamo sempre sulla notizia, anche su quelle che non lo sono ma che percepiamo come tali. Consumiamo di tutto, ormai, anche le notizie, senza avere il tempo di capire di che sostanza siano fatte; coi sogni di Shakespeare era più semplice.

Non c’è più il senso di attesa dei decenni passati, non c’è più riflessività. Appena ci viene addosso un’informazione di qualsiasi genere, e che subito consumiamo, ce n’è già dietro un’altra, e un’altra. La persuasione si inietta bene in un simile contesto, cioè la capacità da parte di terzi di utilizzare contenuti parzialmente veri che, nel tempo, possono modificare anche solo una minima percentuale del nostro credo. Quel minimo fattore, moltiplicato tutte le n volte in cui accade, può rilevare pesantemente ai fini di un’opinione, un voto, una presa di posizione. C’è da stare molto attenti a ciò che diamo da mangiare alla nostra mente, evitando estremismi e totalitarismi centrati sulla manipolazione sociale. Siamo molto esposti, tutti. Il contenuto artificiale non è cattivo per natura, così come non è buono per forza nemmeno quello naturale: è solo giusto che l’uomo sappia cosa ha davanti”.

L’obiettivo di IdentifAI è trovare l’origine del dato, quindi capire se un’immagine, un video – in futuro un testo o un suono – siano stati generati artificialmente o meno.

“Sono convinto che l’essere umano abbia diritto a sapere se ciò che sta leggendo o guardando è alieno oppure no; sono convinto che tutto ciò che arriva dalla AI sia alieno, cioè legato a origini non umane. Oggi nel giornalismo il meccanismo di verifica è il processo standard, tradizionale: la prassi è contattare l’ufficio stampa di un partito o di un’azienda o di qualsiasi altro soggetto o organizzazione. È un processo lento, che non scala, prono a errori. Certo, potrebbe capitare che in quel campo molti ribattano di sentirsi al riparo perché la loro fonte è già considerata certa, ad esempio una agenzia di stampa: male che un giornale deleghi e ceda fuori la propria reputazione, senza verificare di persona, senza sapere come terzi indaghino sulla natura del contenuto”.

I giovani e le nuove generazioni sono i più sensibili al tema delle AI, loro sono abituati a chiedersi se ciò che osservano sia vero, gli adulti non hanno il dubbio come pensiero abituale perché la realtà in cui sono cresciuti non veniva messa in discussione. “I giovani, poi, le intelligenze generative le hanno viste nascere e crescere, le hanno toccate con mano e le hanno usate. Può sembrare incredibile ma mio figlio piccolo, più o meno sei anni, guardando in macchina fuori dal finestrino mi ha chiesto se i fenicotteri rosa che vedeva a Cervia fossero veri. Sì, lo sono. A mia figlia più grande succede con un altro tipo di contenuti, in ogni caso dubbi sul web, e con meno perplessità. Più sono giovani e piccoli, più crescono col sospetto che il mondo intorno non sia reale”.

 

 

 

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Photo credits: alexasfotos via pexels.com

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