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L’ultimo romanzo di Daniele Mencarelli, già premio Strega Giovani e autore di “Tutto chiede salvezza”, è la storia ennesima di un ritorno, in un pendolo tra Milano e Roma, attrazione e nausea. La nostra recensione, con l’aiuto di ChatGPT, e alcuni consigli per parlarne senza averlo letto
Di Daniele Mencarelli si è parlato molto nel 2020, quando il suo bel romanzo pugno-in-faccia Tutto chiede salvezza, pubblicato da Mondadori, ha goduto dell’effetto moltiplicatore (di visibilità e di copie vendute) garantito dalla vittoria del Premio Strega Giovani. Se ne è parlato ancora di più nel 2022, quando è uscita la serie Netflix tratta dal romanzo, alla quale Mencarelli ha collaborato come sceneggiatore.
Nell’affezionarci alle storie e ai personaggi che gravitano attorno a quel mitologico reparto di psichiatria frequentato davvero dall’autore (ma nella serie è tutto più costruito, e là dentro ognuno fa un po’ quel che gli pare), qualcosa ci è però sfuggito di mano: all’improvviso, con superficialità devastante, ci siamo messi tutti a pontificare di salute mentale, soprattutto sui social, dove tutto è diventato trauma irrisolto e depressione perenne, per (di)mostrarci persone di larghe vedute e grandi sentimenti.
Con il nuovo romanzo Brucia l’origine, pubblicato ancora da Mondadori, Daniele Mencarelli torna a esplorare l’inquietudine dell’animo umano. Non lo dico io, ma una ChatGPT non particolarmente ispirata, o forse abilissima a cogliere le frasi fatte che hanno accompagnato l’uscita del romanzo.
Siamo ancora qui, all’eterno duello tra Roma e Milano e alla stanca battuta “la cosa migliore di Milano? Il treno per Roma!”. Desiderio di autodistruzione, travaglio interiore del protagonista, viaggio intimo e coinvolgente, crisi personale e ricerca di sé: qualunque pensosa banalità sulla durezza della vita può essere usata per qualificarsi come lettori storici di Mencarelli (o, al limite, per accompagnare un selfie un po’ scosciato su Instagram).
La trama del romanzo è presto riassunta: il romano Gabriele Bilancini, figlio di un meccanico del Tuscolano, ha fatto li sordi a Milano come designer d’arredi che in pochi possono permettersi, figuriamoci i suoi amici d’infanzia che si vestono a caso, parlano male e campano peggio. Ma i soldi non fanno la felicità, e chi ha il pane non ha i denti.
Il derelitto Gabriele torna a casa con le tasche piene di soldi (è pur sempre l’allievo/giocattolo prediletto del guru!) e la morte nel cuore: nella casa dove è nato c’è ancora il letto come l’ha lasciato lui, e ci si ostina a mangiare primo-secondo-e-contorno per pranzo, quando basterebbe una bella insalatina con una proteina come si usa fare a Milano.
Svegliato tutte le mattina dalla madre che gli annuncia di aver preparato i suoi piatti preferiti, Gabriele oscilla tra attrazione e nausea, come forse anche il lettore, sballottato di qua e di là dalla fastidiosa rassegnazione di alcuni personaggi e dal poderoso rancore di altri.
Andare, restare, che fare? Non chiedetelo a me, ché il finale non l’ho capito (e anche ChatGPT non è di aiuto).
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