La dismissione della produzione di motori a combustione decisa dall’UE per il 2035 sta provocando licenziamenti a catena nell’automotive: è il caso della Bosch e della Marelli, a Bari. Sul tema abbiamo raccolto dichiarazioni in esclusiva di Pierluigi Bersani.
Metalmeccanica, la crisi continentale di cui si parla troppo poco
Più di 100.000 lavoratori coinvolti nel primo semestre 2024 in Italia per una crisi i cui sintomi si avvertono soprattutto in Emilia-Romagna e Veneto. Ma la produzione è in calo in diversi Paesi UE, compresa la Germania. La nostra analisi
Protestano le sigle del metalmeccanico, perché a distanza di mesi la trattativa per il rinnovo del CCNL ristagna e, sulle proposte iniziali (ne abbiamo parlato qui), non è stata avviata alcuna discussione. Anzi, la controproposta targata Federmeccanica non sembra nemmeno lambire le ambiziose aspirazioni, poiché l’impianto ventilato dall’associazione di categoria ha nei fatti connotati del tutto diversi, e in ogni caso meramente conservativi sotto il profilo salariale.
Dovremmo quindi star qui a contare i giorni che ci separano dal paventato stato di agitazione sindacale, se solo la metalmeccanica non stesse attraversando – forse – la peggior crisi degli ultimi quindici anni. Crisi della quale, a dispetto dei numeri, nessuno pare volersi occupare con i doverosi approfondimenti. E che la notizia rimanga sottotraccia, addetti ai lavori a parte, ha dell’incredibile.
La crisi nascosta della metalmeccanica: i numeri di Emilia-Romagna e Veneto
Basta snocciolare qualche dato per capire la gravità di un momento storico che, vale la pena sottolinearlo, potrebbe rivelarsi di breve durata, ma i cui effetti sono oggi nefasti, in particolare per le tasche delle lavoratrici e dei lavoratori.
Andando per territori, prendiamo ad esempio quanto ha raccontato la FIM CISL nel consiglio generale in Romagna. Ebbene, nei primi sette mesi del 2024 si è registrato un aumento delle ore di cassa integrazione pari al 93,09% rispetto allo stesso periodo del 2023. Un problema occupazionale trasversale, che ha riguardato quasi tutte le province del territorio, con picchi del 200% a Ravenna e del 162% a Rimini.
Eco che risuona forte e chiaro nella vicina Ferrara, dove colossi come Berco scricchiolano. È di un mese fa la notizia che il gruppo emiliano, specializzato nella produzione di componenti e sistemi sottocarro per macchine movimento terra (1.400 lavoratori), ha avviato un percorso di riorganizzazione che prevede 550 esuberi, oltre alla cancellazione dall’integrativo aziendale della parte economica. Tagli pesantissimi, come sono stati definiti dal sindacato, ed esempio concreto dei numeri citati.
Valori da interpretare nel medio periodo, nel complesso, che fanno però il paio con quanto riscontrato in altre Regioni da sempre trainanti nel manifatturiero. Come il sempre attuale Veneto, dove il problema non è più solo legato al come reperire risorse con stigmate STEM, ma per molti è rappresentato dalla ricerca di buoni motivi per trattenere chi già c’è, soprattutto a fronte delle nubi plumbee che attraversano il mondo industriale in generale. Mondo che, a livello nazionale, traccia per l’appunto un quadro a tinte fosche. L’indagine trimestrale di Federmeccanica segnala un -1,5% per il comparto metalmeccanico rispetto al trimestre precedente, dopo il -2,1% del trimestre precedente. Nel confronto annuo, il divario si allarga al 3,4%: non briciole.
Aumenta anche la quota di imprese con una riduzione dell’occupazione nel secondo semestre 2024, arrivata al 14%, così come il totale nazionale delle ore di cassa ordinaria, in crescita del 70%. E in effetti il dato guida è sempre rappresentato dalla CIG. L’osservatorio INPS sulle ore autorizzate del mese di luglio 2024 evidenzia un totale di 36,6 milioni di ore, in leggero aumento rispetto al mese precedente (35,3 milioni) e con una forbice ampia rispetto allo stesso mese del 2023, che aveva registrato un consuntivo di 28,6 milioni.
Stesso discorso per agosto, con un totale di ore pari a 17,4 milioni, contro i 13,6 del 2023. E che buona parte sia destinato all’industria è a questo punto evidente, considerato l’ottimo stato di salute del terziario, alias il settore con la media salariale più bassa d’Italia.
I motivi della crisi: energia, transizione e geopolitica
A supporto dell’analisi arriva anche il report, pure questo firmato FIM CISL, sullo stato delle crisi nel settore metalmeccanico del primo semestre 2024. Nello specifico, si parla di 100.000 lavoratori coinvolti, 712 vertenze totali, di cui ben 312 aziende con meno di 50 dipendenti. Dati allarmanti se paragonati al 2023, con un aumento di 18.000 metalmeccanici coinvolti nella crisi.
Molte di queste realtà, si dice nel resoconto, sono coinvolte a vario titolo nei processi di transizione green o digitale, con particolare riferimento alle industrie e al relativo indotto dell’automotive, del termomeccanico, dei mezzi agricoli e movimento terra (Berco ne è la prova provata). Ecco quindi una prima possibile causa, oltre ai già noti costi dell’energia, che restano di gran lunga superiori alla media europea.
Va da sé che, per entrare più nel dettaglio, il comparto delle fonderie (così come tutta la siderurgia) soffra non poco. Il 2024 è partito secondo previsioni, e cioè molto male, con una produzione in discesa del 10% e un fatturato del 12% nel primo trimestre. Senza peraltro segnali di ripresa, con un calo degli ordini che prosegue ormai dalla seconda parte del 2023. E se all’inizio le cause erano riconducibili a fattori piuttosto chiari, come la minor domanda rapportata agli importanti stock da smaltire (dopo il famoso rimbalzo post COVID del 2022), ora si assiste a una domanda comunque fiacca nonostante il basso livello di magazzino.
Perché? Ecco tornare il punto di vista rilevato nel rapporto di FIM CISL, riconducibile al gap sull’energia tra Italia e resto d’Europa, oltre all’attesa per le misure legate alla transizione 5.0. Senza contare gli aspetti geopolitici, sempre attuali in questi settori, soprattutto sul fronte russo-ucraino, ma anche rispetto al Medioriente e alle elezioni americane. Nel frattempo però, pur con la speranza che qualcosa si sblocchi, il secondo trimestre ha fatto registrare per alcune realtà valori ancora peggiori, sforando il -20% della produzione rispetto all’anno precedente.
Una crisi allargata all’Europa (da cui quasi nessuno trae insegnamento)
Non che l’Europa se la passi poi così bene: nel Vecchio Continente la produzione metalmeccanica latita, in particolare per Paesi competitor come Germania (che ha registrato -1.3% nel secondo trimestre rispetto al primo), Francia al -1,2% e Spagna al -0,7%, dettaglio che toglie forza alle ragioni del gap sull’energia. In ogni caso l’andamento trasversale per tutta l’UE sfocia, almeno per noi, nel largo utilizzo di ammortizzatori sociali. Soluzione che permette di calciare la palla un po’ più in là, quanto meno nel breve periodo.
Anche se, soprattutto se la crisi persistesse oltre il 2025, forse è il caso di iniziare a pensare ad alternative di medio termine, che riguardano da vicino sviluppo e riorganizzazione aziendali, oltre che rivoluzioni concrete in materia di ESG. E se la ricerca di talenti non è più in testa alle breaking news in materia di lavoro, probabilmente è anche perché in questo momento la pattuglia di organizzazioni impegnate sul fronte della carenza di risorse da impiegare nell’automazione, nel meccanico e nel meccatronico è sensibilmente inferiore rispetto a un anno fa. Quadro destinato a rimanere immutato, almeno fino alla prossima schiarita di mercato.
Pattuglia che, questa è la sensazione, tornerà a rimpolparsi al primo raggio di sole, perché forse solo un numero esiguo di organizzazioni sta sfruttando il periodo di secca per alimentare percorsi di crescita interna, polivalenza e formazione continua, così come sapienti e innovative riorganizzazioni. Mera percezione, per carità. Magari, passata la nottata, vedremo davvero una nuova alba per il comparto metalmeccanico italiano. Magari con un CCNL rinnovato grazie a una sintesi migliorativa per tutte le parti sociali in causa. Magari, chissà.
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