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Napoli, via Argine 310: gli ex operai Whirlpool ci chiamano uno a uno
La vicenda degli operai Whirlpool di Napoli raccontata dal documentario “Via Argine 310” di Gianfranco Pannone: le testimonianze della lotta con il regista, lo scrittore Maurizio De Giovanni e i rappresentanti degli operai
Una volta lo chiamavamo cineforum.
Arrivare al Cinema Astra di via Mezzocannone a Napoli, una sera di febbraio 2023, è toccare con tutte e due le mani una città che ai miracoli ci crede ancora, ma proprio per questo non glieli fanno più fare. In Piazza San Domenico gli aperitivi insistono che è tempo di brindare e non pensarci troppo, alla vita; poco più giù, nel bar esterno al cinema, gli universitari stanno ai tavoli della gioventù e delle possibilità, parlano alto, ridono com’è giusto che sia.
La rassegna è Astradoc – viaggio nel cinema del reale, curata da Arci Movie. Manca ancora un’ora alla proiezione di Via Argine 310, il documentario (poi insignito del Nastro d’Argento “Cinema & lavoro”) presentato lo scorso autunno alla Festa del Cinema di Roma con cui Gianfranco Pannone – ventiquattro documentari all’attivo – ha seguito per dodici mesi il Collettivo degli ex operai della Whirlpool, licenziati a novembre 2021 dopo tre anni di non risposte chiare dalla politica e dall’azienda. Quale azienda?, viene da chiedersi alla fine della proiezione, in cui è chiaro che da un lato c’è la vita dolorante e dall’altro il lavoro inesistente con le sue multinazionali lontane, impalpabili, mai un referente che sappia dare una risposta, mai un disegno comprensibile.
Tre anni appesi a un filo in cui la politica ha mostrato il suo lato più meschino: l’indifferenza a 312 operai e alle famiglie attaccate carne e ossa a questa storia per ora senza lieto fine. Il film dice chiaro che per ben 39 volte gli operai erano andati a Roma a manifestare la propria voglia di lavorare e a cercare un dialogo al Mise, il Ministero dello Sviluppo economico, che col nuovo governo intanto ha cambiato nome e da Mise è diventato Mimit (Ministero per le imprese e il Made in Italy). Perché a cambiare le sigle fanno in fretta: bisogna essere sfrontati e spudorati per dedicare il nome di un ministero al Made in Italy e intanto non fare nulla per impedire che le nostre industrie vengano predate dall’estero, o proprio all’estero spostate. SenzaFiltro lo sa perché dal 2022 monitora con un Osservatorio le grandi crisi aziendali d’Italia, che ammontano a più di settanta.
Gianfranco Pannone e la Napoli operaia: “Non veniamo mai fuori dai luoghi comuni. È una città che lavora e che fatica”
Via Argine 310 è un documentario sulla solitudine, anche se Pannone dice al pubblico che questo è un film fatto con le persone e non sulle persone. Sono vere entrambe le cose. Pannone ha un modo di parlare e di usare la telecamera che taglia corto sui sentimentalismi e va al sodo del dolore.
Il regista è nato a Napoli, ma vive a Roma dopo essere cresciuto in zona Pontina; aveva un nonno operaio, socialista, orgoglioso del suo lavoro. Pannone ricorda questo nonno operaio a cui i parenti chiedevano consigli. È un film che storicizza proprio la Napoli operaia smantellata in silenzio dagli anni Ottanta in poi, una fabbrica alla volta, una famiglia alla volta. Era la città industriale più importante di tutto il centro-sud Italia, ma i giovani non hanno la minima idea né la minima memoria di come fosse quarant’anni fa.
“Non ho nulla contro le Gomorre o contro le puntate di Alberto Angela perché servono anche quelle, ma ho la sensazione che non veniamo mai fuori dai luoghi comuni che vedono Napoli città delle crisi, degli assistenzialismi e delle indifferenze. A questo serve la storia e serve il cinema. Napoli viene associata o alla estrema bellezza o alla estrema bruttezza e non va bene, spero escano altri film e altri sforzi nel raccontare Napoli e i napoletani, perché questa è una città che lavora e fatica e io l’ho imparato guardandola con la distanza, con amore.”
Maurizio De Giovanni: “Facciamo schifo se consentiamo una cosa del genere”
Durante il dibattito si alza una precaria dell’università, è netta come una lama mentre denuncia la mutazione sociale con cui ognuno di noi ha imparato a vivere nella propria indifferenza, tutto ci appare lontano, ognuno deve cavarsela da solo e i drammi lavorativi degli altri non ci toccano più perché abbiamo già i nostri, la globalizzazione e l’individualismo sociale hanno raggiunto lo scopo.
“Ogni volta che vedevo passare la vostra storia in qualche tg mi sentivo in colpa perché sarei voluta venire da voi a darvi sostegno, ma non ce la facevo, avrei voluto dirvi che quello che vivete voi lo vivevo anch’io. Siamo troppi a vivere così precari. Crisi come la vostra urlano la crisi di una cultura economica e sociale che un po’ alla volta ci tocca tutti, ci toccherà tutti”. Pannone fa sì con la testa, gli operai pure. Maurizio De Giovanni, ospite della serata, raggiunge il sottopalco.
“Si parla di guerra, sapete? La guerra non si fa solo invadendo un luogo, ma anche lasciandolo. Il lavoro è una colonna vertebrale nella vita di ognuno, non è un’appendice di cui possiamo fare a meno. Da tre anni sono testimone di queste storie con la esse minuscola dentro una storia con la esse maiuscola. Questi operai in tre anni hanno visto passare un sacco di gente che li ha guardati, li ha ascoltati, si è emozionata, si è commossa, gente che ha giurato e che ha promesso. Alla fine se n’è andata. Credo che una città come Napoli, tutta la città, non dovrebbe permetterlo, e abbiamo il pieno diritto di dire che facciamo schifo se consentiamo una cosa del genere nel nostro perimetro”.
Finché c’è un bando c’è speranza: “Ex operai Whirlpool, ma combattiamo ancora”
Il presidio “Whirlpool – Napoli non molla” è ancora attivo nell’ex dopolavoro di Via Argine, che per decenni ha fatto spazio alla multinazionale americana della lavatrice.
Quando prende il microfono, la prima cosa che Carmen Nappo fa notare è che bisogna stare attenti e dire che loro sono “ex operai Whirlpool, non operai. Il lavoro ce l’hanno tolto ma noi combattiamo ancora”. Nonostante la lettera di licenziamento in mano, gli operai hanno infatti continuato a ritrovarsi in Via Argine: lo hanno fatto tutti i giorni durante i tre anni di crisi ma anche dopo, anche oggi.
Il 20 marzo scade la speranza che arrivi un Consorzio. Il bando è stato aperto a fine gennaio dal Commissario Straordinario del Governo della ZES Campania per intercettare manifestazioni di interesse e individuare investitori e operatori economici a cui trasferire in proprietà il compendio produttivo ex Whirlpool di Via Argine 310, assicurando l’occupazione all’intero bacino degli ex lavoratori. Insomma: “Chi prende Via Argine 310 è tenuto a prendere anche noi operai, almeno questo l’abbiamo ottenuto”.
Mentre lo dice a nome del Collettivo, Massimiliano Quintavalle mescola orgoglio e commozione, anche se sarebbe più istintivo e banale dire che mescola orgoglio e pregiudizio, perché questa è una città che negli anni sotto i pregiudizi ci è sprofondata.
“Voglio tornare a mettere la sveglia alle quattro del mattino”. Ma la dismissione industriale a Napoli parte da lontano
Il desiderio degli operai è tornare a lavorare e farlo con tutta la dignità che meritano: “Voglio turnà a mettere ‘a sveglia ‘e quatte a matina. Pure ‘e quatte e ‘nu quarto”.
Nel frattempo la fabbrica è stata dismessa, le attrezzature e i macchinari portati via. Restano le competenze metalmeccaniche altamente specializzate dei 312, anche se ora non sanno che farsene. Raccontano che di offerte a Nord, soprattutto dalla zona di Varese, ne hanno ricevute tante in questi anni, ma che non hanno mai dubitato se andarci o meno, e che continuano a battersi vivendo con la NASpI a 600-700 euro al mese, che lo hanno spiegato alle famiglie e alle famiglie hanno anche chiesto scusa, provando vergogna, ma la battaglia vogliono farla a Napoli e un po’ vogliono farla anche per dare l’allarme a chi ancora la propria battaglia non la vede.
Anche Daniele Sepe prende la parola. Lavora da trent’anni con Pannone, le musiche sono le sue, sassofonista e compositore. Della dismissione del lavoro industriale a Napoli è stato testimone diretto.
“Ero presente all’abbattimento della prima torre piezometrica dell’Italsider, stavo là per caso, con un gruppo di operai ero salito sul laminatoio per avere una prospettiva migliore. Era un brutto momento per la fabbrica, per la città, per tutti. Un operaio mi disse: ‘Suona Bandiera rossa’, io avevo con me il sassofono. A me però Bandiera rossa non piaceva e quindi ho fatto altro. Era pieno inizio globalizzazione rispetto a quello che ci sarebbe venuto addosso, sia come mercato che come consumo. Poi gli altiforni 2, 3 e 4 se ne andarono in India, un laminatoio appena fatto coi soldi dello Stato se ne andò in Cina e questa è una storia che poi si è ripetuta per tantissime aziende e per tantissime industrie. Se oggi prendete la Cumana e arrivate alla stazione di Arco Felice vedrete una distesa di storie abbandonate che fanno male al cuore, lo stesso se partite da Piazza Garibaldi e arrivate a Ponticelli. Insomma, quella mattina io stavo col sassofono lassù in alto e giù c’erano tutte le autorità più alte della Regione Campania, il sindaco, il prefetto, e mi ricordo che tutti si giravano e si guardavano intorno e non capivano da dove arrivasse la musica poco prima che suonasse la sirena, sembrava che suonasse ‘o Padreterno. Stasera ve la rifaccio qui senza sassofono, un po’ più esile perché tanto siamo tutti diventati un po’ più esili nel fare le nostre battaglie”.
Politica e sindacati impotenti. Se Whirlpool significa la vittoria delle multinazionali
La fine di Whirlpool a Napoli è la storia di un nulla detto chiaro e tondo solo dopo quattro anni di inganno.
“Io ho raccontato solo una piccola parte della storia, avrei potuto fare un altro film solo sulle promesse reiterate e non realizzate, da Di Maio a Orlando al centrodestra. Nessuna delle compagini politiche è uscita bene, così come il sindacato ha balbettato lungo tutta questa vicenda, e dirlo mi fa soffrire, essendo figlio di un sindacalista. Dire che una cassa integrazione risolve temporaneamente le cose è l’ossimoro più pericoloso di questi tempi. Whirlpool testimonia la resa contemporanea davanti alle multinazionali, ai diritti dei lavoratori, all’articolo 1 della Costituzione”, conclude Pannone.
Alla fine è Carmen Nappo, il volto più ricorsivo nella tessitura del film e ne ha tutte le ragioni, a dare un senso alla tenacia con cui gli ex operai presidiano i diritti del lavoro in Via Argine 310, nonostante l’abbandono generale, e lo fa dando fiducia a tre piccole lettere che, una dopo l’altra, ormai spaventano: noi.
“In Via Argine 310 siamo stati un noi in tutti questi anni, lo siamo e lo saremo ancora finché non troveremo una soluzione.”
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