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I portalettere vincono il ricorso: busta verde per Poste Italiane
Il caso degli straordinari non retribuiti all’ex dipendente Carmine Pascale è arrivato a sentenza: Poste Italiane dovrà riconoscere le spettanze al lavoratore, dopo due anni di procedimento legale. Una brutta figura evitabile da parte di una delle aziende chiave del Paese
Il lavoro straordinario si paga. Sembra incredibile che, per confermare una volta di più quella che per tanti nel 2024 è una sostanziale ovvietà (e per fortuna), sia servita una sentenza del tribunale. Il caso è quello di alcuni portalettere di Poste Italiane, precari e mazziati, visto che – oltre ad avere sulla testa la spada di Damocle di un contratto a tempo determinato – si sono spesso trovati a prestare servizio oltre l’orario ordinario. Per giunta non retribuiti.
Con SenzaFiltro alcuni mesi fa avevamo raccolto la testimonianza di Carmine Pascale, che oggi, grazie alla sua caparbietà, ha finalmente ricevuto le tanto agognate spettanze. A mettere definitivo ordine è stato il giudice Emanuele Venzo, del Tribunale di Pistoia, con sentenza dello scorso 6 giugno.
Come Poste Italiane ha perso la causa contro i portalettere
Il caso di Pascale è piuttosto semplice. Lavora due mesi come postino a Pistoia nell’ormai lontano 2022, non vede corrisposta una sola ora eccedente, il rapporto si interrompe e parte la querelle. L’Ispettorato del Lavoro di Prato e Pistoia, intervenuto sulla questione, con una vertenza del settembre 2022 diffida Poste al riconoscimento di quanto dovuto. Poste Italiane, dal canto suo, si oppone sostenendo che le ore straordinarie non erano state autorizzate.
Quasi due anni dopo, con un intermezzo provvisorio del giugno 2023 che ha determinato la concessione degli importi al malcapitato, è arrivata la conclusione di un procedimento che vale in tutto, forse è bene sottolinearlo, meno di 3.000 euro, comprese le spese legali e il rimborso all’IUnspettorato. Risparmiamoci tutto il dibattito, buono ormai solo per qualche talk o per le sterili bacheche di LinkedIn, sul senso di spendere due anni di battaglie legali per qualche spiccio. E risparmiamoci pure tutto il conseguente approfondimento legato a employer branding e potenziali danni d’immagine, dove nel caso di specie, a ben vedere, il gioco non vale la candela.
Per il resto, è mai possibile che un colosso del calibro di Poste Italiane riesca a scivolare su bucce di banana macroscopiche come queste?
A quanto pare sì, e in questo caso si tratta – ipotizziamo – di questione culturale. Carmine Pascale ha lavorato 37 ore in più nel mese di marzo 2022 e 39 nel mese di aprile, rilevate dal gestionale delle presenze aziendale. È evidente che una struttura di queste dimensioni debba avere, quanto meno, un ciclo di approvazione strutturato al suo interno, che valuta i giustificativi in minor o maggior presenza. Ecco, il giudice ha rilevato che le ore sono a tutti gli effetti presenti ad orologio; fine. Per cui o non si è gestita bene la situazione, oppure c’era consapevolezza della questione. Perché, come sostiene Pascale (leggiamo da sentenza), “veniva richiesto quotidianamente ai lavoratori di prolungare l’orario di lavoro per completare la consegna della corrispondenza”.
Prassi consolidata? Non lo sappiamo. Il consiglio, comunque, è di investire il tempo nel migliorare l’organizzazione e i sistemi di gestione, oltre che a stabilizzare qualche lavoratore in più, anziché spendere energie nel fare la guerra a colleghi che, soprattutto in periferia, dovrebbero invece essere tutelati. Anche perché, adesso, lo dice pure il Tribunale di Pistoia: il lavoro straordinario si paga.
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