Perché allora i giovani laureati accettano di lavorare in una delle big four?
Marco di EY afferma: “Lavorare con delle scadenze precise ti insegna a gestire lo stress e ad agire con un certo tipo di formalità. Ti permettono di crescere, e sono poi spendibili come merce di scambio in un futuro, perché hanno un valore nel mercato del lavoro”.
“Sono previsti corsi di formazione, c’è la possibilità di fare mobilità all’estero e puoi fare carriera in poco tempo” spiega Giorgia di EY. “Alla fine, anche se può essere un lavoro stressante, c’è tanta collaborazione tra di noi”.
Stefano di Deloitte spiega: “La vedo come un’esperienza utile come trampolino di lancio, ma non vorrei fare questo per tutta la vita. Ho sentito le lamentele di diverse persone nel corso degli anni, amici e colleghi, ma il team in cui capiti è decisivo nel decretare il tipo di esperienza che farai nell’azienda. Nel mio non ho mai sentito pressione nel dover lavorare oltre le 18, ma se questo dovesse cambiare nel tempo, probabilmente me ne andrei”.
Trattenere i talenti non sembra figurare tra le priorità delle big four. L’importante è il ricambio di personale, che si assicurano tramite una serie di benefici e pratiche di management che rendono l’accesso al loro mondo quasi un privilegio. Dentro il nuovo da torchiare, fuori il vecchio che non funziona come richiesto, e avanti chi è disposto al sacrificio e alla competizione, talvolta estremi. La logica di un tritacarne di lusso.
Sebbene possa sembrare che lavorare per una delle big four sia la chiave per un futuro brillante, è importante domandarsi se sia questo il modello di lavoro che vogliamo promuovere, per il presente e per il futuro.
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Photo credits: altreconomia.it