“Se la domanda è: Milano è il lavoro?, io sono leggermente controcorrente; sì, ma dipende che tipo di lavoro intendiamo, e a patto che il lavoro non sia Milano, che a Milano la vita non sia solo lavoro, e che le modalità di lavorare non siano solo un’associazione con la resa professionale.”
Yahya Sergio Yahe Pallavicini di mestiere fa l’imam, o come dice lui “gestisco l’anima dei credenti, e mi trovo a interagire con anime che sono ossessionate dalla resa produttiva, dalla psicosi o dal disagio lavorativi, dove sembra che vengano giudicati musulmani o non musulmani, italiani o meno. Il lavoro nobilita l’uomo, può essere parte degli atti di adorazione, ma non può essere la vita, e non può essere inteso solo come produttività”.
Poi provoca: “Se il successo lavorativo diventa il fine ultimo della vita umana si trasforma in fondamentalismo, mentre il lavoro è uno strumento di verifica interiore, e di sopravvivenza. Un cittadino, un lavoratore, deve tendere alla possibilità di realizzare l’uomo universale”.
Il pubblico rumoreggia, interviene, fa domande: la città vuole parlare di se stessa al di fuori dalla propaganda di una Milano bevuta fino all’ultima goccia. Non c’è tempo per ascoltare tutti, men che meno per rispondergli. L’impressione però è che il discorso sia agli esordi, e che ormai si tenga in tutte le stanze del lavoro, quelle in cui si pigiano i bottoni e quelle in cui si girano i cacciaviti.
Uno spiraglio sul domani lo apre l’imam Pallavicini citando una delle categorie di lavoratori più bistrattate del nuovo millennio, che proprio a Milano ha gettato le basi della sua dubbia fortuna.
“La nostra moschea centrale, in via Meda, vicino all’auditorium, ospita per un terzo dei rider; un terzo di persone parcheggia lì la bici e viene a pregare il venerdì dall’una e mezza alle due e mezza, cioè l’orario in cui sarebbe più attivo. I rider in quell’ora o sono tutti disobbedienti, o stanno rinunciando a lavorare e al salario per fare una pausa e venire a pregare.”
Se la salvezza del lavoro venisse dalla religione, Allah sarebbe grande per davvero.
L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.
Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.
Sottoscrivi SenzaFiltro
In copertina: foto di Domenico Grossi dal Festival Nobìlita 2024