Staff housing per il turismo: il Governo compra casa a Confindustria?

Il Consiglio dei Ministri approva il Piano Casa per il turismo, con lo stanziamento di 120 milioni in tre anni per gli alloggi dei lavoratori stagionali: un assist alle imprese del settore e una seconda concessione alle richieste della Confindustria di Emanuele Orsini, a spese dei contribuenti. E altri ne seguiranno

30.06.2025
Staff housing, l'assist immobiliare del Governo a Confindustria: nella foto, Meloni e Orsini si stringono la mano

Nel Paese in cui le si pensano tutte pur di non innalzare i salari, l’ultima trovata è della ministra del Turismo Daniela Santanché: un fondo per gli alloggi destinati a chi lavora nel turismo, in particolare per gli stagionali. Volendolo semplificare, la summer edition del Piano Casa tanto caro alla Confindustria di Emanuele Orsini.

Il Consiglio dei ministri ha stanziato 44 milioni già per il 2025 per questa misura; nello specifico, 22 milioni serviranno per la parte di investimento, cioè per la costruzione e la ristrutturazione delle case, oltre che per l’efficientamento energetico. Gli altri 22 milioni, invece, serviranno per garantire i costi per gli affitti a favore dei lavoratori. Nel complesso, lo stanziamento è da 120 milioni nel triennio; la norma per il momento è riservata al turismo, ma non sfugge un dettaglio: anche le imprese industriali del Nord Italia chiedono da tempo una simile misura e con la scorsa legge di bilancio ne avevano già ricevuto un primo assaggio, cioè la defiscalizzazione dei rimborsi alloggio offerti ai dipendenti “emigrati”.

Sembra quindi che questo “esperimento” si inserisca in un solco già tracciato e possa fare da apripista verso ulteriori provvedimenti, e che sarà utilizzato per questioni che andranno ben oltre quella della stagionalità.

Il turismo piange ancora carenza di manodopera: dopo il RdC, adesso è colpa degli affitti

Partiamo dal contesto, tornando al turismo. Negli ultimi anni, albergatori e ristoratori delle maggiori mete turistiche italiane hanno lamentato una carenza di manodopera, in particolar modo stagionale. Per cinque anni hanno individuato il capro espiatorio nel Reddito di Cittadinanza: “Prendono soldi dallo Stato per non lavorare e rifiutano le nostre offerte”, dicevano. Il piagnisteo a reti unificate ha contribuito alla cancellazione dello strumento anti-povertà, che da gennaio 2024 – per volere del governo Meloni – è stato sostituito dall’Assegno di Inclusione, che raggiunge una platea pari alla metà di quella aiutata con il RdC.

L’alibi è sparito, ma la difficoltà di reperimento di personale è ancora reale, semmai aggravata. In realtà, la carenza di manodopera era (ed è) figlia di diversi fattori. Uno è quello demografico: solo come esempio, nel 2015 avevamo 13,5 milioni di persone nella fascia di età tra i 15 anni (minimo per poter lavorare) e i 35 anni; oggi in quell’intervallo ne abbiamo 700.000 in meno. I giovani sono sempre meno, il che riduce la possibilità di trovare lavoratori stagionali.

Il secondo motivo, forse ancora più importante ed evidente a tutti, è nei salari offerti dal settore ricettivo e della ristorazione, che occupano gli ultimi posti della classifica delle retribuzioni insieme alla vigilanza e pochi altri settori. Questo fattore va sommato a un altro ancora: spesso i lavoratori stagionali sono costretti a spostarsi nelle località turistiche, e questo li porta a dover trovare un alloggio.

Qui subentra un clamoroso cortocircuito: la straordinaria espansione del turismo, negli ultimi dieci anni, ha avuto una conseguenza sul mercato immobiliare. I proprietari di seconde case hanno gradualmente trasformato in bed and breakfast i loro alloggi, riducendo l’offerta di quelli a medio e lungo termine, meno redditizi e più soggetti al rischio di morosità, i quali hanno quindi subito un aumento di prezzi – una dinamica che si vede tanto nelle città universitarie quanto nei piccoli centri interessati dal fenomeno dell’overtourism. A essere penalizzati sono i residenti, che subiscono un aumento del costo degli affitti.

Proprio per questo stanno nascendo movimenti in molte città italiane ed europee: da noi, per esempio, esiste il Social Forum Abitare, che insiste molto su questo argomento, mentre a Barcellona si è assistito ad atti di boicottaggio simbolico contro i turisti (probabilmente le vittime sbagliate).

Il Piano Casa per il turismo evita che le imprese aumentino i salari (a spese di tutti)

Ricapitolando. Ora il Reddito di Cittadinanza non si può più incolpare, quindi le imprese del turismo (e non solo) hanno lanciato il problema del caro-affitti, e il governo Meloni – che pure negli anni passati aveva definanziato il fondo affitti e morosità incolpevole – ha risposto con una misura che, per quanto non ricchissima nello stanziamento, nei contenuti accontenta del tutto la richiesta delle imprese turistiche.

È curioso notare come le aziende alberghiere non abbiano la possibilità di ricavare spazi nelle loro strutture a favore dei lavoratori stessi. Ma, più in generale, la domanda che diversi osservatori si sono posti è questa: è giusto che questi costi ricadano sulla collettività e non sulle aziende, che anche grazie a questo realizzeranno profitti? Evidentemente sì – secondo il Governo.

In buona sostanza, l’Esecutivo sta creando un (ennesimo) disincentivo all’aumento dei salari. Oggi gli stipendi offerti dal turismo restano molto bassi sia come retribuzioni orarie sia in quanto riferiti a impieghi stagionali, quindi precari e discontinui. L’unico modo per rendere questi lavori di nuovo attrattivi sarebbe aumentare le buste paga, per far sì che garantiscano anche i costi degli alloggi per i lavoratori.

In effetti, a parte la “timidezza” di queste imprese – spesso molto piccole – c’è il problema dello scarso valore aggiunto del settore. Non stiamo parlando di attività particolarmente produttive, ma di un comparto che spesso galleggia grazie alla contrazione del costo del lavoro e, nel peggiore dei casi, ricorrendo alle irregolarità: turni oltre le previsioni contrattuali, straordinari non pagati, buste paga nere o grigie. Senza l’ulteriore mano dello Stato sarebbe ancora più difficile reggere la baracca, per restare in tema.

L’imposta di soggiorno oltre il miliardo nel 2025: perché non si usa quella?

Eppure, una fonte di finanziamento pubblico esclusiva per il settore turistico esisterebbe: è l’imposta di soggiorno, un tributo – massimo pochi euro a notte – che i Comuni possono prevedere a carico dei turisti stessi. Si tratta di una tassa che spesso fa storcere il naso alle strutture ricettive, poiché le costringe ad alzare i prezzi e ad aumentare gli adempimenti burocratici per versarla. A dire il vero, è azzardato pensare che questo abbia un’influenza sulla curva di domanda: è proprio difficile che una famiglia rinunci a una vacanza per pochi euro in più.

Inoltre, a fronte di questo piccolo onere, il settore turistico ha un chiaro vantaggio: tutto il gettito, infatti, deve essere investito dai Comuni a favore del turismo stesso, in particolar modo sotto forma di servizi per le strutture ricettive. Si tratta, in pratica, di una imposta di scopo con cui si possono “finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.

Secondo la società di consulenza JFC, nel 2024 gli introiti dell’imposta di soggiorno sono stati pari a 976 milioni e nel 2025 supereranno il miliardo. Sul piano tecnico, quindi, sarebbe un po’ difficile dirottare queste risorse su politiche abitative, e se anche si potesse farlo, con ogni probabilità le imprese turistiche non vorrebbero privarsi di un’ulteriore fonte di finanziamento.

Orsini e le richieste di Confindustria, il Governo ha già ceduto due volte

Anche perché, come si diceva in apertura, il tema della casa è in generale uno di quelli che più di tutti vede in questo momento sensibile il nostro sistema di imprese, non solo nel turismo. Sin dal suo insediamento, il presidente della Confindustria Emanuele Orsini insiste su questo aspetto, facendo propria una rivendicazione che già negli anni precedenti veniva avanzata in particolare dalle industrie del Nord Est. Anche su questo la reattività del governo Meloni è stata notevole: già nella legge di Bilancio, infatti, è stata introdotta la detassazione delle somme erogate dalle imprese a titolo di rimborso per le spese di affitto ai dipendenti.

Il decalogo di richieste confindustriali, però, non è mai corto, e infatti contiene altre istanze: semplificazioni sul piano urbanistico, messa a disposizione di immobili sfitti da parte di enti pubblici, strumenti di garanzia (pubblica) per attrarre investitori privati, incentivi per casse professionali e fondi pensione, sconti IMU per chi affitta a lavoratori, misure di tutela contro il rischio di morosità.

Insomma, la Confindustria non si accontenta di una detassazione, vuole un pacchetto completo. Il Piano Casa appena approvato per il turismo potrebbe essere il secondo accoglimento delle richieste delle imprese; di certo non l’ultimo. Anche perché, quando qualcuno viene trattato bene, finisce che ci si abitua e alza le pretese.

 

 

 

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Photo credits: primaonline.it

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