Quando abitavo in centro città, ero solito fare colazione in un bar vicino casa, dove spendevo sempre un po’ di tempo, leggendo il giornale, e sempre alla stessa ora, scarto di massimo un minuto, entrava un signore, ben vestito, con una cartellina nera sottobraccio. Non saprei dire che lavoro facesse, potrei tentare di indovinare ma non […]
Airbnb non è più la ragazza acqua e sapone della porta accanto
Con l’intesa tra Liguria e Airbnb per l’utilizzo delle case vacanze, in questi giorni, in Italia si assiste al primo accordo commerciale con l’app che ha fatto più discutere nel 2016. La piattaforma di sharing economy, nata nel 2008 per permettere ai privati di condividere degli spazi casalinghi a un ospite, metterà a disposizione della Liguria […]
Con l’intesa tra Liguria e Airbnb per l’utilizzo delle case vacanze, in questi giorni, in Italia si assiste al primo accordo commerciale con l’app che ha fatto più discutere nel 2016.
La piattaforma di sharing economy, nata nel 2008 per permettere ai privati di condividere degli spazi casalinghi a un ospite, metterà a disposizione della Liguria i dati aggregati sulla presenza di turisti presso gli host del sito e fornirà loro tutte le informazioni diffuse dalla Regione alle proprie strutture turistiche. “L’intesa – ha spiegato l’assessore regionale al Turismo, Giovanni Berrino – ha anche lo scopo di rendere trasparenti le procedure che regolano le attività delle strutture ricettive e l’affitto degli appartamenti”. In base all’accordo, Airbnb coinvolgerà quindi i suoi host in campagne promozionali sul territorio ligure.
Nel 2015, Airbnb ha ospitato in Italia qualcosa come 3 milioni e mezzo di turisti. Analogamente alla guerra che ha contrapposto Uber ai taxisti, però, anche questo servizio è stato messo sotto accusa in molte città del nostro Paese: il problema è la commistione tra affittacamere professionisti, agenzie, bed and breakfast e privati, definita di recente come una vera e propria degenerazione della sharing economy nel turismo.
Al caso si è interessato anche Wired, subito dopo la regolamentazione di Amsterdam relativamente agli abusi degli affitti tramite la piattaforma di sharing economy che il Comune ha denunciato. Altre città, come Berlino, Parigi e New York, si sono mosse nella stessa direzione quest’anno, segnando definitivamente il 2016 come l’anno di passaggio da “con” a “contro-Airbnb” per via della speculazione sugli affitti a cui si assiste, con giri di affari vertiginosi non sottoposti ad alcuna tassazione.
Come fare buoni affari su Airbnb
Lanciato con l’immagine simbolo del materassino gonfiabile in salotto, per permettere appunto che un ospite potesse appoggiarsi provvisoriamente in casa contribuendo con un piccolo sforzo alla spesa familiare, Airbnb si è evoluta molto velocemente trasformandosi nell’immagine simbolo della sharing economy, nonché del potere che ha oggi una piattaforma digitale nella creazione di nuovo lavoro e nuova ricchezza.
Ma a quale costo tutto ciò potesse accadere non era perfettamente chiaro finché non è scoppiata la guerra ai soldi facili, frutto di speculazione sulla disponibilità degli appartamenti in affitto che ha cambiato moltissimo l’intero mercato immobiliare. Grazie ad Airbnb oggi è facile trovare stupendi appartamenti affrescati che danno sul Duomo di Firenze per un romantico weekend, o vivere per qualche tempo a Piazza Colonna a Roma in case di 100 metri quadrati, ben ristrutturate e a poco prezzo o, ancora, passare qualche giorno in un loft su Piazza Galvani a Bologna senza spendere cifre esorbitanti.
Il testo unico del turismo di cui sta discutendo il consiglio regionale della Toscana, per esempio, prevede, all’articolo 71, che“i proprietari e gli usufruttuari che danno in locazione uno o più alloggi per finalità turistiche, senza la fornitura dei servizi accessori o complementari propri delle strutture ricettive extra-alberghiere, con contratti che nel corso dell’anno solare abbiano in prevalenza durata singola inferiore a sette giorni e complessiva superiore a novanta giorni, gestiscono i predetti alloggi in forma imprenditoriale”. In sostanza, chi affitta un appartamento per più di tre mesi l’anno non sarebbe più considerato un affittuario occasionale, ma si delinea un business. All’articolo successivo, quello più esplicito sulla sharing economy, si legge che “non costituisce locazione a fini turistici l’offerta di alloggio a finalità turistiche senza corrispettivo monetario, in cambio della fruizione dell’alloggio nella disponibilità dell’ospitato, nell’ambito dell’economia della condivisione (sharing economy)”.
Airbnb, di fronte ai toni accusatori della ricerca di regole, si difende spiegando che “il 97% del valore di ogni notte prenotata attraverso Airbnb in Italia resta all’host. Airbnb oggi rappresenta un’importante risorsa di integrazione al reddito per la classe media”. “Le regole ci sono, semmai è difficile rispettarle – aggiunge la società -. I recenti accordi con le municipalità di Amsterdam e Londra sono frutto di un dialogo costruttivo”.
Per questo, secondo la compagnia, “In Italia non ha senso porre ulteriori limiti all’esercizio del diritto di proprietà senza prima alleggerire le incombenze ad oggi esistenti. Se una persona decide di affittare anche solo per un giorno, deve parlare con fino a quattro interlocutori diversi: la Questura, per registrare gli ospiti; il Comune, per la tassa di soggiorno; le Province, per i flussi turistici; la Regione, per comunicare chi sei. Il protocollo di intesa firmato con la città di Firenze nel 2016 rappresenta un buon esempio sulla strada della semplificazione”.
Valutando anche un altro aspetto connesso al successo di Airbnb, occorre sottolineare il punto di vista del cliente, cioè di chi usufruisce del servizio Airbnb perché ne ha realmente bisogno: nessun business esiste senza la domanda di mercato e quella della sharing economy è molto forte, ecco perché la ricerca di regole, soprattutto da parte del Pubblico, non è intuitivamente la guerra giusta da combattere se si vuole riequilibrare il mercato immobiliare. A parità di prezzi, infatti, nessun albergo oggi offrirebbe un trattamento simile, né negli spazi, né delle tariffe e quindi, a conti fatti, prendere un appartamento con Airbnb oggi è sempre e comunque più conveniente che prendere una camera in un b&b o anche in un piccolo hotel a tre stelle quando si viaggia per lavoro o per piacere. Probabilmente vale la pena riflettere su altre variabili che spiegano la funzione crescente del trend in analisi: dopo il crollo dei titoli immobiliari a partire dal 2007, fino a oggi non è stato possibile rivalutare adeguatamente né la qualità né il valore economico delle case, galeotta anche la speculazione del cemento di ben più vecchia data, così molte persone hanno smesso di fare affari con la loro compravendita, riversando esigenze di liquidità in servizi di affitti temporaneo come quello del tipico Bed&Breakfast oppure quello più recente messo a disposizione da Airbnb. Certo l’impatto stimabile, in questo senso, cambia completamente perché l’osservazione non dovrà essere fatta più sul lungo ma sul breve periodo, con significative conseguenze sull’economia di interi decenni.
L’impatto del business Airbnb sul mercato immobiliare
Non tutto, però, è altrettanto luminoso. Il rovescio della medaglia, infatti, è l‘impossibilità oggi di trovare in una qualsiasi città italiana un appartamento in affitto tramite privati, intermediari e agenzie: non esiste più alcuna casa decentemente mantenuta che sia messa in affitto a un prezzo proporzionato; non esiste un luogo in cui abitare che sia raggiungibile con i mezzi; non esiste un proprietario di casa che sia disposto ad affittare il proprio immobile a 600, 800, 1000 euro al mese quando può guadagnare la stessa cifra in sei giorni mettendolo in affitto transitorio su Airbnb, moltiplicando i guadagni di molti zeri in un solo anno, senza dichiarare e pagare tassa alcuna sui profitti ottenuti.
Grazie a questa logica, inoltre, molti privati hanno iniziato ad acquistare appartamenti e ristrutturarli in quello che è diventato “lo stile Airbnb”, cioè il total white di mobilio, divani e pareti, proprio per metterli poi in affitto sulla piattaforma. Molti di essi hanno addirittura assunto degli assistenti che, nella figura di host, accolgono, accompagnano e restano a disposizione dell’ospite di turno per tutto il tempo, facendo di questa nuova forma di ospitalità un vero e proprio mestiere.
Anche se,attraverso le nuove regolamentazioni Airbnb controllerà che nessun host metta in affitto più di un appartamento, è abbastanza intuitivo immaginare come si possa aggirare questa norma, aprendo molti nuovi account come host su Airbnb e facendo affittare da mogli, fratelli e amici i propri appartamenti, continuando indisturbati il proprio business.
I dati sui cattivi affari di Airbnb in Italia e nel mondo
Secondo dati del gruppo, nel 2015 Airbnb ha generato in Italia un volume d’affari di 3,4 miliardi di euro.
Airbnb sta andando oltre la sua promessa originaria, di essere cioè una piattaforma per la classe media. Sta diventando sempre più professionale, sempre più simile a quelle catene alberghiere che vorrebbe combattere. Da un certo punto di vista è logico: ha annunci per 2,5 milioni di proprietà in 191 paesi, con un milione di ospiti ogni giorno. L’azienda si fa ancora forte del suo impegno a migliorare la vita delle persone comuni, ma quest’idea sembra sempre più lontana man mano che si moltiplicano gli imperativi aziendali.
È probabile che un’offerta pubblica iniziale abbia accelerato questa trasformazione e che sia alla base delle concessioni che Airbnb ha fatto di recente. Ma questi accordi non sono necessari solo per la borsa: il fatto che le attività dell’azienda si svolgano in una zona legale “grigia”, la minaccia di multe o di conseguenze penali potrebbero ridurre l’interesse dei proprietari nei confronti dell’azienda” scrive Alison Griswold su Quartz commentando questi numeri.
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