Alfredo Zini e ristorazione in crisi: “Non possiamo essere associati a McDonald’s e Autogrill”

Riaprire o non riaprire? Quasi che Shakespeare avesse riaggiornato il suo dilemma per i ristoratori italiani. Lo dico subito in premessa così da tracciare la linea che mi interessava quando ho contattato Alfredo Zini per intervistarlo: il livello qualitativo medio della ristorazione italiana era sfuggito di mano già da tempo e ora che il Covid […]

Riaprire o non riaprire? Quasi che Shakespeare avesse riaggiornato il suo dilemma per i ristoratori italiani.

Lo dico subito in premessa così da tracciare la linea che mi interessava quando ho contattato Alfredo Zini per intervistarlo: il livello qualitativo medio della ristorazione italiana era sfuggito di mano già da tempo e ora che il Covid ha riazzerato il settore, immobilizzandolo, c’è da andarci piano nel dire che debba tornare come prima.

Raggiungo Zini al telefono dopo aver chiesto il nome di un ristoratore lucido, saggio e combattivo ad Alberto Schieppati, mio maestro di giornalismo enogastronomico per schiena dritta e sensi accesi. Sono passati pochi giorni dalla presa di posizione del movimento #iorestoaperto del 15 gennaio quando ci sentiamo. “Molti colleghi si sono arrabbiati. Parecchi hanno supportato l’iniziativa ma se poi il restare aperto diventa un rituale che prosegue, è ovvio che si sfora l’abusivismo e si lede il commercio e il rispetto dei colleghi più ligi. Rispettare le regole per me è la base del lavoro e del fare impresa. Il rischio è che dentro certe polemiche finiscono poi per alzare la voce posizioni politiche che arrivano da tutt’altra parte, in questo caso molti no vax hanno cavalcato l’onda delle riaperture forzate”.

Alfredo Zini davanti al suo ristorante (Photo credits: Tg3 Rai)

Zini: “Ora il rischio è l’abusivismo”

“Al Tronco” è il ristorante in cui la sua famiglia lavora da quattro generazioni, a Milano lo conoscono tutti, e Zini ha chiaro il mondo della ristorazione perché lo conosce da tanti anni e da più prospettive grazie ad anni di cariche in Camera di Commercio e alla ex presidenza nell’Ente bilaterale del turismo. Attualmente è il Presidente del Club Imprese Storiche di Confcommercio e consigliere di Fondazione Fiera Milano. Ed è pure giornalista. “Multe ai ristoranti e locali pubblici ribelli sono fioccate e per fortuna continuano ad esserci. Ma come fai poi a sostenere la protesta chiedendo supporto ai media se sei il primo che viola le regole? Noi come categoria protestiamo con forza da un anno e continueremo a farlo nelle sedi giuste per portare beneficio a tutti”. 

Fare bene il ristoratore non è solo saper gestire bene una cucina e una brigata e il 2020 ha fatto luce proprio nel punto debole del settore: il lato imprenditoriale e manageriale, spesso assente quando non improvvisato. Cosa consigliare operativamente a colleghi in difficoltà è la prima cosa che gli chiedo. “La prima cosa è mettersi a tavolino e contare veramente le spese. Vedo che molti si stanno buttando di getto sul delivery e sull’asporto senza aver fatto conti ben precisi. È vero che i ristori sono stati pochissimi, e per chi ha l’affitto sono ancora meno sufficienti, ma tu devi metterti lì e dire: di spese ho questo, di ristori ho questo, e questi sono i costi che posso sostenere coi ristori. Partire da un gesto così semplice può fare una prima grande differenza eppure molti si sono rimessi in moto alla cieca. Senza dimenticare i costi fissi di energia elettrica e gas e, se non sei a gestione familiare, devi considerare anche il costo alto del personale perché lo devi prima o poi far rientrare dalla cassa integrazione”.

Ristorazione e riaperture: la parola d’ordine è diversificare

Maneggiare con cura la parola ristorazione è il secondo campo minato su cui lo porto perché l’altra grande luce accesa dall’emergenza economica batte sulle troppe e diverse fisionomie che vengono messe sotto l’ombrello, livellando esigenze e problemi. “Mai come adesso serve diversificare con attenzione se si parla di riaperture perché le fisionomie della ristorazione sono infinite e la confusione regna sovrana da quando sono state tolte le tipologie. Oggi c’è una licenza unica di somministrazione: tavola calda o tavola fredda, e con la prima puoi fare tutto. Manca totalmente un marchio di qualità capace di riconoscere il valore della cucina italiana, si sono visti negli anni progetti in ordine sparso anche da parte delle associazioni di categoria ma non si è mai andati verso un convergenza che facesse chiarezza. Chiarezza di identità anche in relazione al tipo di spazio e servizio che il locale offre oltre che al tipo di menù e di offerta dei prodotti. Per assurdo è molto più vicino a me un agriturismo, se fatto nel rispetto dei canoni dell’agriturismo, che non Autogrill; eppure io e Autogrill siamo considerati alla stessa maniera, così come io e McDonald’s siamo la stessa cosa secondo la politica, le istituzioni, i codici”.

Diversificare è il verbo che usa più spesso mentre parliamo. Lo usa con la stessa urgenza con cui un padre ricorda al figlio che è l’ultima volta che gliela fa passare per buona e che non ne può più. 

I contratti di lavoro che tengono in piedi il settore sono l’ennesima conferma dello stato confusionale.  “Quando tu metti in un contratto del turismo le parti speciali che riguardano la ristorazione, devi per forza diversificare quelle che sono le specificità; soprattutto adesso, in un mondo che è cambiato radicalmente dal 2020 e dove quella che chiamiamo ristorazione industriale o collettiva – gli Autogrill e McDonald’s del caso – ha esigenze e ritmi di turnazione opposti rispetto ai nostri. A noi ristoratori piccoli serve una flessibilità – oltre che una riduzione del costo del lavoro sul piano contributivo – che ci permetta di prendere personale anche a spot. Io oggi come faccio a riaprire assumendo cinque persone se non so nemmeno cosa succederà nelle prossime settimane con l’andamento dell’emergenza? Se li assumo diventa poi un problema licenziarli se non ho la giusta copertura economica e il rischio è offrire un servizio scadente a tutti, dai collaboratori ai clienti. Bisogna che ci facciano gestire il personale a tempo determinato o ci facciano tornare ai voucher e anche qui sottintendo sempre il piano della legalità e del rispetto delle regole, così come invito magari anche ad alzare il valore del voucher fino a 15 euro l’ora; coi voucher più flessibili da dare ai collaboratori – e senza fissare un limite temporale di durata – loro si pagano poi i contributi e l’Inail e tutto il resto, lo Stato incassa la sua parte contributiva, il lavoratore è garantito e tutelato e anche l’impresa riesce a pianificare tutto in modo più sostenibile. L’alternativa, lo sanno tutti e pure lo Stato, è tenere aperta la porta al lavoro nero con tutto ciò che comporta in ricaduta di scarsa qualità che va dalla cultura del lavoro al servizio offerto ai clienti. Per non parlare dell’abuso di manodopera dalle scuole alberghiere sfruttando il fatto che tanto ai ragazzi fa curriculum mentre i ristoratori forzano la mano”.

Sfruttiamo la pec, lo spid, il digitale: serve flessibilità

Zini è cristallino nel suo appello: ora o mai più servono strumenti nuovi che regolino il contratto di lavoro nel suo settore e forme di comunicazione più agili e flessibili che sfruttino il digitale in velocità. “Con tutte queste poste certificate e spid, perché non ci mettete in condizione di chiamare un collaboratore dalla mattina alla sera e certificarvelo in tempo reale? Ripeto: voucher e contratto a chiamata sono le due strade possibili, legali e in grado di garantire il controllo perché ho risposto a monte all’obbligo di comunicazione. E le sanzioni in questo senso sarebbero rispettabilissime se l’imprenditore non assolve correttamente ai suoi doveri”.

Micro imprese, per lo più a gestione familiare, sono l’asse portante che regge in Italia la ristorazione intesa come pura, tradizionale, di qualità. Rendere snelle procedure interne per eventuali sostituzioni dell’ultimo minuto – il familiare che si ammala o l’imprevisto in famiglia – sarebbe già un ristoro degno del suo nome. Il tutto, come ripete a oltranza Zini, sempre nel rispetto della legalità e uscendo dall’imbuto che strozza i medesimi criteri operativi sia per la piccola trattoria di provincia che per l’immenso fast food. “Visto che alla burocrazia piacciono tanto i codici Ateco, ne facciano allora di corretti per diversificare le attività in base alla valorizzazione del territorio e del prodotto. Cominciamo a dare una premialità e non importa se a farlo sono le Regioni o le associazioni di categoria o le Camere di commercio”.

Le cose da fare sono tante, più lo ascolto e più mi aiuta a capire i nodi stretti. E non mi sembra così complesso da mettere in atto quanto suggerisce Alfredo Zini con un misto di senso pratico e buon senso. C’è solo un limite: la presunzione dell’italiano e l’approccio individualista del genio in cucina. “Un po’ hai ragione. Il nostro è un lavoro dove tutti pensano di essere un po’ artisti, tutti con la propria presunzione di bravura e la propria voglia di mettersi in mostra. Adesso però serve fare corpo unico sulle norme e farlo insieme da nord a sud: stesso mercato, stesse regole. Sennò anche il genio italiano va a farsi friggere”. 

La cucina che scade

Infine, le scadenze. Che non sono solo quelle fiscali, dei canoni di locazione o delle rate di mutuo ormai imminenti ma le scadenze dei prodotti in giacenza nei magazzini e nelle cucina. Pochi giorni fa è stato lo stesso Alfredo Zini a farsi portavoce della manifestazione “Basta, siamo stremati”, protesta organizzata da Ristoratori milanesi e Pubblici Esercizi milanesi. Li ha ricevuti il Prefetto Renato Saccone al quale hanno portato non poche ceste di vimini piene di alimenti scaduti nel 2020 dentro i loro locali. “Il prefetto – ha spiegato Alfredo Zini – cercherà di fare pressione per quanto di sua competenza e ci ha detto di ricordare che stanno facendo controlli e che stanno dando sanzioni anche ai clienti dei ristoratori che hanno deciso di aprire comunque”.

C’è tanto da fare, purché sia legale.

Foto di copertina con Alfredo Zini sulla destra: Ansa, Matteo Corner.


Qui per recuperare la puntata con Alfredo Zini ospite di Chiacchiere da bar, la rubrica di approfondimento in diretta video di SenzaFiltro: “Ristoranti e pandemia: il menù della crisi”.

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