I media tradizionali continuano a rilanciare notizie false su giovani che non avrebbero voglia di lavorare. Neanche i giornalisti ne sono immuni?
Operatori dell’audiovisivo, invisibili e inascoltati
Gli italiani sono abituati al racconto delle proteste di qualsiasi tipologia di lavoratore e sindacato. Ma chi parla dei problemi affrontati da decenni dal mercato editoriale e televisivo, del precariato, dei licenziamenti, dei compensi minimali e insufficienti, dei diritti dei lavoratori e della tutela delle loro garanzie? Nessuno se non, con immensa fatica, gli stessi […]
Gli italiani sono abituati al racconto delle proteste di qualsiasi tipologia di lavoratore e sindacato. Ma chi parla dei problemi affrontati da decenni dal mercato editoriale e televisivo, del precariato, dei licenziamenti, dei compensi minimali e insufficienti, dei diritti dei lavoratori e della tutela delle loro garanzie? Nessuno se non, con immensa fatica, gli stessi giornalisti e lavoratori del settore audiovisivo, attraverso la diffusione di note stampa e iniziative sindacali.
Operatori allo sbaraglio. Il ruolo di A.S.A. nel protocollo di sicurezza per l’emergenza sanitaria
Dal 2014 esiste l’A.S.A. (Autonomo Sindacato Audiovisivi), che dà voce ai diritti dei lavoratori del settore, messo ancor più a dura prova dall’emergenza sanitaria da COVID-19, che ha costretto ad adottare nuove regole per lo svolgimento della professione: il “distanziamento sociale”, in questo caso “tecnico”, adottando anche talune accortezze sul campo. A guanti, mascherine e disinfettanti si è aggiunto anche il divieto dell’uso di microfoni lavalier, sostituiti da radiomicrofoni montati su boom (aste lunghe abbastanza da garantire la qualità del suono senza mettere a rischio la salute di coloro che partecipano alla ripresa video).
Come spiega il cameraman Simone Mallucci in una testimonianza video curata da Fabrizio Rostelli per l’A.S.A.: “Il nostro lavoro, in tempi di pandemia, è cambiato. Mentre prima un politico era circondato da una trentina di persone tra cameramen, giornalisti, fonici e fotografi, oggi, non è più possibile farlo. Noi lavoriamo a stretto contatto con le persone, gomito a gomito. Inizialmente, vista anche la leggerezza dei provvedimenti presi dal governo, siamo stati mandati allo sbaraglio perché, fin dai primissimi tempi in cui si parlava di coronavirus, su 10-20 troupe nessuno aveva guanti e mascherine, né l’asta per il microfono, il boom, che permette di prendere la voce a una distanza di sicurezza (1 metro, 1 metro e mezzo). Non era giusto metterci in difficoltà, a rischio di contrarre questo virus e portarlo nelle nostre case. Grazie all’A.S.A e ai dirigenti delle testate televisive abbiamo raggiunto un accordo sul protocollo di sicurezza da seguire durante il nostro lavoro, per lo svolgimento della nostra professione: distanze e accessori protettivi come guanti, mascherine, disinfettanti”.
Ed è proprio all’alba della pandemia, quando ancora si era impreparati ad affrontare il “nemico invisibile”, che gli audiovisivi hanno perso i colleghi Flavio Marinoni, videoreporter, e Paolo Micai, giornalista e cineoperatore, così come racconta in Quelli della troupe il portavoce A.S.A. Günther Pariboni: un vero e proprio documento, una testimonianza dal fronte di coloro che stanno sempre in prima linea ma che sono trattati da invisibili.
Il D. Lgs. 81/2008 art. 44 in merito ai diritti dei lavoratori recita: “Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”. Nonostante le direttive da applicare sul campo, in taluni casi si sono verificati episodi di assembramento: Ponte di Genova e Silvia Romano su tutti, così come si vede nel collage di foto sulla fanpage del sindacato e come racconta nell’intervista il portavoce A.S.A.
Maestranze tecniche: trasparenza e dissolvenza della professione
“Prendi una telecamera e filma qualcosa. Non importa quanto questa cosa sia piccola, non importa quanto sia banale, non importa se i protagonisti saranno i tuoi amici o tua sorella. A quel punto, fa’ una cosa: metti il tuo nome sul tuo lavoro. Fatto? Bene, ora sei un regista. Da lì in poi, dovrai solo negoziare il tuo budget e la tua paga”, dice il regista James Cameron. Ma non è così, o almeno non per tutti, in Italia.
Siamo abituati a vedere la firma dei giornalisti, montatori, operatori video sui servizi, e di chi partecipa alla produzione di un programma televisivo nei titoli di coda, ma si tratta di nomi e cognomi di lavoratori interni. Tutto cambia nel caso delle maestranze tecniche esterne, ovvero in appalto. Eppure sono una colonna portante che permette al sistema cine-televisivo di entrare nelle case degli italiani, anche all’estero.
Per maestranze tecniche si intendono i fonici, gli operatori videomaker-cameramen, i montatori/montaggisti, i grafici, gli ottimizzatori, i tecnici di alta frequenza, e tutti coloro che permettono di andare in onda. Professionalità diverse, con mansioni distinte, che compongono una troupe. In studio così come in esterna, per la strada realizzando collegamenti, inviati sul campo, in presa diretta o meno, il più delle volte per i tg, per i programmi di attualità o per i talk politici, e che devono essere pronti, in condizioni di necessità e di contrazione di organico, a essere un’unica figura operativa tra produzione audiovisiva, coordinamento e regia della messa in onda.
A questa “trasparenza” si aggiunge anche il rapporto tra domanda e offerta di mercato alterato dai periodi di recessione e dalla svendita della professione: “Una professione che prevede competenze abbastanza specifiche: è uno stile di vita, il tecnico televisivo. Noi siamo il perno della televisione, forse il perno della comunicazione stessa, lo Stato non si può ricordare di noi solo per le tasse, non siamo spugne da cui attingere soldi, ma professionisti da rispettare”, spiega Pariboni, che racconta le criticità che il settore sta affrontando da lungo tempo ne Il salato pane del cameraman.
Una professionalità messa in difficoltà anche dall’evoluzione tecnologica, che permette di fare riprese alla portata di tutti con apparecchiature compatte e automatiche senza aver studi specialistici alle spalle o gavetta professionale accertata. Il portavoce spiega: “Avere una telecamera non significa essere un cameraman, avere un computer non vuol dire essere un montatore. Tanta gente si immette in questo mercato deprezzandosi, e di conseguenza facendo deprezzare anche noi”.
Le proposte di A.S.A.: diritto di firma, albo professionale, rinnovo del contratto audiovisivi
Dal 2014, oltre a giornate di sciopero e partecipazione a manifestazioni in piazza (come il BlackBroadcastFriday), sono molte le iniziative che l’A.S.A. ha messo in campo alla luce delle varie criticità che il settore dell’audiovisivo vive da molti anni.
Ai fini del riconoscimento della professione si lavora a un incontro con le istituzioni e alla proposta della creazione di un albo professionale, ma ancora prima al diritto di firma per i service di produzioni televisive in appalto. Si legge nero su bianco in un documento pubblicato sul sito: “Il diritto di firma può far tornare questo lavoro a ciò che era prima, regolamentando un settore che subisce l’apertura a improvvisati dell’immagine, ledendo così l’esperienza e a volte i costi stessi del lavoro. Il nostro scopo è che oggi venga fatto un passo verso la rinascita della nostra professione e dell’intera collettività che la compone”.
Negli ultimi tempi, il compenso economico è stato abbassato del 30-40% per troupe a giornata. Nella conferenza stampa a Montecitorio del 22 novembre 2018 per il diritto di firma, il segretario A.S.A. Nicola De Toma dichiarò: “Costiamo la metà e lavoriamo il doppio, ecco perché viene dato in appalto il lavoro”. Altra misura adottata dal sindacato a tutela della professione è il divieto di vox populi, perché senza la presenza di un giornalista comporta il reato di “esercizio abusivo della professione di giornalista”, violazione dell’articolo 348 del Codice Penale.
La proposta di legge per il rinnovo del contratto degli audiovisivi: alla vigilia della ripresa del campionato di calcio A.S.A. ha proposto anche un protocollo con l’associazione di categoria VMP – Visionair Media Production (tv, cinema, spettacolo) per la sicurezza dei lavoratori appartenenti ai settori televisivi impegnati nelle produzioni di eventi sportivi, calcistici e di altre discipline. Nel testo completo della proposta si legge l’estensione anche a tutte quelle produzioni impegnate in esterna con OB-Van mobili.
E, non in ultimo, va citata una petizione in supporto alle richieste dei lavoratori dello spettacolo, nella quale si chiede che i lavoratori intermittenti possano accedere alla Cassa integrazione in deroga, perché essa è un’indennità che può essere riferita allo storico delle giornate lavorate, invece che al lavoro perso nel futuro.
Dietro le immagini ci sono persone, senza tutele. La proposta di legge a favore degli audiovisivi
L’invito alla non dissolvenza della professione di Pariboni è chiaro: “Dobbiamo smettere di prostituirci. Dovremmo essere noi ad alzare la testa dinanzi a condizioni di lavoro non eque che vengono imposte. Non esistiamo neanche per l’Inail: siamo equiparati ai braccianti agricoli generici, siamo ombre nel buio”.
Ed è proprio con questo approccio che L’A.S.A. come sindacato ha cercato di sopperire,all’assenza di ammortizzatori sociali in passato, supportando il ricollocamento degli operatori licenziati dalle loro società presso altri service di produzioni televisive non in crisi, come già è accaduto per la vicenda di Sky TG24, che nell’estate 2019 tagliò il numero di operatori preposti per ogni singola sede regionale.
Le preoccupazioni del sindacato continuano sul territorio romano con una battaglia che dura da qualche anno. Questa volta a dar dispiacere alle maestranze televisive è la tv di Stato, pronta a salutare al 31 luglio un centinaio di tecnici. Il punto della situazione lo spiega il segretario dell’A.S.A. De Toma: “Durante questi tre mesi di pandemia, gli operatori in appalto hanno permesso alla RAI di coprire i servizi e di informare i cittadini. Nonostante questo, la RAI il 1° agosto 2020 attuerà il bando per le troupe ENG in appalto per l’area metropolitana di Roma, che porterà al licenziamento di 100 persone: si passerà da 20 società a 6 società, e questo bando costerà più delle attuali convenzioni”.
Ma uno spiraglio di luce si vede all’orizzonte per mano del sindacato e del deputato Federico Mollicone con la proposta di legge costituita da 5 articoli sulla Certificazione delle figure dell’audiovisivo: norme di principio sulla disciplina in materia di formazione professionale dei tecnici audiovisivi”, che verrà presentata con una conferenza stampa alla Camera entro la fine di giugno 2020.
Dietro le immagini ci sono persone. Se il dato è oggettivo, quali sono gli scenari per il futuro della professione? Guardando la fotografia che racconta le criticità del momento va considerato che essere un operatore video o una maestranza televisiva non è così semplice. Alle giovani generazioni che volessero intraprendere questo percorso professionale il consiglio di Pariboni è imperativo: “Studiare tanto le materie umanistiche, la tecnica, aggiornarsi e mettersi in gioco con umiltà”. E sottolinea: “Noi non teniamo in mano la telecamera, ma facciamo nostro lo stile di vita della telecamera. La telecamera non è semplicemente accenderla, ma è anche sapere perché l’accendi”. E fare proprio lo stile della telecamera significa essere “registi”.
Photo credits: archivio personale Günther Pariboni
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