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Almalaurea: più lavoro per laureati green. Ma gli studenti sono insoddisfatti
Da un recente rapporto emerge una correlazione tra lo studio di temi correlati alla sostenibilità e la maggiore occupazione dei laureati. Gli studenti universitari, tuttavia, giudicano insufficiente la qualità dell’insegnamento sull’argomento
Trova lavoro con più facilità chi si forma in temi legati alla sostenibilità ambientale, ma sei studenti su dieci giudicano insufficiente il livello di approfondimento tematico di quanto studiato in materia. È questo il messaggio lanciato nei giorni scorsi alla presentazione del rapporto I laureati e la sostenibilità ambientale di Almalaurea, redatto tramite un questionario in dodici punti somministrato a 220.000 laureati nel 2022.
La presentazione è avvenuta all’ateneo di Camerino, di fronte a cinquanta rettori da tutta Italia. Peccato però che “la valutazione espressa dai laureati, relativamente al livello di approfondimento delle tematiche legate alla sostenibilità ambientale, trattate durante gli insegnamenti obbligatori o opzionali, è complessivamente insufficiente, in media 5/10. Ciò prescinde dal tipo dell’ambito disciplinare”, si legge nel rapporto, e inoltre chi ha affrontato questi temi nel proprio percorso di studi non rifarebbe la stessa scelta.
“È interessante notare che la valutazione del livello di approfondimento delle tematiche sulla sostenibilità ambientale è correlata alla soddisfazione generale espressa con riferimento al corso di studio. È inferiore la quota di chi, potendo tornare al tempo della scelta universitaria, confermerebbe la scelta del corso e dell’ateneo (72,9% rispetto al 79,4% di chi ha dichiarato un livello di apprendimento almeno sufficiente)”, si legge nella parte finale del rapporto.
L’ambiente non si salva con l’inbound marketing di un rapporto qualitativo, insomma.
Almalaurea: più occupazione per chi studia temi sostenibili
Durante la presentazione a Camerino, dalle prime anticipazioni sui dati 2023 di Marina Timoteo, direttrice generale del consorzio Almalaurea, coloro che inseriscono nel loro percorso universitario tematiche legate alla sostenibilità ambientale, avrebbero un tasso di occupazione di 4,8 punti percentuali in più rispetto a chi non le ha trattate (si parla di mobilità e trasporti sostenibili; gestione delle risorse, rifiuti e consumi; sostenibilità energetica; cambiamenti climatici e cura degli ecosistemi; edilizia, infrastrutture e industrie sostenibili; urbanistica e paesaggistica per la sostenibilità ambientale; politiche, amministrazione, istituzioni per la sostenibilità ambientale; impatto della sostenibilità ambientale sugli aspetti socio-economici della società; imprenditorialità sostenibile; agricoltura e alimentazione sostenibile; educazione alla sostenibilità ambientale).
Un vantaggio che sarebbe confermato nei percorsi con i più bassi livelli occupazionali: tradizionalmente l’area economica, giuridica e sociale, ferma al 62% di occupati, con i temi legati alla sostenibilità ambientale vedrebbe un tasso di occupazione maggiore del 12,1%. Lo stesso varrebbe per l’area artistica, letteraria, e dell’educazione, con il 66,5% di occupati, che avrebbe un livello di laureati al lavoro maggiore del 6,4% se hanno studiato almeno un tema green.
Occorrerà attendere il rapporto 2023 per vedere se questi dati saranno confermati. Lo stesso ateneo ospitante, Unicam, nella nota si affretta a sostenere che “dal rapporto Almalaurea emerge che a Camerino i laureati affrontano, più frequentemente rispetto alla media nazionale, tematiche legate alla sostenibilità ambientale: 67% rispetto al 61,5% rilevato per il complesso dei laureati”. In realtà leggendo il rapporto “su una scala da 1 a 10, la richiesta di maggiore approfondimento degli argomenti relativi alla sostenibilità ambientale è pari in media a 6,5. Dal punto di vista della disciplina i laureati in STEM vorrebbero approfondirli maggiormente”.
Le università troppo indulgenti nell’autovalutazione
A indicare il punto critico dell’offerta universitaria relativamente ai temi della sostenibilità ambientale è la Commissione europea, nel rapporto Formazione scolastica per la sostenibilità ambientale: politica e approcci degli stati membri dell’Unione europea, riguardo al sistema di accreditamento dei corsi universitari, citando una ricerca condotta da Stura e altri sul sistema di autovalutazione e accreditamento dell’istruzione superiore, ottenuta campionando 118 programmi di studi universitari.
Nel dettaglio, ecco una delle critiche espresse al sistema di accreditamento, per cui alcune discipline sarebbero facilitate: “L’accreditamento si riferisce al controllo di standard di qualità nei programmi di studio, condotti da un comitato di valutazione esterno, sulla base della documentazione pertinente e di un audit in situ, attuato dallo staff accademico. Questo metodo ha generato molte critiche, perché la garanzia della qualità richiede una mole di lavoro, per persone già sovraccariche e talvolta sotto qualificate dello staff accademico”.
“Come possibile soluzione, gli autori suggeriscono la creazione di unità centrali di esperti a livello universitario per la garanzia della qualità interna. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di redigere linee guida a livello nazionale, sull’applicazione degli standard di qualità a particolari programmi, e seguirli a livello delle singole università. Tali linee guida faciliterebbero la comprensione su come superare i problemi e rispondere alle specifiche richieste in ciascun ambito disciplinare – così come vengono predisposte le linee guida per l’applicazione dello standard generale ISO 9001 per specifici settori industriali. In questo modo, gli accademici potrebbero ottenere l’accreditamento utilizzando uno strumento che risponda alle loro specifiche richieste o difficoltà. Ciò potrebbe essere ancora più rilevante per i programmi interdisciplinari per la formazione scolastica relativa alla sostenibilità ambientale, che sono più complessi nella loro essenza”.
Photo credits: threerivers.edu
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