Qualche tempo fa, ho chiesto ad una mia amica che aveva iniziato da poco a lavorare in una grande azienda di servizi come si trovasse nel nuovo contesto. Lei mi ha risposto in modo positivo, ma ha anche aggiunto una postilla, senza nascondere un po’ di scetticismo: “Qua da noi, una fase ‘pilota’ non la […]
Aziende pubbliche e private: non aprite quel regalo!
Si avvicina il Natale e anche in azienda vi è la consuetudine di scambiarsi regali. Il datore di lavoro che vuole onorare il suo dipendente e ringraziarlo con un dono per le fatiche di un anno intero non è solo legittimato a farlo, ma persino incentivato, in quanto esistono agevolazioni fiscali anche molto consistenti che […]
Si avvicina il Natale e anche in azienda vi è la consuetudine di scambiarsi regali. Il datore di lavoro che vuole onorare il suo dipendente e ringraziarlo con un dono per le fatiche di un anno intero non è solo legittimato a farlo, ma persino incentivato, in quanto esistono agevolazioni fiscali anche molto consistenti che arrivano fino all’esentasse. Ma è importante mantenere il lume della ratio giuslavorista, anche in un periodo festivo, quando solitamente si tende a sottovalutare talune circostanze che possono essere ritenute sospette.
Regalie innocue o pericolose: dov’è la differenza
Un omaggio per essere ritenuto tale deve avere il carattere dell’occasionalità e della modicità del valore. Ma non è sempre facile separare anche da un punto di vista giuridico una prassi aziendale consolidata da un comportamento scorretto, un’abitudine sconsiderata da un presupposto di reato. Questo accade non tanto nel lavoro pubblico, dove le regole sono più rigide, quanto nel lavoro privato. Se infatti, la soglia di “tollerabilità” nell’accettazione di un regalo nelle amministrazioni non deve superare la soglia dei 150 euro (ai sensi del DPR 62/2013), nel privato non ci sono valori minimi o massimi. Ogni decisione è lasciata alla discrezionalità dell’azienda.
Nelle aziende private qualsiasi disposizione relativa alle soglie di accettabilità di un regalo è demandata solo e unicamente ai (peraltro eventuali) codici di autoregolamentazione interni, laddove nel contratto di lavoro ci sia una clausola che declina la fattispecie delle regalie, definendone l’entità del modico valore. Di certo, per tutelare l’immagine dell’azienda è opportuno che essa si salvaguardi da eventuali comportamenti sconvenienti che minano il rapporto di fiducia, buona fede e probità con i dipendenti.
Le situazioni in cui questo rapporto può incrinarsi sono due: quando il valore economico della regalia diventa considerevole oppure quando subentra un conflitto di interesse tra dipendenti e fornitori e/o consulenti esterni da cui l’azienda può emergere come parte lesa. In questi casi nella pubblica amministrazione può subentrare direttamente il licenziamento per giusta causa; nel privato invece qualsiasi deliberazione dal punto di vista disciplinare è demandata al datore di lavoro che valuterà caso per caso se vi sono le condizioni per procedere dal punto di vista disciplinare.
Regalie e licenziamenti: ecco perché mancano i dati certi
Non è facile definire dal punto di vista statistico quanti licenziamenti si sono verificati nelle aziende private, in quanto molti dei casi attenzionati dalle cronache, pur avendo avuto dei risvolti penali, non sono mai neppure risultati in un procedimento dinanzi al Tribunale del Lavoro. Nelle amministrazioni statali è astrattamente più facile tracciare una casistica giurisprudenziale; nel privato, invece, la casistica è dettata dai soli casi su cui la giurisprudenza è giunta a pronunciarsi (quando le sentenze sono pubblicate).
Alessandro Paone, avvocato ed esperto in diritto del lavoro, partner di LabLaw Studio Legale afferma: «Se nel pubblico esiste un meccanismo procedurale che consente di rilevare alcuni dati, nel privato accade che quando il datore licenzia comunica al centro per l’impiego solo il titolo del licenziamento (giusta causa, giustificato motivo soggettivo o oggettivo, e così via), ma non le motivazioni su cui il provvedimento si fonda. A maggior ragione, che nel caso di una conciliazione della controversia in sede sindacale o giudiziale (ipotesi assai frequente nella pratica quotidiana) il provvedimento espulsivo può essere ritirato o le parti possono accordarsi per mutarne il titolo e la natura (da giusta causa a risoluzione consensuale), così che gli atti del licenziamento sono destinati a rimanere per lo più lettera privata».
Nel pubblico impiego i confini tra “lecito” e “sconveniente” sono ben definiti
Rispetto al lavoro privato, nel quale il legislatore ha lasciato ampio margine alle parti negoziali (datore e lavoratore) e il quadro legislativo non è definito, nel pubblico impiego c’è una cornice giuridica molto più delineata grazie a una serie di provvedimenti come il DPR 62/2013, che introduce un codice di comportamento dei dipendenti pubblici. Prima ancora di questo decreto esiste la “fonte massima”, che è il Testo unico per il pubblico impiego, D. lsg. 65/2001.
«Questa norma, all’art. 54, e in particolare al comma 1, – quando fa riferimento ai codici di regolamentazione disciplinare – fa espresso riferimento alla fattispecie del regalo d’uso, intendendosi per tale la regalia che viene concessa al dipendente del tutto occasionalmente», chiarisce il giuslavorista. <<La disposizione di legge – aggiunge Paone – rappresenta l’affermazione di un principio di (buona) condotta generale applicazione: infatti, nella norma non viene chiarito in alcun modo quale deve essere l’importo o il valore limite del regalo d’uso, ma si afferma semplicemente che esso deve essere di modico valore. Eppur tuttavia il modico valore risponde ad un concetto sociale: cioè in base al tempo in cui il regalo viene reso il suo valore può essere inteso come modico, oppure no».
A fornire le precisazioni del caso è intervenuto il DPR 62/2013, che all’art. 4 afferma come i regali “tollerati” – quelli che possono essere accettati dal pubblico dipendente, – sono soltanto quelli di modico valore, ovvero quelli che non superano l’ammontare dei 150 euro. «Quando un regalo supera questo importo, la legge impone che venga messo immediatamente a disposizione dell’ente pubblico per la restituzione, per la messa in vendita oppure per la destinazione all’ente stesso», precisa il giuslavorista.
In sostanza il regalo d’uso è un regalo di cortesia che viene elargito al pubblico dipendente come forma di riconoscenza, ed è tollerato solo e unicamente se oltre al modico valore «non crea interferenza con il compimento dell’atto da parte del dipendente pubblico, e non ne è il corrispettivo per la mansione o prestazione erogata». Per fare un esempio, il dipendente di un ufficio catastale può anche accettare un caffè che gli viene offerto perché si è comportato con educazione e gentilezza con il cliente, ma questo diventerebbe un comportamento sanzionabile se accettasse il caffè in cambio della concessione di una visura catastale.
Un omaggio per ingraziarsi un dipendente. Alcune fattispecie di reato
Può accadere che una condotta illecita nasconda un vero e proprio reato perseguibile anche penalmente. È l’argomento di una clamorosa quanto magistrale sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2017, che è entrata a far parte della giurisprudenza, accompagnata da una lunga serie di casistiche similari.
Si tratta di un esposto presentato da alcuni agenti di pubblica sicurezza che, a seguito di un lavoro ben eseguito sulla tratta autostradale di competenza, avevano ricevuto dal titolare di una ditta di autotrasporti la richiesta di accettare in dono la somma di 50 euro, oltre ad un caffè. «Sul punto, la Cassazione ha precisato che, ferma la mancata configurabilità di condotte costituenti reato, gli agenti ben sarebbero potuti essere coinvolti nel procedimento disciplinare in coerenza con il codice di autoregolamentazioe interno al corpo», spiega Paone.
Può anche accadere che un funzionario pubblico accetti un regalo per conto di terzi. È il caso, ad esempio, di un segretario comunale che acquisisce una busta di denaro in contante destinata al sindaco. In questo caso, il comportamento è perseguibile come reato di corruzione ai sensi degli articoli 318 e 319 del Codice Penale, a seconda che si tratti rispettivamente di corruzione in atti, per cui il dipendente è incaricato d’ufficio (con una pena tra i 6 e i 10 anni di carcere), oppure di corruzione da parte del dipendente pubblico, per la quale sono previste pene inferiori.
Un altro celebre caso di corruzione è quello legato a Luigi Lusi, ex tesoriere del partito La Margherita, che ha posto ai partiti il problema della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni. Tuttavia la vicenda ha avuto un risvolto importante anche da un punto di vista civile. La Corte di Cassazione, infatti, nel 2015 ha confermato la sentenza di condanna che ha portato al licenziamento per giusta causa del dipendente della Banca Nazionale del Lavoro che ha materialmente trasferito il denaro dal conto del partito a quello personale di Lusi, per un danno erariale di oltre 22 milioni e 800 mila euro.
«Il dipendente di banca ha violato il codice di regolamentazione interno alla banca, che sottolineava in capo ai dipendenti l’importanza di gestire con estrema cautela l’accettazione di regali da parte di clienti e fornitori, contrariando il principio della trasparenza e della correttezza», commenta il giuslavorista.
Omaggi aziendali nel privato
Nelle società private non è facile arginare l’abitudine di onorare una particolare gentilezza da parte del funzionario con un presente, che a volte, da semplice regalo di cortesia, può trasformarsi in uno scambio di favori legato alla prestazione lavorativa in sé. «Le regalie non sono quasi mai oggetto di considerazione dei contratti privati di lavoro. La legge non si preoccupa in alcun modo di disciplinare l’accettazione di un regalo d’uso da parte del dipendente» precisa al riguardo Paone.
In pratica il datore può decidere autonomamente, rispettando gli standard imposti dal CCNL, di estendere la tollerabilità per quanto riguarda l’entità e il valore delle regalie, oppure di innalzare la cifra limite. Non essendoci un quadro legislativo chiaro, ogni decisione è lasciata alla discrezionalità di chi è chiamato a giudicare in veste giurisprudenziale. Ciò accade perché nel privato non c’è la regola dei 150 euro, come invece accade nel pubblico impiego. Il concetto del “modico valore” è lasciato all’interpretazione del magistrato, per cui varia in base al momento storico, alla fattispecie ed eventualmente alle abitudini aziendali.
«Questo significa che, laddove manchi la regolamentazione interna all’azienda, al magistrato vengono sottoposti una serie di casi in cui la società ha licenziato il dipendente poiché ha ritenuto che quei regali non avessero un modico valore, ed egli è chiamato a decidere in base a questa casistica», chiosa l’avvocato.
Fenomeni corruttivi: le aziende tutelano la loro immagine
Può anche accadere che si sfrutti l’occasione della festività natalizia per sottendere o mascherare, dietro a un cordiale scambio di doni, una fattispecie giuridica rilevabile dal punto di vista penale. Questo nonostante in linea di massima il regalo di Natale sia un fenomeno lecito, e persino promosso dal legislatore. È il caso di fenomeni corruttivi che risaltano più facilmente in una pubblica amministrazione, in quanto le leggi sono più stringenti.
«La differenza tra pubblico e privato è tutta qua: da un lato, nel pubblico, c’è l’obbligo di agire, dall’altro, nel privato, semplicemente questo obbligo lato non c’è. Se nel pubblico un dipendente pone in essere una condotta in violazione del codice di comportamento, il datore ha l’obbligo di procedere all’avvio del procedimento disciplinare, e nel momento in cui non lo fa il dirigente pubblico è responsabile dell’omissione per l’eventuale danno erariale e per il danno d’immagine. Infatti nelle imprese private accade spesso che i dipendenti ricevano da parte dei fornitori delle vacanze-regalo, il che non è assolutamente scandaloso poiché rientra nelle normali relazioni contrattuali».
«Ciò accade perché nel rapporto di lavoro privato, i principi attraverso i quali l’attività lavorativa viene declinata nella pratica si ritrovano nel codice civile e attengono alla buona fede e, soprattutto, al dovere del dipendente di diligenza e fedeltà nell’interesse del datore di lavoro. Non si può mai svolgere un’attività lavorativa perseguendo un interesse personalistico, in contrasto con quello del datore. Anche questo aspetto è giuridicamente identico tra lavoro pubblico e lavoro privato, solo che nel pubblico il legislatore ha avvertito la necessità di cristallizzare nelle norme taluni fatti della vita lavorativa in chiave prettamente sanzionatoria (tra cui, per l’appunto, la ricezione di regali); nel lavoro privato, tutto è demandato all’autonomia negoziale delle parti» chiarisce Paone.
«A ciò si aggiunga, sotto diverso profilo, che laddove l’accettazione di un regalo da parte di un dipendente in un’azienda privata può celare, in realtà, fenomeni corruttivi rientranti tra quelli per cui è prevista l’insorgenza di una responsabilità penale dell’impresa ai sensi del D.Lgs. 231/2001, per il datore di lavoro estraneo all’evento criminoso procedere sul piano disciplinare, ancorché non obbligatorio per legge, diventa una necessità, anche solo per prendere le distanze dal lavoratore disonesto e salvaguardare la sua impresa».
Regalie e società partecipate: le norme non sono chiare
La situazione diventa ancora più complessa nelle società partecipate da capitale pubblico, ossia nel cosiddetto “mondo di mezzo” in cui non trovano applicazione le regole previste dal codice di comportamento. A esse quindi non si applicano le limitazioni imposte dal DPR 62/2013 sul tetto massimo delle regalie pari a 150 euro.
Sull’argomento Paone precisa: «Come nelle aziende interamente private, ogni previsione è demandata agli eventuali regolamenti interni o alle disposizioni dei soci pubblici di controllo. Però attenzione: nelle società in controllo pubblico, la natura per l’appunto pubblica del capitale sociale fa sì che l’eventuale intervento datoriale sia una questione di scelta fra un eventuale obbligo vero e proprio ed una scelta di opportunità». Inoltre, aggiunge il giuslavorista, «se una partecipata pubblica tollerasse che propri dipendenti accettassero regali e controregali senza alcun senso della misura con il rischio di mettere in pericolo l’azienda in maniera indiscriminata, il non intervento, nel caso di danno, avrebbe riflessi anche sul piano del danno erariale nei confronti dell’ente controllante».
A tal proposito, l’avvocato Paone racconta di un caso spinoso che ha visto coinvolto proprio un direttore generale di una società controllata molto importante nel panorama nazionale, interamente partecipata da una regione del nord Italia e con rilevanti quote di partecipazione in molte altre società ugualmente controllate dal socio regionale in mano pubblica. «Quando il socio pubblico di controllo scoprì che il dirigente era solito non solo accettare regali di un valore abbastanza elevato, ma anche di spendere rilevanti somme della società per acquistare regali per terzi, nonché per organizzare pranzi e cene estremamente costose senza alcuna apparente connessione con l’attività aziendale, provvide a licenziarlo per giusta causa».
«Il direttore propose impugnazione e il giudice del Tribunale di Milano, letti gli atti e le difese della società, suggerì al dirigente di rinunciare immediatamente all’azione legale» conclude il giuslavorista.
Il racconto palesa che in una società partecipata, pur se in mano pubblica, è difficile definire se l’accettazione di un regalo sia o meno reato: occorre sempre precisare il caso specifico.
Leggi anche
È una primavera strana, indecisa, come l’umore di Guido Guerrieri, quando inizia questa vicenda. Avvocato penalista, messo all’angolo dalla separazione dalla moglie, è calato in un periodo intento a riflettere sulla propria esistenza. Guido tende a chiudersi in se stesso e, come interlocutore preferito, ha il sacco da boxe che pende dal soffitto del suo […]
Prendiamo per esempio l’Angola. È il terzo mercato di destinazione dell’export italiano verso l’Africa Sub-Sahariana e ha buone opportunità di business per chi opera nei settori dell’energia e dell’agro-alimentare. Supponiamo allora che la vostra azienda voglia stabilire una testa di ponte a Luanda e che vi chieda di andare lì a lavorare per un paio […]