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I bambini stanno cambiando, i compiti delle vacanze no
“I bambini nati dopo il 2010 sono quasi tutti multitasking, e hanno una soglia di attenzione di circa otto secondi”: la neuroscienziata Mila Valsecchi e l’AD di MyEdu Laura Fumagalli parlano dei nuovi nativi digitali e dei metodi di apprendimento di cui hanno bisogno
L’estate dei genitori, tra i costi dei centri estivi e i compiti delle vacanze, è sempre piuttosto rovente. Ormai, purtroppo, per i centri estivi siamo rassegnati a spendere in media tra i 500 e i 1.000 euro, ma i compiti per le vacanze sono un tema ancora molto divisivo: c’è chi ne vorrebbe a vagonate per tenere impegnati i bambini e chi li considera una tortura per la famiglia intera, che in estate diventa un lavoro straordinario per tutti.
Chi mi legge lo sa: mia figlia frequenta le elementari, quindi per me non è difficile reperire testimonianze. Ho amici che si giocano interi week end davanti ai compiti assegnati durante l’anno scolastico; sabati e domeniche mattina rovinati e conditi da diverse litigate; ore a cercare di imparare poesie e leggere libri controvoglia. Il risvolto sono bambini con ansie da prestazione, perché tra gli impegni sportivi e il catechismo non riescono ad arrivare ovunque, e genitori preoccupati che cercano di dare una mano come possono, a volte forse sostituendosi ai figli tra le pagine dei libri. E, ciliegina sulla torta, chat di classe che esplodono in polemiche e lamentele condivise da diversi genitori.
Alcuni genitori accusano gli insegnanti di “sbolognare” a loro gli argomenti che non sono riusciti ad affrontare durante l’anno. Alcuni hanno figli con disturbi specifici dell’apprendimento non ancora certificati che si sentono obbligati a seguire i bambini durante i compiti perché fanno molta fatica.
Altri si sprecano a fare video su TikTok insultando gli insegnanti mentre il figlio in sottofondo piange disperatamente davanti al libro dei compiti. Non metterò link perché il video è disgustoso e, per quanto mi riguarda, ha già avuto anche troppe visualizzazioni. Vi basti sapere che le soluzioni per non impazzire davanti al libro delle vacanze sono diverse.
Ne ho parlato con Mila Valsecchi, neuroscienziata esperta in contenuti e servizi per l’apprendimento, e con Laura Fumagalli, responsabile di MyEdu, piattaforma didattica digitale che affianca scuole e famiglie nei processi di formazione e collabora con 40.000 docenti in tutta Italia.
Il cervello dei bambini sta cambiando, ma i compiti (delle vacanze e non) restano gli stessi
Con Mila Valsecchi per prima cosa ho cercato di capire come sta cambiando il cervello dei bambini, perché si tratta di un organo plastico che si adatta ai cambiamenti dell’ambiente e agli stimoli che riceve. E gli stimoli a cui sono sottoposti i nostri figli sono molto cambiati negli ultimi anni, quindi in parte dovrebbe cambiare anche il metodo con cui studiano e fanno i compiti.
“Abbiamo molti strumenti che ci permettono di fare analisi: encefalogramma, TAC e risonanze ci permettono di capire cosa sta cambiando nel cervello dei nostri bambini. Ad esempio, oggi sappiamo che il cervello delle persone dislessiche funziona in una maniera diversa; in particolare non funziona la parte che collega la lettura del segno grafico con la fonologia. Quindi leggere ad alta voce per loro è impossibile, mentre in compenso attivano in modo molto più veloce la parte del cervello che consente di astrarre e di imparare dalle immagini.”
Tutte cose che in passato non potevamo sapere. Oggi questi risultati ci permettono di conoscere come funziona la mente dei nostri bambini.
Partiamo dal digitale. Come ha cambiato e sta cambiando l’evoluzione cerebrale dei ragazzi?
Il cervello dei nativi digitali riceve stimoli del tutto diversi rispetto alle precedenti generazioni. Ci sono bambini che, già prima dell’anno, guardano le foto sui cellulari o ascoltano la musica sul telefono, e quindi riconoscono un linguaggio diverso da quello tradizionale. Per il cervello leggere un libro di fiabe è diverso da leggere una pagina web. La pagina web si muove su più dimensioni, immagini e colori. Lo schermo scorre e tu automaticamente attivi più parti del cervello per comprendere quello che stai leggendo. I bambini nati dopo il 2010 sono quasi tutti multitasking, possono fare più cose in contemporanea, ma il cervello si pone sempre dei limiti, per cui i bimbi le fanno con una soglia di attenzione bassissima: intorno agli otto secondi, dagli ultimi studi. Poi o si stancano o si distraggono, e questo incide sull’aspetto educativo; tanto che dovremmo rivoluzionare i metodi di insegnamento e di apprendimento.
Tornare indietro non è più possibile?
Usare solo libri scritti andrebbe contro la tendenza generale perché ormai i bambini sono abituati a recepire la realtà su più dimensioni. Dovrebbero imparare con contenuti digitali interattivi, e proprio perché fin da piccoli sono stati sovraesposti a certi stimoli, imparano molto facendo. La didattica tradizionale (lo studio e il ripasso) oggi funziona molto meno. Questa è una generazione che deve essere ingaggiata. A loro serve una didattica cooperativa, uno scambio tra pari, anche perché sono nati in contesti in cui l’emotività ha molta importanza.
Quindi un genitore come si deve approcciare al bambino se lo vuole aiutare nei compiti delle vacanze?
Il tema dei compiti è sempre complicato, anche perché a volte sono noiosi. La sfida è coinvolgere i bambini attraverso il gioco, magari legando gli esercizi a un premio. Lavorare per avere un premio è un aspetto della didattica emotiva che spesso funziona. È un modo per generare serotonina, perché raggiungere un obiettivo genera felicità e vince la noia.
Questo per chi non ha problemi di apprendimento, ma ci sono anche i bambini che hanno bisogni specifici, magari in attesa di certificazione, e che in prima e in seconda elementare non hanno ancora nessun supporto.
I genitori di questi bambini dovrebbero farsi aiutare dalla tecnologia. Ad esempio, ritornando ai bambini con dislessia, è inutile continuare a insistere che leggano a voce alta, perché questo provoca in loro insicurezze e vergogna, soprattutto nei maschi. Considerate anche che i rischi di bassa autostima sono più alti nei maschi che nelle femmine. Il tema della lettura ad alta voce è per tutti i dislessici una vergogna e anche in classe questo aspetto non è facile da gestire. La realtà è che spesso questi bambini hanno un quoziente intellettivo sopra la media, devono solo trovare il modo di compensare le difficoltà con altri metodi. Quando sono piccoli vanno aiutati, ad esempio con gli audiolibri, oppure attraverso i video. Anche l’apprendimento con un altro bambino funziona, il compagno di classe può aiutare molto, e la cooperazione nei compiti è quasi sempre un’esperienza vincente. La cooperazione funziona in generale, non solo per la dislessia.
Fare i compiti assieme è un ottimo metodo, ma le difficoltà di apprendimento sono ancora vissute in maniera negativa, soprattutto dai genitori, e spesso non sono inclini a far fare al figlio esperienze condivise.
A questi genitori dovremmo far leggere Storie di straordinaria dislessia. 15 dislessici famosi raccontati ai ragazzi, edito da Erickson. Ci sono personaggi famosissimi che erano dislessici: Walt Disney, Leonardo e tanti altri grandissimi che hanno fatto la storia. Insegnanti e genitori possono usare tecniche che mettono i bambini a loro agio. Ad esempio, spesso gli insegnanti tendono a concedere più tempo per fare i compiti ai bambini con difficoltà, oppure gli tolgono qualche domanda dalle verifiche. Questo non è giusto, non devono farli sentire diversi dagli altri, devono solo usare tecniche diverse. In questo caso, per i bambini, tutto dipende dagli adulti e da come ti fanno sentire. I genitori devono sapere come funziona il cervello dei bambini e capire che la diversità può essere anche un’opportunità. Se un alunno ha difficoltà di lettura non dobbiamo incaponirci, ma dargli un audiolibro. I libri scolastici con la versione digitale devono servire anche a questo, ad andare incontro a tutte le esigenze della classe. Ad esempio, per la matematica il metodo Singapore propone un coinvolgimento attivo e divertente.
Le sperimentazioni per rendere autonomo l’apprendimento
Anche Laura Fumagalli sa bene che i compiti sono troppo spesso un momento di conflitto.
“A volte non tutti i genitori hanno la preparazione e l’attitudine per seguire un figlio. Ma in generale, una mamma e un papà che lavorano non dovrebbero avere l’incombenza o la responsabilità dei compiti. Per questo motivo con MyEdu abbiamo progettato contenuti e percorsi digitali che rendano l’apprendimento più semplice e coinvolgente.”
Laura Fumagalli lavora con Mila Valsecchi, e davanti al cambiamento intrapreso dal cervello dei bambini con MyEdu stanno cercando di elaborare strumenti che rendano l’apprendimento più autonomo. Certo il suo lavoro non è facile, perché prevede anche una grande disponibilità da parte degli insegnanti a impegnarsi in nuove metodologie didattiche, ma le soluzioni per facilitare l’apprendimento e l’autonomia esistono.
Con buona pace di tutti noi genitori. E che estate sia!
Photo credits: giovanigenitori.it
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