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A cercare le Risorse Umane sarà un FreelanceAdvisor
A luglio scorso ha fatto scalpore uno studio di Deloitte secondo cui entro il 2036 un quarto dei lavoratori della Gran Bretagna sarà sostituito da robot. In realtà si tratta di una visione ottimistica: uno studio del 2013 di Frey & Osborne valutava a rischio sostituzione addirittura il 47% dei lavoratori in Uk e il […]
A luglio scorso ha fatto scalpore uno studio di Deloitte secondo cui entro il 2036 un quarto dei lavoratori della Gran Bretagna sarà sostituito da robot. In realtà si tratta di una visione ottimistica: uno studio del 2013 di Frey & Osborne valutava a rischio sostituzione addirittura il 47% dei lavoratori in Uk e il 56% della forza lavoro in Italia.
Per certi versi può sembrare una previsione esagerata ma se invece di pensare agli scenari distopici della filmografia contemporanea (Blade Runner, Matrix, AI) ragioniamo semplicemente sulle innovazioni portate dall’automazione industriale e dalle connessioni web, possiamo renderci conto di come sia una tendenza già in atto, del tutto naturale e per molti versi irreversibile: tutti i lavori più o meno ripetitivi possono essere in qualche modo automatizzati.
Ci sono diverse classifiche dei lavori a maggior rischio di sostituzione ma in nessuna ho trovato citati gli addetti alle risorse umane. Eppure si tratta di una conseguenza quasi matematica: meno lavoratori da scegliere implica minore necessità di queste figure.
Senza contare che è un ruolo già oggi messo a rischio da tante piattaforme online che provano ad essere nuovi intermediari tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Se infatti fino a pochi anni fa i siti online di annunci di lavoro erano un ulteriore livello intermedio tra il candidato e il colloquio per una posizione, oggi tendono a mettere in contatto diretto chi cerca e chi offre una prestazione professionale, in particolar modo in ambiti dove conta molto la specializzazione in una materia e la rapidità della selezione. L’ambito, per intenderci, dei liberi professionisti e dei freelance.
Si tratta di una categoria di professionisti che fa fatica ad emergere tramite le piattaforme generaliste e che poco alla volta si sta radunando attorno a strumenti dedicati.
Possiamo prendere ad esempio il caso di Linkedin: un sistema di annunci classico costruito per un mondo del lavoro che è molto cambiato e dove per un freelance emergere è difficilissimo. Innanzitutto perché non è quasi mai previsto come possibilità dagli annunci, ma anche perché in un sistema dove il proprio messaggio è affogato tra centinaia tutti uguali – magari anche privi di requisiti – è già un’impresa riuscire a farsi leggere. In caso di lettura sarà comunque complicato farsi ricevere perché non è detto che il selezionatore dall’altra parte dello schermo sappia andare oltre all’aderenza di un curriculum a una serie di requisiti richiesti. Il freelance è un venditore di se stesso e più che sul curriculum lavora sulla reputazione e sulla capacità di fare delle proposte: per chiudere una collaborazione spesso ha bisogno di parlare direttamente con chi commissiona un lavoro e non con un intermediario.
E’ questa probabilmente la ratio che ha portato Linkedin a sviluppare una nuova piattaforma solo per i freelance, lanciata a fine agosto in tutti gli Stati Uniti: si chiama ProFinder e ribalta il concetto datore di lavoro/cliente. E’ infatti il professionista a dover cercare attivamente dei clienti anziché inviare una candidatura. Può indicare la sua specializzazione e fare una vera e propria “lead generation”, vale a dire la ricerca e il corteggiamento di una serie di potenziali clienti. A questi può mostrare i lavori svolti e le valutazioni dei clienti soddisfatti delle attività precedenti. Abbiamo così uno strumento snello, rapido e in cui la figura delle risorse umane finisce in secondo piano.
Oltre a quella di Linkedin, sono moltissime le piattaforme già attive o che stanno nascendo per far incontrare questo tipo di domanda e offerta di lavoro: molte sono estremamente verticali, quindi basate su professionalità molto precise (fotografi, traduttori, designer) ma la maggior parte sono ancora basate sul classico sistema di annunci con candidatura che fa perdere tempo a tutti.
Se il freelance è il prodotto allora deve stare in vetrina e deve essere il suo futuro cliente a sceglierlo. Come? In base alla sua offerta, ai lavori precedenti e alle recensioni e agli endorsement ricevuti.
Una competenza che però può essere valutata appieno solo da chi quel lavoro deve affidarlo e che per questo vede come superfluo il ruolo delle HR. Un ruolo che, essendo basato sul contatto umano, non è sostituibile da una piattaforma. In futuro, però, per riappropriarsene l’HR manager dovrà però fare formazione e sviluppare nuove competenze per muoversi meglio nei mercati digitali, conoscere le metriche da valutare per misurare la reputazione online di un potenziale collaboratore e doti di negoziazione per raggiungere un accordo.
Ci avviamo verso un mondo digitale dove la reputazione online di un freelance farà la differenza tra il lavorare o meno: nasceranno tanti FreelanceAdvisor con una loro classifica, i certificati di eccellenza e magari anche le recensioni false e la concorrenza sleale.
Il rischio di un sistema del genere è quello della competizione al ribasso basata sui prezzi (l’esempio degli hotel è quanto mai calzante). Non a caso una delle piattaforme che sta avendo più successo è fiverr.com, sito nato con l’idea di vendere lavori al costo fisso di 5 dollari e che ora fa fatica a riposizionarsi su un livello più alto di quello dei ragazzini smanettoni. Siti come fiverr, sostanzialmente delle work farm che sfruttano persone meno professionali ma con un po’ di conoscenza a disposizione, rischiano di uccidere il mercato.
Un po’ come Airbnb sta dando del filo da torcere a Booking. Per questo il freelance deve essere bravo a posizionarsi sul livello di offerta che ritiene adeguato. E che ovviamente non può essere 5 euro a lavoro svolto, anche se è di più di quanto paventato da alcuni Ministri della Repubblica.
(Photo credits: Artur McKenna /unsplash.com)
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